California e India: sinistri presagi di futuro

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La pesante siccità che ha colpito California e l’ondata di calore che ha sconvolto l’India rischiano di rivelarsi sinistri presagi del futuro prossimo, qualora non si intervenisse urgentemente per frenare il riscaldamento globale del pianeta. Tuttavia, se forse non occorreva molta fantasia per immaginare gli effetti ambientali di tali calamità, c’erano più dubbi sulle risposte politiche per fronteggiarle: nel complesso, esse si sono rivelate altrettanto disastrose.
In California, l’opposizione repubblicana ha parlato di ‘siccità artificiale’ provocata dagli ambientalisti e dai loro sforzi profusi per impedire la costruzione di dighe, come se non fossero visibili le cime delle montagne rocciose totalmente prive di neve. Le misure intraprese dal governatore democratico Jerry Brown, politico di lungo corso (per gli appassionati di punk rock, si tratta dello stesso Jerry Brown sbeffeggiato dai Dead Kennedys nella canzone California Uber Alles, risalente al 1979) sono degne di un film post-apocalittico alla Mad Max. Riduzione del consumo d’acqua del 25%, ma ripartita in modo del tutto ingiusto sulla società: se la mancata limitazione del settore agricolo può avere qualche giustificazione (anche se andrebbe valutata seriamente l’efficienza nello sfruttamento delle risorse idriche), quella delle imprese petrolifere, che impiegano spropositate quantità d’acqua per estrarre idrocarburi attraverso la tecnica della fratturazione idraulica (fracking), inquinando pesantemente le falde, grida vendetta (forse non troppo, se si pensa ai finanziamenti elettorali elargiti a Brown). Aggiungendo il danno alla beffa, l’industria petrolifera sta rivendendo le acque reflue dell’attività estrattiva per uso agricolo (si parla di dieci miliardi di litri d’acqua venduti), senza alcun controllo sull’eventuale presenza di metalli pesanti e agenti radioattivi. Per il resto, nessuna riflessione sull’opportunità di mantenere piscine private, campi da golf, coltivazione delle mandorle e realtà come Palm Springs, città sorta come un fungo nel deserto dove ogni abitante mediamente consuma 800 litri di acqua al giorno; solo qualche piccolo incentivo per tecnologie più efficienti, nulla di più.

In India, le temperature record (si sono sfiorati i 50°C) hanno causato più di duemila morti, specialmente nella zona di Dehli e Jaipur. Ciononostante, il governo indiano non intende in alcun modo arrestare il suo ambizioso piano di ‘sviluppo’, basato sull’energia a basso costo garantita dal carbone, anzi: si prevede da qui al prossimo decennio un raddoppio nell’estrazione del carbone. Il ministro dell’ambiente Prakash Javadekar ha espressamente parlato di ‘diritto allo sviluppo’ non negoziabile, rimandando qualsiasi taglio delle emissioni alle nazioni occidentali, molto meno popolate ma più inquinanti. Effettivamente, chi è già morto e chi in futuro subirà le medesime conseguenze dell’escalation delle temperature, avrà ben poco da negoziare con chicchessia.

Qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, da questi fatti è possibile trarre un insegnamento prezioso troppo spesso ignorato, anche all’interno della decrescita.

Non solo per il capitalismo è impossibile qualsiasi redenzione ‘verde’, ma l’avvicinarsi dei limiti della biosfera e la scarsità delle risorse – almeno per un tempo indefinibile prima di un tracollo globale, dovuto presumibilmente all’aggravamento del picco di produzione del petrolio – riescono addirittura a rafforzarlo nei suoi aspetti più iniqui e crudeli. Attese millenaristiche basate sull’autodistruzione del ‘grande Satana’ non hanno alcun senso, perché il suo crollo si porterebbe dietro quello del pianeta. Lo stato-nazione nella peggiore delle ipotesi difende il privilegio sociale, nella migliore insegue infausti miraggi di progresso. La presa in carico della salute del pianeta – e di ciò che resta della civiltà – richiede di andare oltre le consuete forme di organizzazione economica e politica e, con ogni probabilità, anche di andare oltre alla decrescita così come l’abbiamo conosciuta finora.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

3 Commenti

  1. Ciao Igor
    Hai concluso questo interessante articolo scrivendo “La presa in carico della salute del pianeta – e di ciò che resta della civiltà – richiede di andare oltre le consuete forme di organizzazione economica e politica e, con ogni probabilità, anche di andare oltre alla decrescita così come l’abbiamo conosciuta finora.”
    Stai pensando a qualcosa in particolare?
    Penso che per quanto riguarda la decrescita devo dire che oltre a elaborazioni teoriche (che sono essenziali e sono la base di qualsiasi cosa avverrà in seguito) c’è stato poco o niente in concreto (comunque anche il poco che c’è stato sarà essenziale in futuro).
    Purtroppo penso che se non ci sarà una “scossa” non ci daremo una mossa: penso cioè che decresceremo solo se saremo costretti! …ma, ripeto, tutte le cose dette finora e le poche cose fatte saranno il punto di partenza.
    Armando

    • Sì, ho in mente qualcosa solo che se ti rispondo in modo articolato… faccio una spoilerata di quelli che dovrebbero essere i miei prossimi articoli! 🙂
      Allora diciamo così: DFSN ha subito non pochi casi di ‘fuoco amico’, da parte di persone per cui la decrescita inizia con autoprodursi il pane e finisce con l’orto urbano, al massimo, nulla di più. In effetti, condivido l’idea di Latouche per cui la decrescita non è un progetto politico ma un contropotere sociale, però un sistema politico basato sulle intuizioni della decrescita si può e si deve concepire.
      Come ho accennato in questo articolo, la ‘decrescita imposta’ diventerebbe la fine della civiltà, di fatto, facendo fuori di volta in volta pezzi ‘di troppo’ dell’umanità.
      Infatti scrivo sempre ‘salvare il pianeta’ ma quello, magari molto malconcio, resterà, forse dobbiamo salvare noi stessi. Eh sì, se oggi rivedo il primo Mad Max (quello che per qualche strana ragione in Italia fu intitolato Interceptor) allora vedo un quadro che non mi sembra poi così distante dalla realtà attuale. In fondo ci sono già forze politiche, perfettamente integrate nelle istituzioni, che parlano senza problemi di ‘ruspe’ o di cannoneggiare i barconi di migranti; il giono dopo la strage di Charlie Hebdo il direttore del Resto del Carlino (non la fanzine di Casapound) scrisse che non è vero che siamo tutti uguali, che era un solo una favoletta. E il petroliere che si fa le budella d’oro con con l’acqua contiminata dall’estrazione via fracking, è qualcosa che negli anni Ottanta avrei ricollegato a Mad Max, non al mondo reale.
      C’è un articolo molto interessante (lo citerà in articoli successivi) dove si facevano ipotesi su quale EROEI fosse necessario per mantenere un certo progresso sociale: sistema scolastico e sanità pubblici, emancipazione femminile… mi sembra un po’ una visione integralista dell’energia, ma non troppo lontana dalla realtà. La socialdemocrazia (e le sue strane parenti, come il welfare state in salsa democristiana italiano) sono stati una ‘concessione’ del capitalismo perché la crescita degli strati inferiori della società non comprometteva quella dei superiori; oggi non è più così e si vede.
      Insomma, la decrescita ci sarà sicuramente, sta già avvenendo per molti aspetti: in un sistema basato sulla crescita economica, assumerà i contorni di uno strano feudalesimo post-moderno; la decrescita felice è l’unico modo per provare a mantenere uno straccio di civiltà che possa chimarsi tale. Ironia della sorte, un pensiero che condanna l’ideologia del progresso alla fine è l’unico che può tentare di mantenere quelle che furono le aspirazioni dei Lumi.

  2. Non vorrei debordare dal topic ma Armando domanda e Igor risponde……….
    E le risposte sono “pesanti”: aprono uno scenario complesso, sul quale bisognerà pure ragionare.
    La prima cosa che mi viene in mente, su cui serve riflettere, riguarda gli aspetti demografici.
    La popolazione mondiale cresce e arriverà alla soglia dei 9,5 miliardi di individui attorno al 2050, per poi tendenzialmente diminuire.
    In Italia, il paese piu’ vecchio del mondo, le cose vanno diversamente: nel 2038 saremo circa un milione in piu’ di oggi: una crescita assolutamente modesta; per lo piu’ dovuta ai figli generati dagli immigrati.
    Un paese che invecchia, senza ricambio generazionale, con una fertilità femminile pari a 1,3 figli, è una società col vuoto piedi della piramide. Ciò crea problemi enormi al welfare, alla corresponsione degli assegni pensionistici.
    Il problema è ancora piu’ evidente in circa il 50% del territorio; cioè tutta la fascia appenninica, caratterizzata , non da oggi, da un pesante spoppolamento.

    Un paese, diciamocela tutta, perennemente sull’orlo del default, con i fondamentali dell’economia del tutto compromessi. Con una “coesione sociale” assai problematica ( per ora le tensioni territoriali sono un pò sopite perchè i “nemici” di turno, ai quali riservare ruspe e cannoni, sono i rom e gli immigrati; ma prima o poi, saranno ancora i “terroni”).
    Un paese che, secondo gli accordi comunitari, dovrebbe dimezzare il rapporto deficit/PIL entro il 2020 ma, stando alla realtà di bilancio, non è in grado di avere avanzo primario oltre la liquidità necessaria per far fronte agli interessi sul debito.
    Dunque, propaganda a parte, la crescita non ci sarà.
    Allora, proprio per evitare il rischio paventato da Armando, serve ragionare su una decrescita possibile, non imposta ma desiderabile e condivisa.
    I segnali non sono certo incoraggianti, perchè decenni di consumismo hanno corrotto le coscienze. La gente vive male la crisi: la sente come una deprivazione, una limitazione delle proprie esigenze e non come “occasione per il cambiamento”, come disse a suo tempo Berlinguer.
    Sono assolutamente d’accordo con la concezione di Latouche: il problema decrescita non è solo attinente alla politica ma è cosa sistemica che mette in gioco l’idea stessa di economia; oltre che le ragioni del produrre e del consumare.
    Ma quali possono essere le idee-forza, in grado di aggregare coscienze e trasformare un ‘idea apparentemente negativa, che inizia con “de”, in un aspetto positivo, auspicabile e, se la parola non è troppo impegnativa, felice?

    Sabato andrò a un dibattito qui, in valle, a Bardi. Il Tema è: “Valceno, una comunità Olivettiana”. Qualcuno ha ritenuto che un capitalismo dal volto umano, rivisitato, rispettoso dell’ambiente, sia quanto di meglio si possa desiderare per una valle depressa. Non a caso interverrà l’amministratore delegato della Dallara ( eccellenza nel mondo per i motori in lega leggera) e il responsabile del FAI (Fondo Ambiente Italiano). L’impressione che ho è che si tratti il territorio, nel migliore dei casi, come una “riserva indiana” da custodire, mentre tutt’intorno si cerca di importare aziende che offrano il classico lavoro salariato.
    In compenso, diciassette sindaci della valle hanno scritto al Presidente della Regione, lamentando il ritorno del lupo e come questi potrebbe ( potrebbe!) essere pericoloso per l’uomo e gli animali domestici. Dunque la bellezza, la biodiversità non sono concepite come valori ma, al piu’ come giardinetto di casa; a corollario delle attività “olivettiane”. Dunque, anche dove non c’è, dove lo spoppolamento mette a serio rischio la sopravvivenza delle comunità locali, quello che conta è fare sopravvivere l’ideologia del progresso.
    Naturalmente le anticipazioni di Igor aprono anche altri scenari, su cui sarebbe importante riflettere. Per ora mi limiti alle cose che ho scritto.

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