Balle nucleari -Il lato oscuro dell’energia

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L’ultimo articolo di Decrescendo & decostruendo deriva da alcune riflessioni in materia di nucleare ed energia scritte tra il 2009 e il 2010, e che ora sono raccolte nel contributo Balle nucleari – Il lato oscuro dell’energia liberamente scaricabile alla sezione libri di DFSN; di seguito riporto la prefazione al testo.

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Questo contributo rappresenta, se mi si passa l’espressione, un’opera di ‘archeologia personale’, perché è il risultato dell’elaborazione di file giacenti su dischi rigidi superstiti di un computer che aveva già da tempo esalato l’ultimo respiro. Raccontano di un periodo, quello 2009-2010, dove il governo Berlusconi si presentava come redentore della patria per aver concluso un accordo per il ritorno all’energia nucleare; un vanto che però il suo nemico storico Antonio Di Pietro rischiava di far naufragare a causa delle firme raccolte per un secondo referendum abrogativo, dopo quello del 1987 successivo alla tragedia di Chernobyl.

All’epoca avevo la percezione che l’opinione pubblica italiana, nel complesso, fosse abbastanza spaccata e che il numero dei contrari fosse solo leggermente maggioritario: il rischio che la tornata referendaria – che includeva anche i quesiti per l’abolizione del Decreto Ronchi, che privatizzava il sistema idrico, e del cosiddetto legittimo impedimento contro i procedimenti giudiziari di Berlusconi – non raggiungesse il quorum era elevatissima, anche perché questa era stata la sorte di tutti i quesiti successivi al 1992.

Personalmente cercai di informarmi il più possibile sul nucleare, postando poi il contenuto delle mie ricerche sul Web attraverso forum e blog: da poco Pallante e Bertaglio ne avevano aperto uno sul sito de Il Fatto Quotidiano. In quel periodo ero un assiduo frequentatore di quel blog anche come commentatore, e non ero l’unico. Un’altra persona che lo seguiva in modo quasi ossessionato era un tizio che si celava rigorosamente dietro un nickname, il quale si presentava come esperto di questioni nucleari e dedicava ore intere a passare al setaccio gli scritti di Pallante, Bertaglio, nonché di tutti i commentatori antinuclearisti, alla ricerca di imprecisioni per deriderli e metterli alla berlina. Era di una faziosità assurda – era capace di infamarti se scrivevi MW/h invece di MWh, mentre se ne stava zitto se qualcuno proponeva assurdità come riconvertire vecchie centrali a carbone in atomiche o sosteneva che un reattore produce scorie delle dimensioni di un libro – ma era estremamente competente e, ricostruendo alcuni suoi commenti (parlò dell’azienda dove lavorava), riuscii persino a scoprire la sua vera identità.

All’epoca avevo appena letto l’ottimo libro Illusione nucleare. I rischi e i falsi miti di Sergio Zabot, quindi riuscivo abbastanza bene a smontare molte delle sue argomentazioni filonucleari, ragion per cui venni preso subito di mira. Replicava costantemente alle mie obiezioni, spesso a notte fonda, e sempre con un tono molto arrogante e maleducato. Ho sempre odiato la vigliaccheria dell’insulto digitale celato dietro l’anonimato, di conseguenza (sbagliando) ne feci una questione personale, ma devo dire che approfondii parecchio le mie conoscenze in materia di energia.

Dedicai gran parte del tempo libero alla ricerca di informazioni per smontare le sue obiezioni, e a un certo punto lui, quasi riconoscendomi ‘l’onore delle armi’, mi consigliò materiale molto prezioso di fonti filonucleariste come la World Nuclear Association (WNA). Scoprii un fatto davvero interessante: la WNA e organizzazioni simili sostanzialmente dicevano il vero, ma celavano i problemi dietro uno strano gioco delle tre carte, ad esempio per quanto riguardava il picco di produzione dell’uranio. Quando cercai di dimostrarlo ovviamente si infuriò ancora di più.

La dedizione a questo lavoro di stroncatura dei ‘nemici’ rasentava l’ossessione, e mi ha sempre insospettito parecchio: secondo molti addetti ai lavori, è probabile che le corporation del settore paghino esperti allo scopo influenzare l’opinione pubblica attraverso il Web. Quasi sicuramente era anche il caso del mio avversario dialettico, benché l’acredine e l’arroganza adoperata avrebbero trasformato perfino Edward Teller (il padre della bomba H, per intenderci) in un attivista di Greenpeace. Per la cronaca, lo stile di commenti del blog – all’epoca non moderato – degenerò presto per colpa dei sostenitori di entrambe le fazioni, e a quel punto abbastanza disgustato decisi di non seguirlo più.

Da questa esperienza imparai una lezione importante: innanzitutto che il nucleare presenta molte più problematiche di quelle, pur gravi, legate alla sicurezza, che ne fanno una tecnologia intrinsecamente insostenibile; poi che l’atomo è soltanto la punta di un iceberg colossale che coinvolge tutto il panorama energetico. Misi subito per iscritto le informazioni raccolte, per poi divulgarle in qualche modo via Web.

Il resto è cronaca: nel marzo 2011, in seguito a uno tsunami che ha colpito le coste giapponesi, la centrale atomica di Fukushima Dai-ichi ha riportato danni gravissimi che hanno causato la fusione del nocciolo di tre dei sei reattori. Un incidente che nel gergo nucleare appartiene al ‘livello 7’, lo stesso di Chernobyl. A quel punto la sorte del referendum italiano, prevista per giugno, era segnata. Non avevo più bisogno di convincere nessuno, anche se rimaneva l’amarezza per il fatto che la scelta fosse dettata dalla paura (per altro giustificabile) e non da un atteggiamento più razionale, che sarebbe stato ancora più pregiudizievole per la tecnologia atomica.

Il contributo che avevo realizzato si perse quindi nei meandri della memoria del mio pc, tranne alcuni passi che sono serviti per la stesura dei capitoli relativi all’energia di Svolta radicale (chi l’ha letto proverà talvolta una sensazione di déjà vu). Che senso ha riproporlo oggi, quando non si parla più di nucleare italiano e alcune informazioni saranno inevitabilmente obsolete? Penso che ci siano buone ragioni per farlo.

Innanzitutto, a parte qualche dato leggermente alterato, manager o politici usciti nel frattempo di scena (come Gheddafi), il quadro generale non è affatto cambiato. Inoltre, malgrado la catastrofe di Fukushima, la partita sul nucleare è tutt’altro che chiusa. Paesi emergenti come la Cina e l’Indonesia hanno dichiarato di non voler interrompere i loro ambiziosi progetti atomici (addirittura i cinesi prevedono la costruzione di 50 centrali); Günther Oettinger, commissario all’energia della Commissione europea, ha dichiarato il 15 marzo 2011: “dobbiamo anche porci la domanda se, in Europa, in futuro, potremo soddisfare i nostri bisogni energetici senza il nucleare”, e si tratta della classica domanda retorica dove la risposta è già bella che pronta. Possiamo essere certi che nel giro di qualche anno, quando il clamore mediatico sulla vicenda giapponese si sarà dissolto, l’atomo verrà nuovamente presentato come soluzione imprescindibile per la crescita, la ripresa economica e la lotta ai cambiamenti climatici; si dirà che le centrali di nuovissima generazione rendono praticamente nullo il rischio di incidenti, ecc. Bisognerà essere quindi pronti a replicare alle nuove mistificazioni degli apologeti nucleari.

In secondo luogo, lo spaccato che questo contributo presenta sul business dell’energia, nel suo piccolo, è assolutamente attuale: le scelte irragionevoli basate sull’ideologia della crescita, le ingerenze della politica, gli interessi delle banche e della finanza… Così come l’utopia concreta di un sistema energetico diverso, presentata nel capitolo finale, ispirato alla decrescita.

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