Sono stato cinque giorni alla Conferenza sulla Decrescita. Venezia2012. Su cosa sia la decrescita, o meglio la serie di movimenti di attivisti ed accademici ad essa legati sappiamo tutti già abbastanza.
Non vorrei però fare di questo articolo un collage delle mie impressioni raccolte in laguna. Ma piuttosto uno “sfogatoio” in cui raccontare quanto siano tristi i ritorni, soprattutto, quando le cose che a parole sembrano così chiare, diventano melma nella vita pratica di tutti i giorni. Bella Novità si potrebbe dire. Già so. E già sapete.
La decrescita non sarà felice, ma è reale. Torni domenica sera e ti ritrovi subito “la ragazza del lunedì”. Laurea magistrale in scienze della formazione e un master in tecniche d’apprendimento. Attualmente fa il Servizio Civile. Chiede come e dove poter chiedere o fare tirocini formativi all’estero. La ricerca porta altra ricerca: corsi per scrivere progetti, progetti per chiedere soldi, soldi che ti serviranno per pagare altra formazione. Ma la risposta è semplice: il lavoro, non c’è. La ragazza sta per mettersi a piangere. La accompagno a casa perché era venuta in treno e sta ad Empoli. Mangi, bevi il caffé, passi dal bagno (perché questa è l’unica vera sequenza vincente di ogni giornata) e ti metti al PC a farti cazzi altrui per un’oretta. Salvo scoprire che il PC ha un virus e non si accende più.
Ebbene non so se sono del tutto ateo, però se ci fosse un Dio credo che in certi casi dovrebbe scendere, non per aiutarmi, ma almeno per dirmi: “Se vuoi continuare ad offendere, cerca almeno di farlo con più creatività!“
Un primo pomeriggio ripensando alle critiche (seppur velate) che mi erano arrivate una settimana prima. E che forse, Dio, voleva indirettamente restituirmi (per i precedenti), per mezzo dei fiduciari di due Condotte Slow Food che si accusavano reciprocamente di rubarsi soci e di invadere i rispettivi campi.
E in cui non so come (o meglio lo so, ma non si doveva parlare di “buono, giusto, pulito”?), mi sono ritrovato (in mezzo) a cercare di mettere ordine in un progetto che li vuole partners (e non haters).
La facilitazione è lo sport del momento (del resto ero stato chiamato anche a Venezia per fare questo). Mi sono compiaciuto di avercela quasi fatta dopo aver pronunciato le parole magiche: “Signori! Ma di che stiamo parlando?” Adesso andiamo tutti nella stessa direzione: promuovere la filiera corta e la tradizione contro la globalizzazione sfrenata. Quanto bisogna spiegare, chiarire, discutere, anche quando di mezzo i soldi non ci sono. E quanto una persona (seppur ambiziosa, come me, lo ammetto) può resistere prima di dire “basta, tanto non ne vale la pena?” Tanto, penso. Perché anche se dicessi basta, per come stanno andando le cose, non credo che ne gioverei in qualche modo. anzi, probabilmente sarebbe peggio. E poi uno dopo un po’ ci prende anche gusto.
Io penso adesso che la decrescita, oltre che reale, sia anche buona o meglio NECESSARIA. Ma quanto sarà giusta? E soprattutto quanto sarà pulita? Perché a Venezia, al meeting sulla decrescita, di verità ne sono state dette eppure sacrosante, ma quasi tutte da professori universitari. E il giochino resta sempre il solito: “professore lei lo stipendio sicuro ormai ce l’ha, ma io, adesso che non ho il lavoro, che faccio?“
Se ci penso un po’ mi dispiace. Per quarant’anni quasi tutti quelli che si sono impegnati per le cause ambientaliste hanno sofferto la loro scelta.
O meglio, hanno spesso lottato con tutte le forze per poter navigare contro-corrente. Per dire al mondo che stava andando in una direzione sbagliata. Sbattendo contro muri indistruttibili fatti di sviluppo, business, globalizzazione. Si sono beccati denunce, isolamenti, ricatti.
Perché tutto ciò che adesso chiamiamo Sviluppo Sostenibile, semplicemente Sostenibilità oppure Decrescita ebbe più o meno inizio con il Rapporto sui limiti dello sviluppo, del 1972. 40 anni esatti.
E adesso che il famigerato Picco di Hubbert è stato superato c’è da cambiare rotta, piuttosto velocemente. C’è ancora chi non crede che le risorse (soprattutto quelle fossili) siano più o meno finite, ma ormai, la minoranza, per fortuna o purtroppo, almeno nel mondo più “civilizzato” (sempre che si concordi sul cosa voglia dire) sono loro (parere del tutto personale). Comunque chi vuole saperne di più sulla cosa e legge decentemente l’inglese faccia pure un giro su http://watd.wuthering-heights.co.uk/mainpages/objections.html.
Ecco, posso però capire l’orgoglio ferito di molte di queste persone, quando adesso, spesso, molti giovani che vivono in un mondo diverso, in e di crisi, che mastica quotidianamente parole come green, eco, decrescita, non conosce la storia dei quarant’anni precedenti.
E quindi non riconosce il giusto tributo e i meriti a chi ha prodotto le idee che ora, più o meno coerentemente, anche loro portano avanti. In questi casi il “ve l’avevo detto” scappa facilmente di bocca in effetti.
Ma tant’è, le avanguardie sono anche questo: aprono strade che spetta ad altri percorrere. E così pare essere. Anche se, quelle strade, sono solo all’inizio e la destinazione resta incerta. Moltissime sono le possibilità, altrettanti i rischi.
Rob Hopkins ci consiglia ad esempio di partire dalla nostra piccola cittadina per guidare la transizione. Altri, come più volte detto, si stanno semplicemente attrezzando per una nuova opportunità commerciale: la green economy. Già sapete, già sapete.
Ora, cosa c’è di male in questo? Per prima cosa le idee. Le idee sono come la bellezza. Effimera e spesso fine a sé stessa. Proprio come le top model passati i trent’anni iniziano a diventare sempre più cadenti e sempre più pallose. Si trasformano spesso in quelle mummie che si chiamano ideologia e fanno più spesso danni che benefici. Seconda cosa: i quattrini. Devo aggiungere altro?
Staremo a vedere. Per ora diamo un’altra pochina di fiducia al genere umano.