“Era il 1979, e come spesso accade fu un poeta a proiettare lo sguardo sul futuro. «I francesi non si sveglieranno fino a quanto la cattedrale di Notre Dame non sarà diventata una moschea», scrisse Emile Cioran. Nei vent’anni successivi l’Occidente ha continuato a sonnecchiare, aderendo più o meno acriticamente all’idea politicamente corretta in base alla quale i popoli sono tutti uguali, hanno tutti i medesimi diritti e dovere dei più «ricchi» è quello di accogliere i più «poveri»….
Due giorni fa, il 7 gennaio 2015, il massacro di giornalisti satirici commesso a Parigi da algerini-francesi ha gettato un’ombra sul modello assimilazionista in base al quale le porte di Francia si aprono solo a chi è disposto ad aderire ai principi e ai valori condivisi dai francesi. Non c’è dunque un sistema perfetto quanto a convivenza tra etnie e religioni diverse. C’è invece la marea montante delle muove migrazioni globali. Fermarle è impossibile. Si può però provare a governarle. E’ davvero ancora scandaloso sostenere l’opportunità di regolarizzare gli extracomunitari in base alla loro etnia e alla religione che professano? Il razzismo non c’entra, c’entra il fatto che non tutti i popoli sono egualmente assimilabili e se l’obiettivo è la civile convivenza sarà più facile raggiungerlo in presenza di un terreno comune. Tra Mario Rossi e un filippino ci sono di sicuro più punti di contatto che tra Mario Rossi e un algerino. Non si risolve il problema, certo, ma lo si contiene almeno un po’. Dice: la maggioranza dei musulmani appartiene all’«Islam moderato». Siamo tutti d’accordo, ci mancherebbe. E’ ovvio che non tutti i musulmani sono terroristi, tuttavia i terroristi che oggi ci minacciano sono tutti musulmani. Perciò teorizzare l’esistenza di un «Islam moderato» non basta più… se è vero che «siamo in guerra», in guerra la solidarietà non basta. Occorre calarsi tutti nella medesima trincea”
(Andrea Cangini, Il Resto del Carlino, 9 gennaio 2015)
Quando accadono eventi come il vile e sanguinoso massacro della redazione di Charlie Hebdo, succede sempre che qualche membro dell’establishment – nel caso specifico Andrea Cangini, direttore dello storico quotidiano bolognese Il Resto del Carlino – non si faccia scrupolo di esprimere opinioni ‘oscene’, nel senso letterale del termine, cioé considerazioni che di norma si evita attentamente di esprimere sulla ‘scena’ pubblica, ma che sono tacitamente condivise dalla propria cerchia di riferimento.
Le idee di Cangini sono inequivocabilmente fasciste, essendo il fascismo l’ideologia rifiutante il principio per cui tutti gli esseri umani sono uguali e portatori degli stessi diritti; ma denunciare solo questo aspetto sarebbe limitarsi alla superficie. Il direttore del Carlino decreta senza mezzi termini la fine di quella che Immanuel Wallerstein chiama ‘ideologia del centro liberale’, ben rappresentata dal discorso di insediamento di Truman del 1947, “un programma nuovo ed audace, per rendere disponibili i benefici delle conquiste scientifiche e del progresso industriale americano per l’avanzamento e la crescita delle aree sottosviluppate”. L’era dello sviluppo’, in realtà, è già in crisi dall’inizio degli anni Settanta, quando il boom economico si è bruscamente inceppato, sono comparsi i primi sintomi di gravi disordini ambientali e i movimenti fautori della decolonizzazione – immedesimatisi nello stereotipo del ‘sottosviluppo’ affibbiato dall’Occidente – hanno fallito gli sforzi per la modernizzazione, tradendo promesse e aspattive, favorendo l’insorgere di rigurgiti reazionari in versione post-moderna, quali appunto il fondamentalismo religioso. La fine della conversione del dollaro in oro (1971), Il rapporto sui limiti dello sviluppo (1972), la crisi del Kippur e la conseguente chiusura dei rubinetti del petrolio da parte dei paesi dell’OPEC (1973), la rivoluzione khomeinista in Iran (1979), sono stati tutti chiari segnali della fine di un’epoca che, con i suoi enormi difetti, è stata contrassegnata anche da un idealismo alquanto ingenuo, ma sincero.
La successiva svolta neoliberale, iniziata dal duo Reagan-Thatcher e perfezionata da Clinton e dai governi di centro-sinistra europei degli anni Novanta, ha messo al bando ogni ‘buonismo’ battendo forte sul tasto del ‘merito’: non esistono diritti universali, bisogna guadagnarseli sul campo; ogni singolo cittadino è come un’azienda, e la società non è altro che una competizione tra individui-imprenditori per prevalere ed evitare il fallimento. Chi si ferma è perduto.
Rispetto agli anni Settanta, il XXI secolo si trova a fare i conti con una popolazione mondiale quasi raddoppiata, un degrado ambientale e una scarsità di risorse che hanno ampiamente superato il livello di guardia, la bramosia dei paesi BRICS per raggiungere il tenore di vita occidentale. L’utopia universalista di Truman si trasforma in aspirazione di élite, perché oramai ci sono troppi commensali per una torta sempre più piccola: qualcuno deve inevitabilmente farsi da parte, bisogna determinare i sommersi e i salvati della situazione. Per comprendere tutto ciò non occorrono brillanti intellettuali ‘responsabili’ (o ‘pifferai’ – dipende dai punti di vista), c’è chi lo ha capito da tempo senza per questo essere renumerato con la direzione di un grande quotidiano, anche perché si ritrova condannato senza appello tra i sommersi.
I paesi del Sud del mondo dove attecchisce maggiormente il messaggio fondamentalista sono caratterizzati da masse di popolazioni povere, rifiutate dalla società globale in quanto sovrabbondante di mano d’opera non qualificata a basso costo e troppo immerse nella miseria per assurgere a consumatrici rilevanti per la sorte dei mercati internazionali. Quello che chiamiamo ‘Islam moderato’, ossia le ricche oligarchie arricchitesi con i proventi del petrolio e delle materie prime, non ha alcun interesse verso questi sfortunati concittadini: piuttosto, come dimostra il recente caso Etihad-Alitalia, si preferisce investire nella attività economiche e finanziarie occidentali più redditizie.
Gli unici che si avvicinano alle masse rinnegate sono i fondamentalisti islamici. Rispetto a una società globale che proclama la loro irrilevanza e futilità esistenziale, i fondamentalisti propongono una visione dove non solo essi recuperano una dignità, ma addirittura diventano strumenti per i progetti di Dio; la loro vita assume uno scopo, tanto infamante quanto grandioso. Farsi esplodere in un attentato suicida, per chi vive in simili condizioni, è la rivisitazione aberrante del diritto ai quindici minuti di notorietà teorizzato da Andy Warhol: hai ‘lasciato un segno’ che, nel caso del kamikaze, è indelebile nel vero senso del termine. Il riscatto avviene trascinando altri nel tuo stesso baratro.
Queste masse, probabilmente, condividono la stessa forma mentis di Cangini: non tutti gli imperialisti sono occidentali, tuttavia gli imperialisti oggi sono tutti occidentali. Gente come Tony Blair, il quale, dopo una guerra costata la vita a migliaia di civili alla ricerca di fantomatiche armi di distruzione di massa, nel suo libro di memorie non mostra il minimo pentimento e anzi si dichiara orgoglioso di quanto fatto; un giudizio evidentemente condiviso nelle alte sfere, visto che, terminata la sua carriera politica, è stato nominato dall’ONU inviato per la pace in Medio Oriente (un po’ come promuovere Dracula funzionario dell’AVIS), compito che alterna a quello di consigliere economico del presidente egiziano golpista Al Sisi.
Sulla base di ciò, non dovremmo eccessivamente accanirci con Cangini, nel senso che, al di là delle sue esternazioni, nei fatti è da molto tempo che la vita degli esseri umani non viene valutata allo stesso modo: ci sono popoli (ceceni, serbi, afghani, iracheni) che possono morire a causa di conflitti intrapresi in palese violazione del diritto internazionale; altri che subiscono rappresaglie motivate dal ‘diritto alla difesa’ (palestinesi); i dodici morti francesi di Charlie Hebdo hanno un peso specifico-mediatico chiaramente superiore alle duemila vittime nigeriane dell’immediatamente successiva strage di Boko Haram.
Cangini ci chiede semplicemente di fare un passo in più, di tradurre questa prassi in principi da mettere nero su bianco, di distinguere in modo inequivocabile chi è ancora accettabile e chi è troppo diverso da noi, differenziandone i diritti e dichiarando guerra a chiunque non accettasse questa segregazione. E’ un’operazione in cui c’è molto da guadagnarci, del resto.
Tra le nazioni abitate da popoli di etnia e religione ‘incompatibili‘, ce ne sono molte dell’Africa e del Medio Oriente ricche di materie prime fondamentali. Scriveva due anni fa Giulio Sapelli sulle pagine del Corriere della sera, approvando l’intervento militare francese in Mali: “le risorse energetiche del colosso africano sono legittimamente viste come il cuore della crescita, anzi, io aggiungerei della sopravvivenza futura”. (L’Islam radicale e la nuova Africa sono un test per l’Europa, 18-01-2013). Come potesse Sapelli, keynesiano di sinistra, ritenere ‘legittime’ le pretese europee sulle risorse del Mali, non è dato di sapere; ma se, come Cangini, annunci pubblicamente la fine dell’uguaglianza dei popoli, non hai più bisogno di accampare giustificazioni balorde o passare attraverso lunghe procedure burocratiche come quelle del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Certi popoli sono intrinsecamente pericolosi, quindi qualsiasi ‘guerra preventiva’ è sempre stata dichiarata troppo tardi.
È persino comprensibile, dal loro punto di vista, che Sapelli e Cangini non si ritengano razzisti. Razzismo è l’atteggiamento irrazionale di Hitler con gli ebrei, che lo portò a sprecare preziose risorse economiche e militari per mantenere in piedi la macchina dello sterminio; è l’odio dell’ultras che insulta il giocatore di colore della squadra avversaria. Sapelli e Cangini, invece, effettuano un’analisi razionale della situazione: gli europei consumano risorse equivalenti a quelle di due pianeti Terra e mezzo, da qualche parte bisogna pur attingere, e bisogna parare la reazione presumibilmente non entusiastica di chi si vedrà immolato sull’altare della crescita altrui. Si decreta la morte di innumerevoli persone, ma senza alcun risentimento personale nei loro confronti.
Per chiudere, un consiglio e un avvertimento. Il consiglio riguarda il Giorno della Memoria dell’Olocausto, il 27 gennaio: quest’anno, visto il clima che aleggia, non ricordiamo la liberazione di Auschwitz – ossia la fine della Shoah – ma l’inizio di tutto, le leggi di Norimberga del 1935. Quando non si parlava ancora di rastrellamenti, deportazioni e camere a gas, ma si volle dare legittimità giudica alle disquisizioni sulla ‘non assimilabilità’ tra cultura tedesca ed ebraica, della relativa fallacia del principio di uguaglianza e dell’impossibilità di accordare i medesimi diritti a entrambi i gruppi. Certo che, allora, parlare di discriminazione per etnia e religione era orgogliosamente considerato un atto razzista.
L’avvertimento invece riguarda il fatto che, se ‘siamo in guerra’, allora qualsiasi atteggiamento contrario alla linea dominante è da intendersi come tradimento e diserzione, e si sa in guerra come si puniscano tali comportamenti.
PS: volevo intitolare questo articolo ‘Il Resto del Mein Kampf’, utilizzando come immagine in evidenza una foto di Cangini ritoccata con i baffetti alla Hitler. Questo non perché il direttore del Carlino sia il nuovo Fuehrer, ma per sperimentare – in un momento in cui tutti all’unisono dichiarano ‘io sono Charlie’ ed esaltano la satira (anche quella più dissacrante, in pieno stile Charlie Hebdo) come una forma imprescindibile di libertà di espressione, esempio di superiorità della civiltà occidentale sulla barbarie islamica – se tutto ciò corrisponde al vero o se sono solo chiacchiere strumentali. Dopo breve riflessione però, credendo di conoscere già la risposta, ho preferito evitare possibili risvolti legali per me e DFSN, consapevole che Wolinski e compagni, da qualche parte, stanno maledendo la mia codardia.
Molto stimolante la Tua analisi: credo che si tratti di scegliere in quale direzione vogliamo muoverci; vogliamo segnare le differenze e allontanarci dal mondo degli svantaggiati o vogliamo cominciare ad avvicinarci ( decrescendo ) e occupare di nuovo spazi sociali e culturali più vicini a quelli dei nostri vicini?
Quel “maledendo” all’ultima riga è corretto?
Ciao.
Sì è corretto. Quando fecero quelle vignette su Maometto, nel 2008 mi pare, pensai che i vignettisti stessero sbagliando non per la dissacrazione in sé dell’Islam, quanto perché la satira deve attaccare i potenti, e i popoli da cui origina il fondamentalismo sono tutto tranne che potenti. Detto questo, avevano un coraggio da leoni, non si sono fermati neppure davanti alle minacce di morte. Non ho messo ‘je suis Charlie’ su Facebook o altrove perché non lo sono, se lo fossi non mi tirerei indietro davanti al rischio di una denuncia per una foto ritoccata (per i contenuti che scrivo invece mi assumo ovviamente tutte le responsabilità). Quindi penso che da qualche parte mi stiano maledendo perché loro al posto mio non ci penserebbero un secondo a fare una vignetta Cangini-Hitler e a dare un titolo fortemente dissacratorio all’articolo.
Condivido al 100%.
… mi riferivo alla lingua: ma non si dice ” maledicendo”?
In realtà si possono dire entrambi, anche se ‘maledendo’ è in effetti più usato nella poesia (una sillaba in meno) mentre ‘maledicendo’ è un calco sul latino ‘maledicere’. Abbiamo lettori attenti! 🙂
No! Sono solo uno di quei coglioni che si ostina ad usare il congiuntivo.
Questo però è un gerundio…
Lo so! Volevo solo dire che faccio parte di quelli , come Te, che amano scrivere e parlare un italiano corretto e comprensibile.
Mi piace queste garbato alterco fatto di frecciatine velenose.
A parte i giochi…. mi piace quello che scrivi!
…d’accordo con te, ottima analisi…..”noi” occidentali rimaniamo allibiti quando altri si comportano da pazzi nei nostri confronti….ma non teniamo conto delle scelleratezze che compiamo quotidianamente nei loro confronti….e poi “loro” pazzi lo diventano per vendetta…..”noi” per una miserabile ricerca del profitto….