Qualche giorno fa, sul sito di Arianna Editrice, Guido Dalla Casa ha pubblicato una breve riflessione intitolata ‘Ascoltare la scienza?‘, dove in estrema sintesi riporta concetti già espressi in altri articoli e libri applicati al caso concreto della pandemia da Covid-19.
Non trovo nulla di particolare da eccepire, tuttavia ho l’impressione che i suoi ragionamenti trascurino un aspetto secondo me imprescindibile, ossia l’atteggiamento con cui fruire della scienza soprattutto quando, come il cittadino medio, non si vantano particolari titoli o competenze in materia.
A tale riguardo, sta girando sui social network un post riguardante il Covid (ma il concetto di per sé può riguardare tante altre tematiche) di cui riporto un estratto che, purtroppo, temo rifletta un sentimento abbastanza condiviso:
Non ho ricevuto le mie informazioni per telepatia, connessa al Grand Guru della Suprema coscienza. Gli articoli su cui mi baso sono stati pubblicati da medici, infermieri e scienziati il cui diploma è altrettanto valido di quello dei pro-governo. L’unica differenza è che questi non vengono pagati dai laboratori farmaceutici.
Quindi, di fronte a due opinioni contraddittorie, mi assumo totalmente di credere l’uno piuttosto che l’altro.
Prima però di entrare nel merito, è doverosa una premessa fondamentale. Dalla Casa ha enfatizzato l’antidogmatismo come carattere fondamentale della scienza; io, pur condividendolo, rimarco altresì che esso deve sempre accompagnarsi al rigore. Figure come Galileo o Einstein, solo per citare due geni noti a tutti, si sono distinte perché capaci di portare salde evidenze a sostegno delle loro visioni anticonformiste; volendo invece essere originali ed ‘eretici’ a ogni costo, persino delle menti brillanti sono incappate in misere figure.
Il rigore spesso si può riconoscere anche senza possedere particolari conoscenze specialistiche. Serve molto poco, ad esempio, per apprezzare la profondità di analisi del più completo studio sul funzionamento del clima rispetto alla vuotezza superficiale delle chiacchiere interessate a negare o ridimensionare l’influenza antropica. Così come sarebbe bastato un minimo di obiettività per accorgersi delle fallacie di un articolo di Maurizio Blondet del 2015, basato su alcuni studi di cui era palese la debolezza, volti a correlare la diffusione della celiachia con l’impiego dell’erbicida Roundup: condiviso sul Web da tanti ecologisti con il paraocchi, alla fine si è rivelato utile solo ai vari guru dell’agricoltura industriale e ai debunker faziosi per gridare alla malafede ignorante dei sostenitori del biologico e degli ambientalisti in generale. (qui per chi fosse interessato ai dettagli della vicenda).
Attualmente, tra letteratura scientifica e divulgazione di ogni genere, si possono facilmente trovare persone ‘con diploma valido’ sostenere tutto e il contrario di tutto, per cui, se seguiamo la logica del già citato post sul Covid, ognuno diventa libero di elevare la propria opinione a fatto scientifico, previo un piccolo sforzo di ricerca in Rete. Pertanto, pur unendomi all’appello di Dalla Casa affinché chi ‘produce’ scienza si sforzi di evitare il dogmatismo, devo anche spronare chi la ‘consuma’ ad assumere il genuino atteggiamento di comprendere la realtà accantonando le pretese ideologiche, pena annegare in una melassa postmoderna dove ogni sforza di conoscenza è vano e sostanzialmente ‘vale tutto’.
In quest’ottica, sarebbe sicuramente alquanto dogmatico ritenere falsità propagandistica tutto ciò che proviene dal mainstream (o percepito come tale) e assumere invece per verità indiscussa ciò che suona ‘alternativo’ rispetto al pensiero supposto dominante. Le élite, quelle magari criminali ma non stupide, hanno bisogno di conoscere la verità per perpetuare il loro status: da qui si capisce il sostegno economico accordato da diverse multinazionali al Club di Roma per elaborare il Rapporto sui limiti dello sviluppo, l’esistenza dell’IPCC, l’attenzione che il Forum di Davos riserva a Oxfam e alle sue allarmate denunce sulla crescita delle disuguaglianze, nonché le recenti analisi di BP e altre compagnie del settore degli idrocarburi che suonano il de profundiis dell’industria petrolifera.
Viceversa, sparare teorie a effetto sperando nella grancassa del Web rappresenta il modo migliore per uscire dall’anonimato e conquistare le luci della ribalta. Durante questa pandemia, mi ha provocato non poco dispiacere vedere l’informazione che si propone come ‘alternativa’ incensare acriticamente figure di dubbio valore (i presunti candidati al Nobel si sono sprecati) o capaci di farsi notare solo per tesi sicuramente roboanti ma malamente supportate; per non parlare del principio di autorità accordato a scienziati dai grandi trascorsi ma oramai lontani da anni da qualsiasi serio lavoro di ricerca. Non è così che si combattano atteggiamenti faziosi e tendenziosi, certamente diffusi nel mainstream (come si fa allora? Io nel mio piccolo ci ho provato così e così)
Scrive Dalla Casa in conclusione al suo articolo:
Sia ben chiaro, personalmente sono decisamente a favore della Scienza, quella che si è liberata dai dogmi meccanicisti, ma non di quella scienza che si autoproclama la verità oppure un assoluto, che serve solo a perpetuare il sistema.
Il superamento del paradigma scientifico riduzionista-meccanicistico e l’approdo alla visione sistemica-olistica costituiscono una delle più grandi svolte epistemologiche della storia umana: non solo hanno permesso una comprensione del mondo naturale prima inimmaginabile, ma rappresentano anche l’unica via per una convivenza pacifica e fruttuosa tra umanità e biosfera; valorizzare questa forma di scienza è prioritario.
Per riuscirci, però, occorre uno sforzo incentrato sul progresso della conoscenza, non sulla mera speculazione polemica. Se cominciamo a usare l’epiteto ‘meccanicista’ solo per etichettare negativamente il ‘nemico’ di turno senza bisogno di argomentare – alla stessa maniera con cui normalmente si fa con ‘populista’, ‘globalista’, ‘radical chic’ e simili – non si va da nessuna parte; stesso discorso se ‘sistemico’ e ‘olistico’ si riducono a graziosi orpelli per apporre una patente di credibilità a pensatori di dubbio valore. Così facendo si spiana la strada alla dittatura degli indici bibliometrici e della peggior espertocrazia, non si promuove alcun rinnovamento.
Pertanto, prima ancora di interrogarsi sull’affidabilità della scienza, occorre prima ascoltare noi stessi, imponendoci una seria opera introspettiva per evincere il nostro grado di onestà intellettuale: se troppo basso, meglio starsene alla larga dalla scienza di qualsiasi genere essa sia, onde evitare di combinare guai.