Negli ultimi anni sempre più persone si sono interessate, in modo più o meno approfondito, al tema decrescita. La grande maggioranza di queste persone, tuttavia, condivide le tesi dei movimenti della decrescita a livello intellettuale, senza sforzarsi di metterle in pratica riformando il proprio stile di vita in maniera significativa. In tal modo la decrescita sarà sempre condannata a rimanere utopia.
Come ho scritto in precedenti articoli su questo e altri blog, l’unico approccio efficace ai problemi causati dall’ideologia della crescita senza limiti è un approccio di tipo multidimensionale. A mio parere, tuttavia, le varie dimensioni che garantiscono l’efficacia di un tale approccio (dimensioni politica, economica, istituzionale ecc.) fanno perno tutte sulla dimensione culturale: le idee degli individui ma soprattutto le pratiche che essi mettono in atto nel quotidiano. Non importa quante migliaia di libri riusciranno a vendere il Latouche o Pallante di turno, fintanto che le persone non adotteranno stili di vita ecocompatibili (la parola “sostenibili” la lascio ai feticisti della crescita economica) nessun reale cambiamento sarà possibile.
Seppure la dimensione culturale costituisca il punto pivot attorno al quale vanno orientati gli sviluppi nelle altre dimensioni, non andrebbe sottovalutata l’impellenza di un risveglio della politica. Attraverso un tale risveglio potrebbe rendersi possibile l’avvio di riforme istituzionali di impronta ecologica le quali procedano fra le altre cose all’elaborazione di normative restrittive nei confronti della pratica industriale dell’obsolescenza programmata [1], vero e proprio ecocrimine alla base di una parte significativa dei nostri sprechi di risorse e di beni.
La politica potrebbe e dovrebbe inoltre avviare campagne di sensibilizzazione mainstream, attraverso le scuole, i media e le istituzioni pubbliche, innanzitutto sui temi dell’ecologia e della lotta agli sprechi e in seguito, o meglio parallelamente alle necessarie riforme degli apparati industriali, agire sul linguaggio, avvalendosi delle autorità nella cultura e nelle istituzioni, al fine di favorire la sostituzione di parole eco-nocive come “consumo” e “consumismo” con altre maggiormente eco-compatibili come “utilizzo” e “benessere”. Andrebbe infine riconcettualizzata la parola più pericolosa per il pianeta e per gli uomini che il linguaggio moderno possegga: “crescita”.
Questa breve parola viene associata oggi, dai principali media e nel sentire comune, con ogni bene l’uomo possa desiderare: essa è la macchina produttrice di sogni che ha permesso alle industrie di sorgere e ai comfort di moltiplicarsi. Ebbene, oggi quella stessa macchina si sta lentamente tramutando in una macchina produttrice di incubi: gli incubi del surriscaldamento globale, della desertificazione, della fine delle risorse, dell’iperproduttivismo e dell’iperconsumismo.
Affinché questa macchina si fermi è necessario che sia la cultura [2] a tirare la leva dei freni, e la politica può rendere tale compito più facile, a patto che ritrovi nel bene comune il proprio scopo.
Ma non facciamoci illusioni: non sarà un compito facile. Rinunciare volontariamente ai lussi di una vita sopra le possibilità del pianeta implica uno sforzo sostanziale. Si tratta di rinunciare al superfluo per riscoprire l’essenziale, cioè in ultima istanza la propria qualità di esseri umani; abbandonare il ben-avere per riscoprire il ben-essere; riguadagnare una socialità liberata dalle mura dei centri commerciali, dal grigiore del consumismo a occhi bassi. Detto schiettamente: si tratta di alzare gli occhi dai rifiuti del consumato per rintracciare le proprie qualità umane in un abbraccio con l’altro e con l’ambiente.
Si tratta di rimboccarsi le maniche, aprire la mente e iniziare a porre le basi per la realizzazione di un’utopia necessaria e possibile.
note:
1) per obsolescenza programmata si intende la fabbricazione di prodotti realizzati scientemente in modo tale che posseggano una vita breve, così da favorire ulteriore consumo, ulteriori sprechi e ulteriori profitti.
2) non intendo qui cultura nell’accezione di “cultura alta”, bensì nella sua accezione antropologica come l’insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini.