La Terra dei Fuochi è un luogo dove l’umanità scolorisce e lo stato italiano lascia volentieri il posto all’oscurità. Lo dice, con una sentenza lunga oltre centottanta pagine, la Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). E lo dice, da trent’anni, chi ci vive. Come me.
Ricordo ogni parola urlata, ogni azione compiuta, ogni comunicato steso da attivista. Come ricordo tutte le rassicurazioni che ho dovuto dare, da contadina, alle persone che vedevano svanire i propri corpi nel fumo dei roghi e temevano, a ragione, per la propria salute.
Possiamo dire che i fuochi di rifiuti si siano ridotti? Si, possiamo. Sono sensibilmente meno per via della pressione che non abbiamo mai smesso di esercitare. Ma persistono, specie d’estate. Sintomo chiaro di una malattia mai sopita e lontana dall’essere debellata.
Alessandro Cannavacciuolo, il cui nome campeggia sul ricorso alla CEDU e attivista della prima ora, è convinto che nulla sia finito. Gli sversamenti continuano, mi dice al telefono, e la criminalità attende che le erbe siano abbastanza alte e secche per poter appiccare il fuoco. Si è adattata a controlli più serrati. Inoltre, i cumuli di rifiuti che non cessano di essere le bordure postmoderne dei nostri campi, vengono rimossi in tempi troppo diluiti e con un enorme aggravio ambientale. Senza ripulire le campagne, le strade periferiche, le basi dei cavalcavia e i luoghi meno battuti, le tanto attese bonifiche avrebbero un’efficacia relativa. Fuori dai siti rigenerati, continueremmo ad avere roghi.
Possiamo dire che i prodotti agricoli non siano contaminati? Con certezza. Le analisi effettuate dalla Regione Campania così come da enti indipendenti e da aziende estere nel corso degli anni ci dicono che non sono state rilevate criticità. Ma basta per dire che la terra è sana? Basta a garantire la salute delle persone nel tempo? Basta a dirci che non dobbiamo preoccuparci per il nostro futuro?
Lo studio effettuato dall’Istituto Superiore di Sanità in accordo con la Procura di Napoli Nord (2020) “fa comunque presente che molte delle patologie indagate, come quelle oncologiche, hanno lunghi periodi di latenza, e i contaminanti, come i metalli pesanti, se non bonificati, possono perdurare nelle matrici lungamente”. I terreni potrebbero inaridirsi (si inaridiscono), le persone continuerebbero (continuano) ad ammalarsi.
L’Università Cattolica di Piacenza ha condotto un altro studio, molto recente, su colture a ciclo breve come le lattughe per verificare le loro reazioni alle micro e nanoplastiche. A contatto con queste ultime, le piante registrano alterazioni metaboliche, effetti negativi sulle popolazioni microbiche della rizosfera e, sul lungo periodo, manifestano alterazioni della fotosintesi. Il mondo senza la capacità tutta vegetale di tramutare la luce in vita non ha prospettive. Un’ipotesi questa, che suona per il Prof. Lucini come “un campanello d’allarme”.
Tutto da definire meglio, certo, da perfezionare con altre ricerche, ma sono convinta che la guerra dei dati scientifici non sia più necessaria: il buon senso, la precauzione e le carte già copiosamente prodotte avrebbero dovuto essere già da lungo tempo sufficienti a pacificare la Terra dei Fuochi. E a renderla un luogo sicuro.
Invece, le istituzioni hanno taciuto: “era necessaria – si legge nel dispositivo della sentenza CEDU – una strategia di comunicazione completa ed accessibile per informare la popolazione sui rischi potenziali e reali”; che c’è “un rischio sufficientemente grave, reale e accertabile (imminente)” e che “non ci sono prove che lo stato abbia dato una risposta sistematica, coordinata e completa”.
Il vicepresidente della Regione Campania, Fulvio Bonavitacola, emette un comunicato in cui si legge che “si tratta di un fenomeno che ha segnato il periodo antecedente alla denuncia del 2013”: siamo davanti a manifesta malafede. E se si smetterà di fare pressione, di alzare la voce, non faranno nulla, perché la nostra specie (soprattutto se politicamente esposta) persiste nel naufragio antropocentrico, solcando i mari della stupidità. Non ci si dica – non più – che un profilo basso è utile a proteggere l’agricoltura campana: l’agricoltura ha bisogno di terre pulite e di garanzie di salubrità, come il popolo campano ha bisogno di democrazia e di ascolto.

La nomina dell’ennesimo commissario alle bonifiche, un generale, suggerisce al contrario che il governo Meloni sottovaluta l’importanza del coinvolgimento dei cittadini ed elude il portato stesso della sentenza europea.
Si tratta, nero su bianco, di diritti umani violati. Di brutalità, di condanne a morte e di repressione. Si è fatto allora. Si prosegue oggi.
In questa persistente incertezza, in cui si continua a morire per malattie oncologiche e l’accesso a cure tempestive diventa sempre più appannaggio di chi può permettersele (o fa debiti per pagarle), in quale direzione andare? Oltre alla pressione politica, quali responsabilità delineare?
Non mi riferisco ad una corretta raccolta differenziata (peraltro indispensabile), ad un’impiantistica finalmente volta al riuso e al riciclo dei rifiuti (non all’incenerimento) o a normative che riducano l’impatto ambientale in sede produttiva. Sono argomenti – questi come altri – che da tempo fanno parte delle piattaforme politiche dal basso.
Io rispondo per il mestiere che faccio e ritengo ci siano almeno tre punti da mettere in luce, visto che la politica raramente se ne occupa:
1. una responsabilità sitospecifica dei contadini. L’agroecologia è una tecnica profondamente rigenerativa delle matrici ambientali e fortemente necessaria nei luoghi soggetti a gravi forme di inquinamento. La deontologia professionale dovrebbe imporci scelte tecniche adeguate al territorio in cui viviamo. E, credetemi, ormai tutti i territori denunciano criticità ambientali. I contadini dovrebbero sempre essere custodi della terra, non i suoi carnefici.
2. una responsabilità collettiva verso i contadini. Uno stato degno di essere chiamato tale e che avesse davvero a cuore il futuro dell’umanità, dovrebbe comprendere che la transizione agroecologica non è cosa che si possa fare senza destinare finanziamenti ad hoc e senza un’adeguata formazione. Ma qui si guarda, invece, agli industriali dell’agricoltura e alle grandi case farmaceutiche.
3. una nuova cultura del rischio. In un paese dove non si legifera più e dove il delinearsi di conflitti in Europa non porta che l’abbandono sistematico dei cittadini svantaggiati; dove la destra ci aizza contro le persone migranti e blandisce il nuovo Hitler americano; dove il ruolo cruciale delle donne nelle aree rurali viene sminuito, temi come la prevenzione primaria, il principio di precauzione e il reddito di cura per chi svolge un lavoro di protezione della terra e del territorio, appaiono inesistenti. Inutile, del tutto inutile, parlare di corretti stili di vita se il cibo a cui abbiamo accesso è compromesso dall’uso standard di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici. Oltre che portatore di gravi ingiustizie sociali.
Insomma, la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani dovrebbe essere il gancio per politiche di ampio respiro e potrebbe fare della Terra dei Fuochi un modello di civiltà ritrovata.
Avete presente la clip generata dall’AI per Gaza? Togliamo gli elementi sessualizzanti e l’aberrante declinazione capitalistica di Trump. Proviamo solo a immaginare la Campania libera dai rifiuti, con le sue ampie pianure destinate ad un’agricoltura dolce, dove il rosso dei pomodori si alterna all’oro dei girasoli…i bambini giocano accanto a stagni popolati da raganelle e le vasche della canapa rivivono come orti fuori terra. Le lucciole, di sera, fanno luce per i nostri occhi stanchi. Le stelle limpide segnano la rotta per tutti noi.
Vi sembra un innocuo esercizio di immaginazione? Non lo è. Solo immaginando il futuro sapremo agire per inverarlo.
Sappiamo già – lo dice l’Europa – che niente di tutto questo accadrà se non ci faremo sentire. E l’Italia perderà, come al solito, una grande occasione per dirsi democratica e migliore.
Foto immagine in evidenza: Mauro Pagnano