Tempi cupi – Lettera aperta ai decrescenti

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testieraTutte le persone di buon senso saranno concordi nel ritenere il detto ‘tanto peggio, tanto meglio’ una solenne sciocchezza, ma molte potrebbero accettare alcune sue versioni più soft e argomentate.

Negli ultimi anni ad esempio va di moda pensare alla ‘crisi come opportunità’, un’idea per cui sono stati scomodati persino gli ideogrammi cinesi. Tuttavia, se vogliamo cercare precedenti storici di crisi economiche globali, c’è ben poco da stare allegri: la grande depressione di fine Ottocento ha avuto come strascico la Grande Guerra; la crisi del 29 ha favorito l’instaurarsi del nazi-fascismo e l’avvento del secondo conflitto mondiale; lo shock petrolifero degli anni Settanta è stata il volano per l’affermazione del pensiero unico neoliberale. Insomma, queste crisi hanno rappresentato sì un’opportunità, ma per idee decisamente poco raccomandabili.

Non c’è nulla di strano del resto. E’ normale che queste crisi capitalistiche improvvise e repentine gettino nel panico la grande maggioranza della popolazione inconsapevole, portata quindi a sostenere chi predica il ritorno alla normalità anche a costo di gravi concessioni. Come notò acutamente Karl Polanyi, il fascismo ad esempio prometteva di ovviare alle crisi cicliche e alle storture più evidenti del capitalismo, al modico prezzo della libertà e dell’instaurarsi della dittatura.

La recessione, ben lungi dallo spianare la strada alla decrescita, sta spalancando le porte all’ideologia dell’austerità e dell’emergenza, secondo cui i popoli (specialmente quelli dell’Europa mediterranea) sarebbero vissuti ‘al di sopra delle proprie possibilità’ a causa anche di un sistema politico troppo farraginoso e dipendente dalla volontà popolare, incapace di attuare le ‘riforme’ sgradite ma necessarie, che come tutte le medicine hanno un gusto cattivo per chi le assume.

Come i fatti recenti in Italia e Grecia hanno dimostrato, questo efficientismo economico ha in forte spregio la democrazia, persino quella blandamente rappresentativa: “il popolo non ha più la fiducia del governo” (Berthold Brecht). In Italia, le tre principali istituzioni politiche – presidenza della repubblica, governo, parlamento – supportate dalle due maggiori forze politiche (1), si sono impegnate a trasformare in diciotto mesi la nazione in uno stato presidenziale, in modo da ampliare i poteri del governo e ridurre al minimo le varie forme di opposizione anche extraparlamentare (referendum, scioperi, manifestazioni di protesta) che sono riuscite in questi anni a contrastare efficacemente manovre quali la distruzione del welfare, la privatizzazione dell’acqua, la costruzione di infrastrutture inutili o il ritorno all’energia nucleare. Vista la sudditanza dei politici ai potentati europei e mondiali, si direbbe che si vuole un governo più forte per un’Italia più debole.

Non occorre essere degli idolatri della costituzione del 1948 per capire che la restrizione degli spazi di libertà politica possono  giovare solo a chi vuole conservare lo status quo spacciandosi per innovatore e salvatore della patria, né più né meno del fascismo novecentesco; e da qui nasce il mio appello ai decrescenti.

La riscoperta della dimensione spirituale insita nella decrescita è indispensabile, essa permette di astrarsi dal contingente, di togliere il velo alla realtà e di apprezzare cosa sia veramente importante e cosa no, e più in generale di sfuggire alla disperata logica del produci-consuma-crepa. E’ però sempre in agguato una pericolosa trappola, quella del ripiegamento privatistico nella sfera interiore, storicamente un rifugio costante delle masse nei periodi storici in cui il potere diventa imperscrutabile e non influenzabile.

Se pensiamo alla decrescita principalmente come filosofia di vita per ‘stare bene con se stessi’ e ci concentriamo sugli aspetti meramente pratici – mi verrebbe da dire: se riduciamo la decrescita al downshifting – involontariamente finiamo per favorire l’atomizzazione sociale, con tutto ciò che ne consegue. Significa rendere l’idea più radicale della nostra epoca connivente del furto deliberato di libertà e autonomia che si intende perpetrare.

Invito tutti i decrescenti, a partire da ora, a riflettere seriamente sulle lotte politiche che da qui ai prossimi diciotto mesi investiranno il processo di revisione costituzionale, anche quelle che sentono più estranee. Pur con tutte le (enormi) storture del sistema attuale, chiederei a ognuno di interrogarsi sulle conseguenze di uno stato più accentrato e decisionista, che vede nei suoi cittadini solo una fonte di auto-legittimazione plebiscitaria. Direi che le conclusioni plausibili sono essenzialmente tre:

1) credere che la cosa non riguardi direttamente, in quanto la propria dimensione spirituale e l’approccio alla decrescita resteranno inalterati a fronte di qualsiasi cambiamento politico. A chi la pensa così farei notare che il medesimo atteggiamento potrebbe assumerlo chi intende la vita come il possesso di una bella macchina, la frequenza di assidua di centri commerciali, la fruizione di intrattenimento televisivo, seguire le mode del momento, ecc.; guardo caso, proprio il genere di persona superficiale, apatico e indifferente da cui il decrescente vorrebbe differenziarsi.

2) essere preoccupati dai mutamenti politici, ma pensare che la decrescita in fondo è un passo ineluttabile a causa dei limiti naturali del pianeta. Se confidate in simili dialettiche storiche, vi consiglio di farvi raccontare da qualche vecchio comunista che fine ha fatto il rapido e radioso sorgere del sol dell’avvenire…

3) qualcuno potrebbe pensare che un’idea eterodossa di libertà come la decrescita possa sperare di diffondersi solo in un’ambiente aperto al confronto e al dibattito, non certo dove regnano omologazione e intransigenza dogmatica. E il tarlo del dubbio potrebbe insinuare il sospetto che l’avvicinamento alla decrescita è stato possibile grazie anche ad alcuni strumenti di quello stato sociale e di diritto che si vorrebbero smantellare, in materia di  di istruzione, assistenza e di tutela del lavoro.

Mi auguro vivamente che i decrescenti aderiscano in massa alla terza possibilità, per il bene di tutti.

(1) Forse è un po’ ridicolo chiamarle così, dato che in termini reali – contando quindi anche gli astenuti – alle ultime elezioni hanno rappresentato nel complesso meno del 35% degli aventi diritto al voto.

6 Commenti

  1. Sono riflessioni che giustamente vanno fatte.
    Ho avuto la sensazione, frequentando ambienti di decrescita o di stili di vita sostenibili, che si rischia di volersi distinguere da tutti gli altri, creando una ulteriore “separazione”.
    A me per prima questa riflessione, questo articolo, mi interroga. Anzi, mi invita a non perdere la connessione dagli altri, sia che siano decrescenti e soprattutto se non lo sono.

  2. Concordo pienamente, il rischio dell’atomizzazione é reale in un movimento come quello della decrescita. Il volere rimanere fuori da logiche politiche, che non sono sinonimo di logiche partitiche, significa votarsi all’isolamento.
    Per quanto riguarda la dimensione spirituale, se questa viene intesa come ripiegamento individualista, oppure apparentamento osmotico con tutte le forme viventi, un po’ New Age per parlare chiaro, credo sia una china pericolosa. Ma tenendo conto che la vita spirituale é una componente essenziale della nostra esistenza, quotidianamente calpestata dall’impero del materiale, credo anzi debba essere intesa come fattore rilevante di coesione, se non di vera e propria fraternità, e di spinta propulsiva al cambiamento delle coscienze. Il motto ‘ il pane e le rose’ é sempre attuale! Buon lavoro!

  3. A tutte le tue riflessioni, Igor, aggiungerei anche la chisura della TV di stato in Grecia: la polizia che spegne i ripetitori a seguito di una decisione univoca, e non ratificata dal Parlamento, di Samaras, sa di dittatura sudamericana.
    A questo punto c’è da chiedersi se i tempi lunghi che un cambiamento orientato alla decrescita sembra presupporre, avranno mai modo di dispiegarsi.
    La situazione è preoccupante, l’Europa tutta sembra prendere una piega autoritaria e repressiva, a volte mascherata e a volte no, e in Italia non si vedranno cambiamenti che non coincidano ancora una volta con gli interessi di chi governa.
    Tuttavia, nonostante l’angoscia, chiuderei citando chi è più bravo di me: “pessimismo dell’intelligenza, ma ottimismo della volontà”. Sforzarsi sul piano personale e comunitario è l’unica via possibile.

  4. Sì Igor, hai ragione, i tempi sono davvero cupi. Il tuo articolo ha il merito, non piccolo, di mettere molti decrescenti di fronte alle responsabilità di un atteggiamento passivo che si limita all’autoapprovazione del proprio stile di vita, nel nome di una coerenza individuale che non serve a un piffero. Beh, proprio a un piffero forse è eccessivo, perché ogni rivoluzione dovrebbe partire da una piccola rivoluzione all’interno dei soggetti che vogliono realizzare una grande rivoluzione sul piano sociale.
    Personalmrnte, come uomo da sempre di sinistra e come decrescente recente, sono convinto che i temi della decrescita debbano diventare argomenti di dibattito nelle piazze e nelle case. Di più, sono convinto che la decrescita oggi sia l’unica ideologia realmente rivoluzionaria e che perciò abbia bisogno di un soggetto politico che ne faccia il proprio cavallo di battaglia. Purtroppo ad oggi questo soggetto ancora non esiste, o esiste solo in embrione.

    • Ciao Danilo, beh vedo che abbiamo trascorsi simili! Secondo me nella sinistra ci sono già dei ‘decrescenti inconsapevoli’, ossia i fautori della società dei beni comuni, che non la intendano semplicemente come un revival delle classiche aziende municipalizzate.

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