Suspense fra decrescita e glocalismo

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taocaduceoDecrescita
Questo post è diviso in due parti: nella prima esprimo i miei dubbi sulla decrescita e nella seconda dirò come il glocalismo può risolverli. Volutamente, per creare un po’ di suspense.
“Un cittadino degli Stati Uniti consuma energia come due europei, sei cinesi, ventidue indiani o settanta abitanti del Kenya. Intanto nei prossimi trent’anni dovranno avere accesso all’energia altri 2,5 miliardi di persone”(Rapporto Annuale del Worldwatch Institute “State of the World 2010”). Con lo stile di vita statunitense, la Terra potrebbe reggere solo 1,4 miliardi di persone. Suicida pensare che possano uniformarsi ai canoni occidentali i circa 7 miliardi attuali e ancor meno i 2 miliardi prossimi venturi.
È oramai chiaro che il sistema consumistico è un sistema a termine. Deve essere cambiato pena gravi conseguenze. Un’alternativa è la decrescita.
Rivalutare l’acqua del rubinetto, dato che l’Italia è fra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia. Vendere il latte crudo, non pastorizzato; dal produttore al consumatore, come i gruppi di acquisto solidale. Riciclare il più possibile, anche cose che non servono più, barattandole.
Decrescita e/è tanta nostalgia: il mondo che s’intravvede è molto simile a quello in cui sono nato,dove bere l’acqua di fonte era già un privilegio e il lattaio passava con la bicicletta, portata a mano, con su il bidone del latte e suonava la campanella per richiamare i clienti.
Il problema della decrescita sono i posti di lavoro che vengono meno. Quanti posti si perdono se consumiamo meno acqua in bottiglia? E quanti se compriamo il latte, come ogni altro prodotto -dal pesce agli ortaggi, dalla carne ai formaggi- dal produttore?
Non solo operai: dal marketing (agenzie, marchi, rappresentanti, dalle campagne promozionali alla pubblicità, dal packaging alla diversificazione e le strategie per battere la concorrenza) alla logistica (depositi, camion …) fino ai commercianti finali.
Ma ci sarebbe un’altra, illustre, vittima.
Normalmente un prodotto, anche straniero, fa 2-3 passaggi per arrivare al consumatore. Ogni passaggio paga una tassa. Calcolando 20% di tassa ogni passaggio, quanto ci perderebbe lo Stato/guadagnerebbe il cittadino, con la decrescita?
Stressando il concetto: se eliminiamo anche le tasse sullo scambio diretto, ritornando al baratto, sarebbe la rovina dello Stato.
In parte è quello che sta succedendo con le multinazionali come l’Ikea – scontrino non fiscale – o, peggio ancora, con l’e-commerce (in termini percentuali leggi: Amazon) le cui aziende hanno sede legale in paradisi fiscali.
La decrescita è una vera minaccia per lo Stato anche per motivi ben più sostanziali.
Volendo oggi si potrebbero sopprimere tante spese a beneficio dei consumatori e dell’ambiente. Ad es. potremmo eliminare l’editoria cartacea. Dai giornali ai libri, dalle ricette agli appunti, tutto per via elettronica.
Oppure: dato che le malattie del benessere (ipertensione, colesterolo, diabete) sono la maggiore causa di morte e assorbono il 75% della spesa sanitaria (in uno Stato come l’Italia, ammonito dall’OCSE perché demanda la spesa assistenziale alle famiglie) potremmo anche abolire le auto a favore di biciclette e piedi.
Anche in questi casi la vittima principale sarebbe lo Stato: pensate solo ai mezzi per rifornire l’intero territorio nazionale dei quotidiani. Che c’entra lo Stato? Bhe, l’intreccio è perverso: non solo l’Iva ma il 17% delle entrate statali dipendono dalla mobilità su pneumatici.
Se la decrescita porta disoccupazione è sovversiva per il sistema occidentale. Specialmente per il nostro, già provato dalla delocalizzazione e dal ricatto delle multinazionali della distribuzione. Si potrà mai realizzare? Ci vorrebbe una rivoluzione culturale, peraltro propugnata dai movimenti decrescisti. Ma si può innestare su un sistema consumistico?

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Medico di Medicina Generale, Specialista in Gastroenterologia, già Ricercatore presso l'Unità di Ricerca Gastroenterologica dell'Università "Alma Mater Studiorum" di Bologna. Nel mio impegno a perseguire una carriera nel campo della ricerca, che ho sempre considerato di grande interesse, mi sono confrontato con un periodo in cui il percorso del dottorato non era ancora formalmente strutturato e le selezioni erano regolate da criteri "soggettivi". A causa di impegni familiari e responsabilità, ho dovuto interrompere temporaneamente il mio percorso nella ricerca. Tuttavia, l'esperienza acquisita come ricercatore ha influenzato in modo significativo il mio approccio critico e le mie valutazioni in campo medico. Perchè la Verità è come l'orizzonte, più ti avvicini ...

9 Commenti

  1. Le perplessità di Vincenzo sono senz’altro fondate, e sono quelle che comunemente suscitano le idee propugnate dal movimento per la decrescita. Tuttavia penso sia sbagliato proporre il ragionamento in questi termini perentori, io credo che nessuno immagini di poter imprimere alla decrescita un processo di compimento cosi travolgente da attuare in breve tempo uno stato decrescente, imperniato su valori come condivisione, solidarietà, rispetto e cura dell’ambiente, sottomissione dei processi produttivi alle necessità delle persone che producono e consumano. Proviamo a pensare al sistema consumistico e alla decrescita, come due concorrenti ad una gara. Se un concorrente, scorrettamente giungesse ad alterare la gara compromettendo la salute dell’altro, non potremmo stupirci dell’esito finale. Con questo intendo dire che in poco tempo non possiamo pensare di sanare i danni, risolvere i problemi creati da decenni di economia drogata, di annientamento della capacità e dello spirito critico delle persone. Quello che è realistico pensare e fare, è operare concretamente negli ambiti che ci appartengono, da un punto di vista culturale, ovvero promuovendo il dibattito ed il confronto su questi temi, e da un punto di vista pratico, sostenendo le ormai numerose realtà che quotidianamente si impegnano per attuare il proprio piccolo segmento di società della decrescita. Credo inoltre si debba tenere ben presente che nessuna formula potrà mai permetterci di ricavare una società perfetta in assoluto, proprio per questo bisogna ricordarsi nel proprio agire di ascoltare e valutare attentamente critiche e suggerimenti, imparare dagli insegnamenti del passato, recuperando quello che conservano di attuale, e accogliere il nuovo con spirito critico.

  2. D’accordo sul fatto che tra tra Stato e decrescita possa sussistere un’incompatibilità sostanziale, ma questo è un argomento contro lo Stato, se è incompatibile con le leggi della fisica. Le perplessità non dovresti quindi averle sulla decrescita ma sul concetto di occupazione e appunto sullo Stato.

  3. Condivido l’osservazione di Igor.

    E’ evidente che se si decide si sprecare meno viene meno l’esigenza delle ore di lavoro necessarie per produrre e trasportare (oltre che smaltire) tutte quelle inutili cose. Ma appunto e’ un problema di ore di lavoro, non di lavoratori. La soluzione allora e’ quella di dividersi il lavoro che e’ veramente necessario/utile fra tutti. Ed analogamente dividersi il reddito che questo lavoro produce (tanto avremo beno bisogno di reddito se non dovremo spenderlo per cose inutili).

    Resta, apparentemente, il problema dello stato e delle tasse: ma anche questo e’ un falso problema. Se si organizza un pedibus (che e’ ancor più facile da organizzare se tutti i genitori lavorano part time) non c’e’ bisogno dello scuolabus e del suo autista e cioe’ delle tasse che servono per pagarli.

    Certo ho semplificato moltissimo, ma l’idea di fondo resta.

    Un solo problema resta: da dove escono i soldi per pagare dli interessi sul debito pubblico accumulato (e in teoria per rifondere quel debito)? E’ questo il vero terrore per chi propone la crescita ad ogni costo (che poi e’ chi detiene i titoli di stato). In merito ho un’idea ben precisa, ma che e’ troppo rivoluzionaria per essere espressa oggi. Ne riparliamo fra un po’ di mesi, quando sara’ ritenuta meno folle di quanto lo sarebbe oggi!

  4. Hei, ragazzi, se rispondo perdiamo la … suspense. Tutto a suo tempo.

    Però una legge fisica ( ma anche di storia, geografia … universale ) va detta: “Chi si mette di traverso viene travolto”. Se uno mi dice “A me piace sfidare la corrente” può anche suscitarmi ammirazione, ma se mi dice che ha trovato il sistema per far scorrere l’acqua dal mare ai monti …

    • La domanda che conclude il post di Vincenzo è intrigante e assolutamente centrale, si può proporre una rivoluzione culturale, la quale possa innestarsi, o quantomeno coesistere con un sistema capitalistico? Posta in questi termini la cosa sembra un ossimoro. Alcuni analisti affermano che occorre al più presto uscire dalla società dello sviluppo, del consumo fine a se stesso che fagocita persone e risorse. Direi che non si può dar loro torto, se pensiamo che l’unico pianeta che abbiamo viene violato, avvelenato, da un sistema che si prefigge unicamente di massimizzare i profitti di una minoranza, in questi giorni vediamo che non esistono confini ne politici, ne ambientali (vedi sfruttamento delle risorse nell’artico) che possano fermare la fame di politici e speculatori. La scusa che essi adducono è la creazione di lavoro e ricchezza, abbiamo poi esempi di grandi aziende che hanno ricevuto enormi finanziamenti pubblici, si sarebbero risparmiate enormi somme di denaro pagando gli stipendi dei lavoratori, e consentendo a costoro di formarsi, e costruirsi una nuova opportunità. Purtroppo Adriano Olivetti non ha avuto molti seguaci.
      Guardando al nostro capitalismo viene lo sconforto, in genere sono le piccole aziende, le più penalizzate dalle banche a consentire al sistema di reggere.
      Eppure direi che una rivoluzione è in atto. Frequentando la rete e il nostro territorio si possono incontrare moltissime realtà, e moltissime persone che lavorano con tutte le proprie forze a questo obbiettivo. Ma la rivoluzione che mi sembra più urgente realizzare, è abbattere il mito della competizione, perché porta all’annientamento delle risorse umane e naturali, e sostituirlo con la responsabilizzazione, che può realmente portare alla crescita delle persone e del sistema, e perché no alla condivisione, intesa come sviluppo delle capacità di relazione fra le persone.

  5. Controcorrente si puo` andare, la corrente del fiume porta di tutto al pesce che la sa affrontare.

    Comunque aspettavo la seconda parte prima di aggiungere qualcosa, ma dato che il dibattito e` gia` partito…
    la mia soluzione era scritta in una nota precedente:
    http://www.decrescita.com/news/makerland-ovvero-il-posto-di-chi-fa/
    e quindi ribadisco:
    vanno rovesciate le priorita` odierne che sono completamente sbagliate; dobbiamo usare il tempo che abbiamo per studiare, imparare e creare, per fare le cose che ci servono. Dobbiamo aborrire l’accumulo di credito di lavoro altrui (cioe` di soldi) a favore dell’uso del tempo per noi stessi e dobbiamo trovare tutti i modi possibili di fare da noi cio` che ci serve ed eventualmente scambiarlo tra chi l’ha fatto e senza intermediari.
    Questo scatenera` un circolo virtuoso da cui usciremo tutti vincitori… tranne chi non vuol far niente e vuol vivere alle spalle del prossimo.
    La disoccupazione mi fa da ridere. Ci sono terreni incolti o coperti da case vuote, manca il cibo o costa troppo e ci sono disoccupati che ancora sperano nel posso fisso statale. Anche un idiota vede che la soluzione e` di rivalutare il fai da te a tutto… campo !
    Ci sono fabbricone piene di gente che vuol continuare a fare automobili inutili che anche il mercato piu` drogato dalla pubblicita` piu` assurda non vuole piu` !!! Le fabbriche vanno vuotate e rivoltate da cima a fondo per fare altre cose, tecnologie per l’energia rinnovabile ad esempio. Ma chi ha il coraggio di imparare un nuovo mestiere ? Meglio chiedere sussidi…
    E lo stato… lo stato… non ce l’ha detto il medico che dobbiamo avere uno stato. Lo stato c’e` se serve a dare un servizio utile ed efficiente. Altrimenti tutti a casa a far qualcosa di buono invece che scaldare gli scranni a parlare, parlare, parlare… parlare… e poi parlare ancora… ah, dimenticavo…
    a parlare… invece di fare!

    • Scusa, Giulio, leggo questo commento dopo che ti ho mandato l’e-mail.
      Tu mi ricordi quello che diceva il co-protagonista di Queimada: “Si esiste chi te da la libertad esta ni es libertad”.
      Cmq postulato a legge universale suddetta: anche per invertire la corrente bisogna cominciare da zero (nel nostro caso da meno di zero, col debito che abbiamo).
      A chi non piacerebbe annullare uno stato così? Purtroppo c’è e se vogliamo “fare” dobbiamo parlare prima di “come”.

      • Allora il problema e` lo stato ? No, siamo noi… in un’altro post qualcuno mi pare diceva che siamo solo lo 0.99%. Mi sembra ottimista, ma se anche fosse, come facciamo a convincere il restante 99.1% che devono smettere di cambiare telefonino ogni anno ?

        Il problema delle discussioni e` che spesso ci si scorda di mettersi d’accordo sui punti di partenza.
        A qualcuno interessa definire una situazione ideale e poi lavorare a ritroso per capire cosa cambiare da quella presente.
        Altri vedono solamente il presente e la prima cosa di cui si preoccupano e` di come disturbarlo il meno possibile.
        Ci sono poi quelli che sono capaci di scordarsi il presente in un attimo e di ricominciare da zero in base a principi nuovi.
        A me interessano i principi. Se ci si accorda su quelli tutto segue automaticamente.

  6. Un punto centrale della decrescita, secondo me, è la riduzione del nostro bisogno di denaro. Certo, il concetto di decrescita non può ridursi SOLO a questo: anche le istituzioni economiche tradizionali (come le imprese) si propongono da sempre la riduzione dei costi, e non per questo possono definirsi decrescenti. Per essere tale la decrescita deve proporsi certamente la riduzione dei consumi di merci, di beni, di servizi. Ma accanto a questo, come dicevo, ritengo essenziale la riduzione del nostro bisogno di denaro, mediante scambi NON SOLO MONETARI. Tale aspetto non può non riguardare anche lo Stato, la Pubblica Amministrazione, gli enti locali, il welfare. Solo mediante uno scambio di servizi non monetari tra Stato e cittadini, si potrà affrontare il problema dei mancati introiti che una nuova società della decrescita comporterebbe per lo Stato. Utopia? Pura fantasia? Un esempio di come poter realizzare concretamente questo tipo di scambio non monetario tra Stato e cittadini, mi è arrivato da una proposta che ho sentito formulare da Francesco Gesualdi in un’occasione pubblica: tassare il tempo anzichè il reddito. Lo Stato (o il Comune) potrebbe chiedere ai cittadini tempo, anzichè denaro. Anzichè 100 euro di tasse, ti chiedo 5 ore di tempo in mansioni socialmente utili. Queste le ricadute: 1)rispetto al tempo nessuno può dirsi indigente, il tempo può (e deve) essere chiesto a tutti indistintamente, per cui lo Stato avrebbe a disposizione molte risorse; 2) Il valore monetario di 1 ora di tempo non è uguali per tutti, 1 ora di un disoccupato non gli costa niente, mentre 1 ora di un super- professionista può essere molto onerosa: chiedere a tutti un medesimo contributo di tempo sarebbe uno straordinario mezzo di redistribuzione del reddito e di riduzione della sperequazione. A me sembra molto intrigante!

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