#stopbiocidio nasce dappertutto

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Da Casal Di Principe a Casale Monferrato
Da Casal Di Principe a Casale Monferrato

La Terra dei Fuochi è scesa di nuovo in piazza, un anno dopo la grande e sentita marcia dei 100.000, con un mese di intense mobilitazioni su tutto il territorio campano.

E lo fa perché poco o nulla è cambiato: i roghi bruciano ancora, quotidianamente; la Forestale scopre interramenti di rifiuti tossici, continuamente; la gente muore, inesorabilmente.

Vorrei poter dire che lo Stato fa finta di nulla, ma non è difficile leggere la malafede nei provvedimenti emanati e nelle parole dei nostri sedicenti Ministri: la Lorenzin è ritornata sul suo bestiario dell’anno scorso, riproponendo l’offensiva tiritera degli “stili di vita”, e il “decretino” 136/2013 (convertito in legge nel febbraio di quest’anno), già poca cosa in sé, ha trovato limitatissima applicazione.

Appiccare roghi ai rifiuti è, oggi, penalmente perseguibile, con reclusione da due a cinque anni: ma chi finisce in carcere per questi reati? Non sono i colletti bianchi a recarsi personalmente presso i cumuli di rifiuti, o i capi-clan, né gli imprenditori disonesti. Ci vanno i pesci piccoli, quelli che è facile comprare per trenta denari a incendio.

Avevano promesso che avrebbero inviato 850 militari per due anni: ne sono arrivati solo 100. Ma non possono che acciuffare gli esecutori materiali in flagranza di reato e non servono ad altro che a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica.

La mappatura dei terreni agricoli è stata effettuata: ma come? Sulla base dei dati raccolti al solo novembre 2013 e con riferimento alle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione) previste dal D. lgs. N. 152/2006, il cui Regolamento non è mai stato emanato, per i “siti ad uso verde pubblico e residenziale”.

Si tratta quindi di parametri di indagine adatti ad aiuole e parchi, non a stabilire, in maniera certa e univoca, che su quei terreni si possa coltivare. Nella relazione presentata dal Gruppo di Lavoro nominato dalla legge per la Terra dei Fuochi, al termine delle ricerche, le parole più ripetute sono “…nelle more del Regolamento…” oppure “si raccomandano ulteriori indagini”.

Anche se soltanto il 2% dei terreni esaminati è risultato ad alto rischio (livello 5) per la produzione agricola, è nauseante e spaventoso guardare le immagini dei fanghi tossici trovati in molti dei fondi investigati[1]: il dubbio che ciò che cresce su quei terreni sia dannoso per la salute è legittimo. Se parliamo dell’alimentazione dei nostri figli, poi, è naturale continuare a porsi delle domande.  E credo che, nonostante le rassicurazioni degli enti preposti, non sia sbagliato appellarsi al Principio di Precauzione, sancito in tema di diritto ambientale a livello europeo, in base al quale, “pur senza disporre di certezze scientifiche assolute sui reali pericoli, si devono attuare senza indugio azioni di contrasto”[2].

L’eternit, e le vicende giuridiche ad esso legate, credo forniscano un eloquente precedente in materia.

E ci si chiede: “Chi è STATO?”

Il quadro normativo non è incoraggiante.

La questione delle CSC è complicata, si tende continuamente ad abbassarle. Il “Decreto Competitività”, ora L. 116/2014, 11 agosto, stabilisce  – tra le altre cose – soglie variabili a seconda dell’area (le zone non industrializzate, a minore densità antropica, saranno perciò mira più semplice per i soggetti inquinatori, perché, per un inquinante,  avranno limiti di legge più bassi); nomina un Commissario Straordinario per la gestione in Campania dell’ennesimo inceneritore (ma basta!) e per le bonifiche, intollerabili allo stato dal punto di vista economico, prevede l’autocertificazione dello stato di contaminazione del sito e il meccanismo del silenzio-assenso: un privato potrà dichiarare di aver bonificato il proprio terreno, inviare i dati all’ARPA regionale e in caso l’ARPA non risponda entro 45 gg, potrà ritenere approvato il piano di caratterizzazione[3].

Fin troppo facile capire chi beneficerà di queste nuove norme.

Screening, assistenza sanitaria, registro tumori: solo chiacchiere. Le attese per ricevere le terapie necessarie a curare i tumori così dilaganti sono bibliche e c’è sempre più gente che non può permettersi di guarire. Il diritto alla vita, qui, ci viene negato tutti i giorni e proprio dallo Stato, che tanto esige e così poco restituisce.

Cosa rimane? Noi.

Rimangono le associazioni territoriali, i privati cittadini, i medici che escono dai loro ambulatori, i giornalisti che ci danno ascolto, i preti di frontiera, gli agricoltori che difendono le proprie terre, le mamme che, nonostante i loro insuperabili lutti, ancora si riversano per le strade e bloccano gli inceneritori.

Sabato 29 novembre, a Casal di Principe, dove Don Peppe Diana diede la vita, c’eravamo noi. E c’era Casale Monferrato, di nuovo in piedi dopo la sentenza choc.

Ma Stop Biocidio nasce, ed è nato questo mese, dappertutto: ad Acerra, a Pomigliano D’Arco, a Bagnoli, a Giugliano.

Tanti focolai di resistenza, di consapevolezza, di buona volontà.

Ancora poco? Si, ancora troppo poco.

Ci vogliono indifferenti e superficiali ed è facilissimo farci diventare così.

Troppo lavoro e per troppo pochi, troppo consumismo da alimentare con sogni futili, troppo denaro sbandierato come l’obiettivo di una vita, troppa tecnologia mal indirizzata e poco, pochissimo, rispetto della terra e della vita umana.

Renzi ha detto che non si farà fermare da “quattro comitatini”.

Intanto, deve averne paura se li annovera pubblicamente tra i suoi nemici e se cerca di minarne l’autorità.

Non devo ricordare io le vicende dei NO TAV, che hanno di fatto arenato la costruzione dell’ennesimo ed inutile eco-mostro, oppure quelle dei No al Progetto Eleonora, che hanno sferrato un durissimo colpo alle trivellazioni della Saras in Sardegna.

La lotta è estenuante, lunga e irta di ostacoli. Faranno di tutto… darci contentini, prenderci per stanchezza, dividere le persone –  ricordava Padre Maurizio Patriciello dal palco di Casal di Principe – pur di spazzare via le contestazioni pacifiche di un popolo che non ne può più dello sterminio a cui assiste ogni giorno.

Perché di sterminio si tratta. Di inquinamento si muore. E non solo in Campania.

Ci sono mille altre Terre dei Fuochi. E quando lo Stato, nella migliore delle ipotesi, risulta assente, è dovere di tutti noi risvegliarsi e difendere le nostre vite.

[1] “Terribile strage” di Pino Ciociola

[2] www.dirittoambiente.com

[3] Procedura sperimentale per le bonifiche avviate entro il 31/12/2017

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Non è importante "chi" sono, ma "cosa" mi propongo di essere e con quanta tenacia mi ci proietto. Sono dunque madre, sono moglie, sono per metà sarda e per metà napoletana e, in entrambi i casi, straordinariamente fiera di esserlo; sono una contadina, con tanto da imparare. Ambientalista, per necessità, e piena di passione civile, per vocazione. E credo nell'integrazione, nelle persone, nell'impegno, nella mia terra così martoriata, nel valore delle parole, in quello della decrescita e nella felicità come traguardo raggiungibile ogni giorno. La mia finestra sul mondo e sul web è http://www.georgika.it

27 Commenti

  1. Ciao Miriam,
    permettimi di ragionare con te partendo da un’ottica un pò diversa.
    Qualche mese fa ho partecipato ad un convegno, tenutosi a Bardi, il mio comune, sulla discarica di Tersigno. Era presente un’esponente del movimento contrario all’ampliamento della discarica.
    Dopo la sua presentazione sono intervenuto e le ho posto due domande: “avvocato, prima di tutto le chiedo: cosa ci fate li?”
    Tersigno è un nome di origine latina, deriva da ter ignis ( tre volte al fuoco: un nome che è un programma).
    Guardando con google earth la zona si vede come tersigno sia, in linea d’aria, a 3400 metri dalla bocca del cratere del Vesuvio.
    Pompei , distrutta dalla nube piroclastica, si trova a 12 km.: ben oltre Tersigno.
    La provincia di Napoli è un ammasso con una densità abitativa tra le piu’ alte d’Italia e in una zona ad elevatissimo rischio geotermico. Il problema non è “se” il Vesuvio erutterà di nuovo ma “quando” si risveglierà.
    I piani di evacuazione, a detta della Protezione Civile, sono assolutamente inefficaci e inadeguati a sgombrare piu’ di cinque milioni di persone in poche ore.

    La seconda domanda che ho posto e’ : ” ma i rifiuti chi li produce?”.
    Può essere antipatico porre questa domanda ed anche seccante per chi deve rispondere. E’ un domanda scomoda ma, se non partiamo da qui di cosa parliamo?
    Noi che crediamo profondamente nella decrescita non possiamo non vedere l’importanza dei comportamenti virtuosi. Comportamenti che , in primis, impegnano ciascuno di noi a cambiare, a vedere i consumi in modo critico ed a fare in modo che la nostra personale “impronta” sia la piu’ lieve possibile.
    Non mi pare corretto prendersela in modo generico con lo Stato: quasi sia sempre e comunque responsabile di tutto.
    Dobbiamo vedere ed affrontare i problemi per quelli che sono , non chiamandoci sempre fuori e non immaginando, con un impropria assoluzione erga omnes, che i colpevoli siano sempre gli altri e che il popolo sia sempre indenne da responsabilità.

    Detto questo mi è ben chiaro che la Campania è stata la ” discarica ” di imprenditori senza scrupoli del nord che, servendosi della camorra, hanno smaltito la risulta industriale in Campania, inquinando ognidove; come ha denunciato molto bene Saviano.
    Mi è ben chiaro come operano i poteri criminali e come i rifiuti siano un business assai lucroso.
    Però io non credo che le soluzioni ai problemi debbano arrivare (solo) dall’alto ma anche e soprattutto dalla cittadinanza attiva; dalla capacità collettiva di non accondiscendere a comportamenti delittuosi o che rechino danno alla salute e all’ambiente.
    Capisco. cara Miriam, che sia un discorso di lunga lena ed anche estremamente complicato da accettare e mettere in pratica.
    Ma solo se ci saranno uomini e donne “contro”questo sistema e “per” un mondo diverso, si potranno affrontare in maniera proficua i problemi.

    Mi rendo anche conto come questo problema richieda una classe dirigente degna di questo nome e non certo l’ectoplasma che ci amministra.
    Ma anche la classe dirigente, in democrazia, la scelgono i cittadini.
    Se l’offerta politica è mediocre è perchè il pensiero collettivo è mediocre, i valori sono mediocri, le aspettative sono tante ma confuse; perchè non sono chiari gli orizzonti e la direzione in cui si vuole andare.

    Allora, se vogliamo concludere con una nota positiva, devono essere incoraggiate tutte quelle forze, quelle associazioni e movimenti che vogliono partecipare e non delegare: farsi parte attiva, da protagonisti dei destini collettivi.
    Anche partendo dalle piccole cose: come costituirsi in GAS, condividere gli acquisti, aumentare i momenti si sussidiarietà e reciprocità solidale.

    Niente esisterebbe se non ci fosse, oggettivamente, una forma di accettazione e complicità collettiva.
    E’ questa logica che dobbiamo spezzare facendoci protagonisti di un pensiero “altro”: possibile quanto necessario.
    Un abbraccio a te e a quanti come te lottano per un mondo migliore.

    • Due cose sul commento di Daniele. Quando si iniziano questo tipo di discorsi, non so perché ma gira e rigira si va sempre a puntare il dito contro l’anello debole della catena sociale. Si opera una strana forma di egualitarismo proprio nella materia meno adatta, perché i danni ecologici colpiscono principalmente fasce di popolazioni che meno hanno guadagnato dal provocarli (gli abitanti della Terra dei fuochi con i rifiuti tossici, quelli dell’Africa subsahariana rispetto all’effetto serra, inuit e orsi polari con nel sangue sostanze chimiche prodotte a migliaia di chilometri, ecc).
      Quando si dice poi “Mi rendo anche conto come questo problema richieda una classe dirigente degna di questo nome e non certo l’ectoplasma che ci amministra.
      Ma anche la classe dirigente, in democrazia, la scelgono i cittadini.
      Se l’offerta politica è mediocre è perchè il pensiero collettivo è mediocre, i valori sono mediocri, le aspettative sono tante ma confuse; perchè non sono chiari gli orizzonti e la direzione in cui si vuole andare.”, beh mi sembra un po’ una roba da lezione di educazione civica delle medie. Ovviamente in una democrazia liberale i cittadini hanno possibilità di influenzare i vertici decisionali che in paesi autoritari si sognano, ma dire che la classe dirigente ‘è scelta’ dei cittadini è troppo, specialmente negli ultimi 20 anni e più le organizzazioni politiche sono estremamente alienanti (e la reazione infatti che producono nella popolazione è alienata).
      Condivido l’appello a forme di partecipazione diretta e senza delega, che però conferma il mio ragionamento: in caso contrario, basterebbe votare le persone ‘giuste’. Ci lamentiamo che la decrescita è lo 0,01%, poi però ogni volta che c’è una sollevazione di movimenti di base, cominciamo a dire ‘ma dove eravate tutto questo tempo?’, ‘ma chi avete votato?’, ecc. Il difetto di queste popolazioni, se così lo possiamo chiamare, è stato di essersi fidati delle istituzioni legittime pensando che, al di là del cattivo governo, queste non si sarebbero mai spinte fino a compromettere radicalmente la salute del territorio.

      • Igor,
        complimenti e grazie per il tuo intervento che mette a tacere le considerazioni colme di pregiudizio del signor Uboldi. Sono una di quei cittadini contro cui il signor Uboldi punta il dito, vivo sulla mia pelle il problema dell’inquinamento ed il terrore quotidiano per le conseguenze che ne possono scaturire. Mi interesso della Terra dei Fuochi attivamente da 5 anni ma ne sento parlare da oltre 20 anche se non con l’attenzione, a volte morbosa, di questi ultimi anni. A quello che scrivi volevo aggiungere solo una considerazione, le persone, i miei conterranei non hanno commesso l’errore di porre fiducia nelle istituzioni, le hanno combattute fin da quando a livello di piccoli gruppi locali si sono scontrate con lo sversamento di rifiuti illegali in discariche utilizzate tanto dallo stato quanto dalla criminalità, indistintamente perchè sempre le hanno trovate complici. Non c’era l’attenzione della stampa, allora ma, io nel mio piccolo, sono stata testimone indiretta di ben due battaglie per fermare lo sversamento illecito e in entrambi i casi i cittadini, che si erano schierati in prima linea e con enorme pericolo e coraggio, si sono scontrati contro il muro di gomma innalzato non dalla criminalità ma dallo stato. Il primo episodio si svolge a Saviano, paese vicino Nola, oltre 15 anni fa, presso una discarica censita della quale si serviva lo stato per lo sversamento dei rifiuti urbani, oggi chiusa e destinata ad una bonifica mai partita. I cittadini si accorgono che qualcosa non va, che i furgoni provengono dal nord, che i rifiuti non sono urbani ma che si tratta di scorie industriali, allora cercano chiarimenti ma non li ottengono. Comprendono che è in gioco la loro salute e bloccano gli sversamenti, presidiano la discarica di giorno e di notte dormono nelle tende e nelle automobili. Presentano una denuncia circostanziata alla Procura della Repubblica competente e vanno avanti nella loro sacrosanta battaglia fino a che non intervengono le forze dell’ordine. Viene disposto lo sgombero dei manifestanti e i furgoni vengono accompagnati in discarica dalle volanti. Della denuncia non si è mai saputo nulla, nessuna inchiesta è stata mai aperta e, al momento, non è noto a nessuno cosa sia interrato nel fondo e cosa sia giunto fin in falda o nei terreni circostanti. Dopo alcuni anni, una volta satura, la discarica è stata chiusa ed il territorio di Saviano inserito “di diritto” nel Distretto 73, uno dei tre distretti del “Triangolo della Morte”. Il secondo episodio si svolge nel Comune di Sant’Anastasia (Na), alle pendici del monte Somma, paese a forte vocazione agricola. Un avvocato di mia conoscenza, viene informato dai contadini che sotto il maneggio Gianguglielmo – un maneggio, non una discarica – vengono interrati strani fusti e che i furgoni hanno targhe straniere o estere. La cosa più inquietante è il fatto che lo scarico dei fusti avviene di notte. Il professionista si apposta nei pressi del maneggio, fotografa le targhe e invia una denuncia, anche questa volta circostanziata, alle competenti autorità. Anche questa volta, l’appello resta inascoltato. Nessuna indagine e nessuna inchiesta ne segue. La vicenda mi viene raccontata con grande rammarico e senso di impotenza alcuni anni dopo. Ancora oggi, nel territorio intorno al maneggio non cresce erba. Per tornare ai giorni nostri, le denunce di roghi e di sversamenti sono quotidiane ma anche dopo lo scandalo delle dichiarazioni dei pentiti e le tante inchieste, nessuno interviene con un programma articolato per fermare questo incubo quotidiano nel quale viviamo. Lo stato si gira dall’altra parte quando non favorisce i comportamenti criminali come Miriam ha egregiamente spiegato nell’articolo. Le lotte, le marce, i blocchi non si contano più ma, nulla è cambiato. I cittadini fanno quello che ritengono giusto fare per la propria terra, per il futuro proprio e dei propri figli ma non chiamatelo dovere, non è dovere, è passione civile! Quello di presidiare il territorio dovrebbe essere compito di uno stato serio non del cittadino, altrimenti qual è lo scopo del contratto sociale? Io, questo stato serio che volutamente scrivo con l’iniziale maiuscola, non l’ho mai percepito

        • Daniele non ha bisogno di difensori, ma è una persona con cui collaboro proficuamente e molto impegnata sul campo tramite i DES e i RES, per cui ci tengo a dire che non è il classico che straparla dal web da improbabili pulpiti. E’ anche apprezzabile che sia una persona che cerca sempre lo spunto di discussione e mai l”applauso’ facile, mettendo il ‘like’ e basta, senza paura di esporsi, insomma non ha pregiudizi. E’ anche difficile dargli torto quando parla dei paesi vicini al Vesuvio, sul piano della sicurezza. Semplicemente espone un pensiero comune a molte forme di ecologismo che secondo me – come ho detto altre volte – si basa molto sulla dicotomia uomo-natura senza pensare che ‘l’uomo’, a differenza della tigre e dello scimpanzé, non generalizzabile perché in quanto animale sociale esistono numerosissime variante di ‘uomini’ ognuna delle quali ha gradi di responsabilità (e soprattutto di guadagno) dal degrado ambientale.
          Detto questo, ho paura (anche se in sostanza penso che sia una buona cosa) che in zone come la Terra dei fuochi inevitabilmente, viste proprio le circostanze che hai descritto, un tentativo di soluzione passi per un atto di riappropriazione del territorio dei cittadini, quali forme assumerà è difficile dirlo e andrà protetta da improprie e pericolose deviazioni; almeno fino a richiamare lo Stato ai suoi doveri.

  2. Ciao Daniele, scusami se rispondo solo ora. Era troppo tardi ieri sera per poter rispondere con lucidità al tuo commento.
    Sono contenta, molto, di potermi confrontare con te e non trovo scottanti o scomode le tue obiezioni, perché mi vengono rivolte spesso.
    Partiamo dalla tua seconda domanda: chi produce i rifiuti?
    Va detta subito una cosa: va distinto il piano dei Rifiuti Solidi Urbani da quello dei Rifiuti Speciali, industriali e tossici. Questi ultimi costituiscono i 4/5 della produzione complessiva dei rifiuti in Italia, la maggior parte dei quali smaltiti illegalmente. Parliamo di cifre blu: 20, forse 30 milioni di tonnellate all’anno, secondo le stime degli inquirenti.
    I movimenti dei rifiuti speciali non sono tracciati (non ci sono leggi) e non ci sono, in Campania, strutture adeguate a riceverli e a smaltirli. Non c’è una sola discarica a norma, compresa quella di Terzigno, e niente, per fare solo un esempio, che possa accogliere amianto.
    Il biocidio di cui siamo vittime, la morte per inquinamento, è causato dallo smaltimento in regime di evasione fiscale di questo tipo di rifiuti. Li producono le industrie, soprattutto del distretto del Nord-Est, ma anche la Campania non ne è esente. E nemmeno l’Austria o la Germania, che spesso sono venute a sversare da noi.
    Per i RSU, quindi i rifiuti prodotti domesticamente: la raccolta differenziata, in moltissimi comuni, ha raggiunto percentuali altissime, ma come ho già scritto qui, su questo portale, a che serve differenziare a monte (in casa), se poi nelle sedi di raccolta tutto finisce in circa 8.000.000 di eco-balle, sparse in tutta la regione, la cui ragion d’essere è solo quella di alimentare i forni degli inceneritori? Il business che c’è dietro è noto a tutti. Noi, i cittadini, la nostra parte la facciamo. Che ci siano ancora, però, comportamenti personali da correggere, è assolutamente vero.
    Tu hai perfettamente ragione (e io sottoscrivo pienamente) nel dire che il discorso dovrebbe essere più ampio: bisogna dare una direzione, precisa, alle azioni che si intraprendono sul territorio e credimi, lo si fa.
    Le associazioni che si battono incessantemente per cercare di risolvere il problema, propongono e ripensano un sistema alternativo di sviluppo.
    Come è accaduto per i NO TAV (molto bello il capitolo scritto da Marco Cedolin in “Un programma politico per la decrescita” di Pallante) è un percorso naturale approdare al pensiero che sia tutto il sistema ad essere sbagliato, che la crescita a tutti i costi non può che generare distruzione, disparità e iniquità. Se leggerai il mio articolo su Stop Biocidio dell’anno scorso e leggerai la piattaforma della coalizione, potrai rendertene conto.
    Indubbiamente, anche questo ho già scritto, se non c’è un’azione di cambiamento culturale, esprimeremo sempre la stessa classe dirigente, con gli stessi presupposti di oggi.
    Ma va detta una cosa: ti ho citato alcuni dati sui rifiuti per farti capire che questa è una situazione di emergenza eclatante. Le proteste vanno ancorate ad una visione diversa, questo è vero, in cui tutti devono sentirsi attori e responsabili, ognuno per la sua parte.
    Ma stiamo morendo. Letteralmente. Bambini, giovani. L’autismo è in forte crescita. C’è bisogno di una sterzata brusca e di interventi urgenti. Gli atteggiamenti attendisti e le azioni a lungo termine servono se c’è (e ce lo auguriamo) un futuro a cui guardare.
    Si cerca, perciò, di dialogare con lo Stato, l’unico ad avere il potere di intervenire in fretta, ma lo Stato risponde picche. Mi dispiace, Daniele, ma le autorità remano contro. Ci sono troppi interessi dietro.
    Io me la prendo con lo Stato, si. La legge sulla Terra dei Fuochi è una presa in giro così evidente… L’emergenza rifiuti va avanti dal 1994: l’anno scorso sono andati tutti assolti. Come per l’Eternit. Di inasprimento delle pene per i delitti ambientali, non se ne parla. Le proposte di legge sono arenate in Senato da mesi.
    Lo Stato…quale Stato?
    E qui mi riallaccio, con dolore, alla questione di Terzigno e del Vesuvio. Scusami, la domanda che hai rivolto all’avvocato del convegno è tendenziosa. Perché sembra sottendere una colpa.
    A questo punto, mi sembra giusto chiederti se è davvero questo che intendevi: ritieni che la situazione in cui ci troviamo sia colpa nostra?
    Ti sia subito chiaro, e lo sia per tutti, che nessuno pensa che ci si possa sottrarre alle responsabilità personali. Ma c’è un discorso più serio e più ampio che andrebbe affrontato in materia.
    Per farlo, però, aspetto che tu mi risponda 🙂 🙂 🙂
    Nel frattempo, ti consiglio di guardare il video “Terribile strage” di Pino Ciociola, inviato di Avvenire, che si batte per noi da sempre. Le immagini parlano chiaro. Ma soprattutto sentirai parlare i magistrati della Procura Nazionale Antimafia. Il Decreto Competitività, lo Stato, “ha aperto le maglie alla illegalità”.

  3. Ciao Miriam,
    grazie per la tua ampia risposta che, in gran parte, condivido.
    Vorrei ragionare meglio con te sulla “colpa” collettiva.
    Indubbiamente un colpevole c’è e, spesso e volentieri, si chiama ignoranza.
    L’ignoranza è la peggiore delle condizioni umane. In questo stato di dis-grazia, d’innanzi ad una scelta tra due possibili, prevale sempre la peggiore.
    Uno dei personaggi della storia che piu’ mi ha affascinato è Eleonora de Fonseca Pimentel: stupenda donna, prima eroina del Risorgimento, assieme a Mario Pagano, Vincenzo Russo, Francesco Conforti, Domenico Cirillo……….
    La Repubblica Partenopea del 1799 è stata una pagina luminosa in mezzo al sanfedismo oscurantista del cardinale Ruffo.
    Da che parte è stato il popolo? Col cardinale Ruffo.

    Sono convinto che la gente soffoca nei propri problemi personali e non ha modo e neppure voglia di traguardare l’orizzonte.
    Come nelle tragedie di Eschilo il popolo è sempre sullo sfondo: mugugna, si duole, crogiola nella commiserazione collettiva.
    Spesso si rivolta. Lo fece anche ai tempi di Masaniello ma, anche in quel caso, il potere seppe “normalizzare” e “riassorbire” la protesta.
    Nella migliore delle ipotesi, un popolo senza guida, senza classe dirigente, sfoga la sua rabbia nel brigantaggio che, come si sa non è stato esattamente un fenomeno progressita ma, anzi, ha fatto gioco al Borbone che se n’è ampiamente servito.
    Un esempio abbastanza odioso di comportamento ( odioso ma non senza spiegazioni), lo possiamo rintracciare nell’atteggiamento verso Saviano.
    Cosa pensano i suoi concittadini di lui?
    La maggior parte ne pensa male. Ritiene “sconvenienti” le sue denunce, perfino denigratorie e lesive della dignità del territorio.
    Nella migliore delle ipotesi è ritenuto un “accomodato” che ha sistemato i fatti suoi.

    Quanto a Terzigno, naturalmente non ce l’ho con gli abitanti di quel comune. La mia è una riflessione generale che, spero anche tu condividerai.
    Guardiamo la cartina fisica dell’Italia e, utilizzando i dati del’ISTAT valutiamo la distribuzione territoriale della popolazione.
    Il fenomeno che balza all’occhio è la fortissima concentrazione nelle aree urbane e lo spoppolamento di tutto l’appennino.
    Nella stessa provincia di Napoli, fuori dalla cintura metropolitana c’è il vuoto.

    La mia , se vuoi è una riflessione decontestualizzata, non pertinente agli aspetti contingenti e allarmanti che tu denunci, per i quali hai tutta la mia solidarietà e vicinanza.
    Ma, ragionando in un quadro di riferimento generale, non si può non notare che qualche cosa strida.
    Da una parte le città sono invivibili, per le ragioni che sappiamo; dall’altra interi paesi sono soffocati dai rovi e dalle vitalbe.
    L’abbandono porta dissesto idrogeologico, frane e alluvioni.

    L’Europa, nel suo piano 2014-2020 ha messo a disposizione fondi strutturali per progetti che mirino al recupero dell’ambiente, alla costituzione di attività d’impresa biosostenibili; proprio per arginare il declino, migliorare la mobilità e avviare azioni concrete di contrasto al degrado

    Ebbene la Campagna, come del resto buona parte del sud, brilla per i ritardi nella presentazione dei piani e, piu’ ancora, per le numerose falle nei controlli circa l’attendibilità dei progetti presentati e i destinatari dei finanziamenti.

    E’ molto importante che i cittadini si indignino, protestino, facciano sentire la loro voce ma, se tutto questo, non si traduce in progetto politico, tutto finirà, come ai tempi di Masaniello, in una tranquilla normalizzazione.

    So che quello che sto per dire è controverso e che trova diversi orientamenti anche tra i decrescenti.
    Io penso che, senza una classe dirigente, senza un intellettuale collettivo che porti tutto a sintesi ed elabori un progetto, la sola e semplice lotta “contro” qualcosa non avrà mai sbocchi positivi.
    Nel mio piccolo vedo l’esperienza dei GAS. Esperienza importantissima ma, oltre agl acquisti condivisi serve un DES ( distretto di economia solidate) una rete nazionale e persone, preparate e competenti che studino tutti i molteplici aspetti del consumo critico, della Qualità Solidale e Partecipata.

    Dare responsabilità al popolo è come tentare di infilzare con un coltello l’acqua.
    Il popolo non esiste, se non come somma di n unità statistiche pluridirezionate.
    Ciò che conta è la sintesi che trova consenso e sa coaugulare attorno a se idee per le quali valga la pena di battersi.

    La Repubblica Partenopea ha perso e il pugno di eroi che l’ha voluta è finito appeso all’albero maestro delle navi di Nelson.
    Però, senza quella lotta, probabilmente non ci sarebbe stato il Risorgimento.

    • Daniele Uboldi,
      il suo commento meriterebbe una risposta molto articolata ma, dato che le questioni da lei sollevate sono totalmente off topic, scriverò ben poco. Oggi, si sta fortunatamente affermando, anche nell’opinione pubblica, una profonda rilettura del risorgimento. Gli “eroi” della rivoluzione del 1799 non erano poi realmente tali; erano pochi intellettuali del tutto distanti dagli umori e dal sentire del popolo al quale avrebbero voluto imporre dall’alto le idee che, invece, in Francia erano nate dal basso e permeavano il tessuto sociale. Di qui il fallimento rovinoso della loro iniziativa. Alla fine, la democrazia di cui tanto ci si riempie la bocca, salvo poi disprezzarla alla prima occasione, è proprio questa. I briganti erano delinquenti? Invece, molti oggi li definiscono partigiani, essi lottarono per difendere la propria libertà dall’efferatezza dell’invasione piemontese. Legga delle stragi di Pontelandolfo e Casalduni, legga degli eccidi di Bronte, legga dei fatti di Pietrarsa, si informi su Liborio Romano ed il suo patto scellerato con gli uomini d’onore napoletani per permettere l’ingresso di Garibaldi in città, legga di Pietrarsa e Mongiana e della prima strage di operai e del forte di Fenestrelle. Il risorgimento ci ha strappato tutto. Da liberi, ci ha reso schiavi di uno stato che non è mai stato nazione che ci ha sfruttato e depredato costringendoci ad emigrare in massa, che ci umilia e ci tratta da inferiori. La diaspora del mio popolo è stata peggiore di quella subita dal popolo ebraico e ancora non termina. Come il grande Nicola Zitara ci ha insegnato, abbiamo acquisito la consapevolezza di essere una colonia interna dell’Italia e la questione rifiuti ne è solo una ennesima prova, una diretta conseguenza. La mafia è nata con l’unità d’Italia come tutti i magistrati siciliani in prima linea ricordano, così come il patto stato-mafia che da noi è la regola non l’eccezione. Tanto ci sarebbe da scrivere ma non è questo il luogo. Il risorgimento per noi è stata una iattura, ci ha condannato a decenni di monarchia savoiarda seguiti da decenni di fascismo e, poi, di repubblica corrotta. Uno stato nato e pasciuto sulla corruzione, fin dai suoi primi vagiti, sull’esempio dei meschini imbrogli di Cavour attraverso le sue banche ed i suoi accoliti. Invito chi legge ad approfondire l’argomento leggendo le opere del socialista ed economista Nicola Zitara o i saggi di Pino Aprile o, ancora, i libri di controstoria di Gigi Di Fiore. Aggiungo un ultima cosa, i Borbone con tutti i loro difetti, in primis il fatto che fossero dei monarchi, inventarono la raccolta differenziata

  4. Perdonate l’errore di grammatica (ho scritto un’ultima cosa senza l’apostrofo). Colgo l’occasione per ringraziare Miriam per l’articolo e l’impegno costante e Igor per le interessanti osservazioni

  5. Ciao Daniele e ciao a Francesca e Igor.

    Ho apprezzato molto i contributi di tutti.

    Credo che Igor abbia ben interpretato il mio pensiero, dicendo che popolazioni così mortificate dai danni ecologici, come quella della Terra dei Fuochi, non solo debbano sopportarne le disastrose conseguenze, ma debbano anche sentirsi direttamente responsabili. E non lo siamo. Ribadisco che parliamo di RIFIUTI INDUSTRIALI TOSSICI, non di rifiuti urbani. E anche su questi ultimi, ci sarebbe tanto, ma tanto da dire.

    Come Francesca ha così ben chiarito con gli esempi di Saviano e Sant’Anastasia (che, per inciso, è dove abito io) e che sono solo due dei numerosissimi casi che potremmo citare, c’è poco da parlare. Non ci sarebbe più niente da mediare. E invece, la linea che tentiamo di seguire è quella del dialogo costante con le istituzioni.
    Noi le sentiamo lontanissime, arroccate sui loro interessi e spesso nemiche. Francesca ha ancora una volta ragione quando dice che lo Stato non lo percepiamo. Di conseguenza, è difficilissimo averne il senso.

    Le ragione storiche sono quelle che sempre Francesca ha illustrato. Aggiungo che quando si depaupera economicamente, con scientificità, una regione (tutto il Sud), le si toglie nei fatti la dignità. Ma ce la stiamo riprendendo, poco a poco.

    Dove possa portare questa presa di coscienza, non so ancora di preciso. È presto per dirlo.

    Lo Stato tentiamo, Igor, di richiamarlo ai suoi doveri, ma come vedi, sembra una lotta senza speranza. Tuttavia, Daniele, non lottiamo “contro”, noi lottiamo “per”.

    E sai che c’è? In fondo non dovremmo essere noi a dover dialogare con lo Stato. Lo Stato dovrebbe cercare il confronto con noi.
    Tutti i comitati cittadini (NO MUOS, NO TAV, NO TRIV, NO AL PROGETTO ELEONORA, STOP BIOCIDIO…la lista per fortuna è stratosfericamente lunga) difendono il territorio perché sono i detentori della vera conoscenza del territorio stesso.
    Noi abbiamo idee, proposte, piani alternativi, una visione concreta. E anche se non si parla direttamente di decrescita felice, la gente ormai ha capito che è necessario cambiare rotta. Si deve lavorare perché questo “cambiare rotta” abbia dei connotati precisi, concordo. Io sosterrò, comunque e sempre, la decrescita, alla quale ho un approccio essenzialmente pratico e meno speculativo (Igor mi conosce, lo sa bene). Ma ci vuole molto tempo, come per ogni trasformazione culturale.

    Sai, ci si chiede in questi giorni e in vista delle prossime elezioni Regionali, se sia meglio entrare nella stanza dei bottoni per realizzare il cambiamento, o continuare con la politica dal basso.
    Personalmente, ritengo che 4 o 10 consiglieri regionali, non possano molto. La politica è ancora sinonimo di clientelismo e affarismo: genera diffidenza o compiacenza.
    Credo che si debba continuare ad agire a livello base, esercitando tutta la pressione possibile, non solo sulle istituzioni, con cui, ripeto, bisogna dialogare e trattare, ma anche sulla cittadinanza, perché prenda coscienza e si senta parte attiva del processo politico. Ma per farlo, si deve averne la fiducia incondizionata e oggi, a essere legati a un carrozzone politico, la fiducia si perde.

    Quindi, per me, i cittadini DEVONO, assolutamente devono, indignarsi, protestare, urlare se necessario, e informarsi correttamente, studiare, proporre soluzioni alternative. E le associazioni DEVONO lavorare in rete.

    Riassumendo, quindi, le direzioni da seguire per me sono due, con due velocità diverse:
    1) Induciamo lo Stato a darci ascolto, e in fretta, perché qua si tratta di vita o di morte. Cerchiamo di rendercene conto il prima possibile. È sterminio.
    2) Riprendiamoci lo Stato, cambiando le menti, ad una ad una e portiamole al messaggio della decrescita. E se il nostro messaggio non passa, allora, senza modificarne la sostanza, cerchiamo il modo di porlo diversamente e rendiamolo flessibile, nella forma, alle necessità del caso (Subcomandante Marcos)

    Ringrazio tutti voi, davvero, per aver commentato il mio articolo. Ho imparato tanto, come sempre.

    • Ciao Miriam, ho letto il tuo articolo che condivido in pieno, come condivido i tuoi commenti.
      Su un punto però ,sono rimasta perplessa, punto che ti riporto in citazione:

      ” 2) Riprendiamoci lo Stato, cambiando le menti, ad una ad una e portiamole al messaggio della decrescita. E se il nostro messaggio non passa, allora, senza modificarne la sostanza, cerchiamo il modo di porlo diversamente e rendiamolo flessibile, nella forma, alle necessità del caso (Subcomandante Marcos)”

      Vorrei, mi spiegassi più nel dettaglio il messaggio che vuoi comunicare .

      Grazie

      Simona

  6. Ciao Simona 🙂
    Quando ho scritto il punto 2), mi sono espressamente riferita ad un passo di un libro, bellissimo, che ho letto tempo fa: “Marcos, il Signore degli Specchi”, l’intervista di Manuel Vazquez Montalban al Subcomandante Marcos.
    Il giornalista chiede al rivoluzionario quale sia la cifra, l’importanza, della comunicazione per gli zapatisti.
    Marcos risponde che è centrale il feedback: “Facciamo la nostra proposta politica. Non accade niente, rimbalza, la modifichiamo via via, impariamo quindi ad ascoltare e a parlare…il nostro scopo è farci capire…e allora andiamo avanti a modificare e a modificarci, senza intaccare la sostanza”.
    Mi sembrò, allora come adesso, che il nodo della comunicazione fosse davvero fondamentale.
    Igor ha scritto prima che ci lamentiamo che la decrescita sia lo 0.001%. Forse il messaggio della decrescita non riesce a passare…forse dovremmo riflettere sulle modalità con cui poniamo questo messaggio.
    Non so, Simona, come ripeto spesso, la decrescita per me è soprattutto una vita diversa. Una liberazione, una conquista. Forse manca l’afflato, la gioia, l’entusiasmo nel comunicare agli altri quanto sia bello poter essere sganciati dalla società servile della crescita ad ogni costo.
    Ma come altrettanto spesso ripeto, non sono abbastanza esperta, nè filosoficamente formata per parlare adeguatamente di certi aspetti della decrescita.
    Quindi magari, sarebbe interessante ascoltare anche la tua idea in proposito! E ovviamente, quella degli altri.
    Grazie a te!

    • Ti ringrazio molto della tua risposta.
      Mi piace il tuo modo di esserci per certi versi somiglia al mio.
      Ti dico la verità mi aveva spaventato quel : ” cambiamo le menti una ad una”.
      Ma ora è più chiaro.
      Ti dirò secondo me il progetto decrescita non si dovrebbe fermare alla sola scelta di vita, ma dovrebbe andare oltre e divenire progetto politico.
      Tu che ne pensi?
      Spero di rilleggerti presto.
      Simona

  7. Mi sono accorta però di non aver risposto ad una tua domanda precisa.
    Mi hai chiesto perchè il messaggio non passa, perchè la gente recepisce : male e poco, e cosa propongo io
    Beh io sono meno esperta di te, lo capisco leggendoti, e non poso esserti di aiuto, ma posso assicurarti che mentre ti leggo percepisco nei tuoi messaggi, la forza dell’onestà di crederci e provarci cercando una soluzione insieme agli altri perchè il messaggio passi, e questo secondo me è fondamentale .

    E’ stupenda la gioia che si prova nel poter collaborare condividere, nel non essere soli, sono contesti che tutti bene o male inseguiamo in questo mondo dove ognuno va per conto suo incurante del suo prossimo, la decrescita è anche un modo, fra le altre cose, per ritrovarsi e ritrovare valori perduti, dimenticati, per riscoprire tradizioni sapori ; la gente cerca il genuino , la gente vuole star bene in salute, però se gli proponi questa scelta è scettica.
    Non so…ma vedo un umanità che va alla deriva e questo mi da un’immensa tristezza
    A presto e ancora grazie.
    Simona

  8. Ciao Simona, grazie a te!

    Io continuo a credere che la politica debba passare, come ha sottolineato Francesca, per la passione civile.
    Deleghiamo/demandiamo troppo e i risultati si vedono: la democrazia, se ancora se ne può parlare, non è più rappresentativa e la distanza dalle istituzioni è incolmabile. Basta vedere la percentuale degli elettori che in Emilia Romagna, di recente, si è presentata alle urne.
    Quindi, va rifondato tutto il processo.

    La politica, se è cura della polis, va fatta a cominciare dalle piccole cose e impegnarsi singolarmente, ognuno nel proprio contesto, può riportare il senso della comunità.

    La decrescita E’ politica, secondo me, in questo senso. La politica si fa a casa, prima di tutto, attraverso le scelte che facciamo ogni giorno e la decrescita impone attenzione costante a queste scelte.
    Mica semplice in un mondo dove è così facile e così richiesto essere solo spettatori incoscienti.

    L’associazionismo è, per me, il passo successivo. Prestare la propria opera, il proprio tempo, ai comitati, alle associazioni territoriali, ci fa sentire protagonisti della speranza di cambiamento.
    Non ne posso più di essere così passiva. Non ho più il diritto di lamentarmi se non agisco e non faccio nulla per migliorare le cose.

    Che dirti…stringiamoci fra di noi e cerchiamo di stringerci agli altri proponendo un esempio concreto.
    Perché una cosa ho testato personalmente: si riesce più facilmente a parlare di decrescita se la pratichiamo davvero. Le persone hanno bisogno di vedere, nei fatti, che la decrescita è un sistema alternativo (l’unico possibile, allo stato in cui siamo) del vivere quotidiano.

    Ti abbraccio!

    • Provo a continuar e il discorso, purtroppo non sono molto esperta sul tema, perciò chiedo la tua collaborazione nel capirmi.

      Partiamo dai GAS , a mio parere è una bellissima realtà rappresenta il “fare” per diffondere la cultura del consumo critico, dell’economia solidale, della filiera corta.
      E’ il ritrovarsi insieme per vivere momenti anche di piacevole amicizia, perché la decrescita è anche questo.
      La decrescita come ho scritto altrove la sento necessaria perchè il suo progetto avvicina “mondi” diversi, li obbliga a confrontarsi e collaborare per la riuscita del progetto; riporta alle origini, a riscoprire le piccole cose i piccoli gesti dimenticati; sognando un attimo vedo le “mie” montagne riappropiarsi dei loro ghiacciai, mentre si interrompono i delittuosi disboscamenti , fino ad oggi messi in atto per costruire alberghi sui costoni delle montagne, impianti di risalita, o piste da sci
      Sogno di vedere nelle zone disboscate nascere vivai composti da coltivazioni compatibili con l’ambiente.
      Vedo il rinascere delle stelle alpine,mentre piccoli borghi meravigliosi ritorneranno alla vita
      Ogni elemento ritornerà al proprio posto , gli uomini impareranno a convivere, compensandosi e facendo si che le diversità completino e non dividano
      Questo secondo me è uno dei significati della decrescita felice, se si avverasse tutto ciò intravedo la vera felicità per l’umanità, la sconfitta di guerre, crudeltà ingiustizie.

      Però il GAS deve fare politica deve diventare un po’ il simbolo del progetto politico sotto la guida di una classe dirigente che operi con professionalità e competenza, mio padre mi diceva sempre che la politica non si improvvisa ma richiede., a monte, studio e competenza in varie materie, quindi penso che il progetto politico debba essere consegnato nella mani di persone competenti
      La che deve nascere deve essere capace di scardinare il vecchio modello capitalistico basato sui tanti passaggi di mano delle merci. Deve affrontare i temi della qualità, della sostenibilità ambientale, del rispetto per la natura.
      Deve essere una politica che operi in due modi contemporaneamente
      1) rimuovendo le cause che determinano il danno,
      2) ,nella fase di sfacelo deve essere pronta con rimedi pronti ed effiocaci e curare i feriti .
      Quindi una opera politica complessa e virtuosa, che prima di tutto sappia prevenire gli eventi, e non inseguirli. E nello stesso tempo sia pronta curare là dove avviene ciò che non si può evitare nemmeno con un azione preventiva
      Purtroppo ho la sensazione, anche su internet, che parlare di militanza, di fare “politica” alla gente non interessa: ciascuno guarda il suo orticello e non si interessa di cose che riguardano il benessere della collettività e, piu’ ancora, non sa guardare oltre il proprio naso e immaginare quali saranno gli scenari futuri.
      La gente è sostanzialmente apatica: vive alla giornata e bada ai fatti propri.
      E questo mi rattrista molto perché mi fa capire una delle motivazioni per cui il processo decrescita non passa.
      A presto,

      • Simona, secondo me un problema non indifferente è dato dal fatto che molti non si rendono conto della portata di quello che fanno. Prendi una cosa stupida come una certificazione biologica partecipata: crea un legame diretto tra produttore e cliente eliminando la mediazione burocratica dello stato…. a suo modo è un atto molto eversivo.

  9. Ciao Igor, a volte lo penso un progetto troppo ambito per una comunità ancora immatura e quindi impreparata, non pronta a capirne la portata.
    Forse hanno ragione i decrescenti che sostengono necessario un percorso intellettuale per assorbire la cultura del progetto.
    Purtroppo questo percorso rimane privilegio per pochi.
    La maggioranza della popolazione deve trovare motivazioni pronti e forti per aderire.
    Ma come fare?

    • Difatti, non è facile.
      La direzione che prende la società intera (mi riferisco per esempio al TTIP, la globalizzazione 2.0) è completamente opposta a quella indicata dalla decrescita. E quando, dall’alto, calano bombarde di questa portata, la gente comune, che delle bombarde nemmeno si accorge, non fa altro che adeguarsi.
      C’è bisogno di un livello tale di consapevolezza per tirarsi fuori mentalmente da queste dinamiche che…

      Voglio farvi un piccolo esempio e poi farvi una domanda.
      L’anno scorso, ho organizzato un evento a casa mia: abbiamo invitato un centinaio di persone (abito in campagna), e abbiamo parlato di saper fare, di artigianato, di agricoltura sana (in piena Terra dei Fuochi), di rovesciamento delle abitudini e di gestione del tempo. Insomma di buen vivir e di buone pratiche di vita. Abbiamo sperimentato un piccolo GAS e forme semplici di baratto.
      Non ho nominato nemmeno una volta la decrescita felice, anche se la radice del discorso che ho impostato era tutta lì.
      La gente ne è rimasta affascinata: non tanto dalle parole, ma dall’esempio pratico.
      Io sono un’impiegata (non ancora per molto, per come si mettono le cose), ho famiglia e poco tempo a disposizione, ma riesco comunque a seguire questo percorso…tra mille difficoltà.
      Le persone hanno capito che è possibile tentare di vivere diversamente e io ho capito che a volte le persone hanno bisogno di un “la” per potersi rendere conto che forme nuove di aggregazione sono possibili.
      Quando parlo di politica dal basso, mi riferisco essenzialmente a questo: un ripensamento generale delle forme di aggregazione.
      La formazione di una nuova classe politica, dirigenziale, può essere espressa da queste nuove modalità dello stare insieme.
      Mi rendo conto, Igor, che è un discorso molto semplicistico il mio. Ho letto abbastanza i tuoi libri per lasciarne a te gli approfondimenti pratici, politici e intellettuali.

      La domanda per voi è: è sempre necessario, se ci rivolgiamo a conoscenti, amici, persone comuni come noi, affaticate e schiacciate dalla vita di tutti i giorni, parlare direttamente di decrescita felice? Parlare cioè di progetti culturali, di percorsi intellettuali, di nuovi e non sempre futuribili scenari?
      O non è meglio agire socraticamente, adottando con ciascuno un parlare diverso che possa essere compreso a seconda delle possibilità di chi abbiamo di fronte, pur portando COMUNQUE le persone al pensiero decrescente ?

      • Ripeto concetti che ho già detto e a cui tengo molto. La rivoluzione francese nasce in gran parte da contadini malcontenti per le ingessature dei residui del feudalesimo, la comune di Parigi da una protesta contro gli affitti… c’erano i philosophes e gli ideologi e hanno avuto il loro contributo, ma a posteriori, non prima. E’ chiaro che qualsiasi discorso che appaia astratto e slegato dalle proprie vite non riscuoterà grandi successi, ed è anche giusto così.
        L’aggregazione è fondamentale, per questo vedo sempre un po’ con sospetto le iniziative individuali in stile Simone Perotti. Dall’aggregazione nasce la condivisione, dalla condivisione di risorse il risparmio di risorse, ecc.
        Penso che uno dei grossi ostacoli per la decrescita sia il fatto che la gente se la immagina nel contesto individualistico attuale, ed effettivamente non sarebbe una bella cosa.

  10. Come si può concepire la decrescita in un contesto individualistico, se per sua natura il progetto decrescita è. condivisione partecipazione aggregazione?
    Ammetto di essere abbastanza ignorante specie rispetto a voi, e me ne accorgo man mano che vado avanti nella lettura del blog, però lo stesso non arrivo a capire come si possa inquadrare la decrescita sotto un profilo individualistico, quando essa ha natura di scambio di prodotti, favori, servizi
    Concludendo o si crede in un progetto comunitario, dove non sono le esigenze dei singoli che hanno importanza ma quelle della comunità, o a mio parere viene a mancare uno dei fattori più importanti della decrescita: “non conta il mio spirito, il mio bisogno, ma lo spirito e bisogni del gruppo”.

    • 1000% d’accordo. Pero’ se ci fai caso ai commenti, ho avuto molte discussioni con persone che accusano che qualsiasi ragionamento ‘politico’ o ‘sociale’ è fare aria fritta, che la decrescita passa esclusivamente per l’autoproduzione individuale. Sulla base dello stesso principio, molta gente dice che la decrescita è impossibile perché non tutti possiamo essere autoproduttori – fatto verissimo, per altro. Io personalmente distinguo il downshifting (ossia l’autoproduzione personale) dalla decrescita (cioé un enomeno sociale)

  11. Si ho notato. Come ho notato diversi ragionamenti politico e sociali interessanti sotto vari profili

    Personalmente non sono fra coloro che sono in grado di portare avanti ragionamenti politici e sociali, però sono fra coloro che li richiedono, perchè li ritengono indispensabili.
    In quanto senza un ragionamento, che poi diventerà progetto e poi realtà politica non si può costruire nessuna comunità, e per aver testimonianza di questo basta leggere la storia.

    Sul fatto che non tutti non possiamo essere produttori, secondo me bisogna distinguere se per autoproduzione si intende completa libertà e autonomia posso essere d’accordo, a me ad esempio mi si è rotta la lavatrice, non posso certo produrla in casa : devo comprarla, ma per molte cose a poco a poco mi è bastato investire per comprare gli attrezzi necessari e ho scoperto che essere autosufficienti è più facile a farsi che a dirsi.

    Sinceramente coloro che mi vengono a dire : ” non tutti possiamo essere autossufficienti” rispondo che il problema non sta nel non poterlo fare ma nel non volerlo fare.
    E qui si arrabbiano mi portano un sacco di stupidi scuse, al che lascio fare tanto ho imparato che insistere porta solo a un rifiuto più massiccio.

    • Io penso che siano imprescindibili entrambi i piani e che viaggino, indiscutibilmente, insieme:

      1) quello della riflessione (vogliamo chiamarla storico-filosofico-politica?) e siamo qui, su questo portale, apposta, ognuno secondo le proprie esperienze e preparazione, ognuno con il proprio contributo. Se scrivo qui o commento è per affinare il mio pensiero decrescente e per imparare da persone come Igor e gli altri le implicazioni concettuali della decrescita e in che modo possa essere resa meno utopica. Non è assolutamente aria fritta, al contrario. Se di progetto si parla, il progetto deve essere sviluppato.
      Il risveglio delle coscienze è solo un primo passo, dopodiché bisogna pianificare il proprio futuro secondo un modello e per elaborare un modello bisogna passare attraverso la ricerca scientifica.

      2) quello della concretezza, perché la decrescita passa necessariamente per il fare quotidiano. E il fare deve essere ancorato a quel progetto comunitario. Altrimenti, ripiombiamo nell’individualismo e possiamo declassare la decrescita al mero downshifting, fenomeno che mi lascia sempre un po’ perplessa. Perotti, infatti, è un caso emblematico: secondo me ha ragione Igor quando distingue fra downshifitng e decrescita in sé e per sé.
      La decrescita non è un hortus conclusus, ma explosus. E’ società, non eremitaggio.

      L’autoproduzione è sempre possibile, ma per gradi diversi, come diversi sono i gradi di resilienza. Io sono in campagna e ho molte più possibilità di autoprodurre ciò che mangio, per esempio. In città, le cose sono estremamente diverse, ma da ex cittadina, so che, aldilà dell’orto sul balcone, molte cose sono sempre realizzabili. Come dice Simona, è un fatto di volontà. Fu Manuel Castelletti a dire che la decrescita non è per pigri?

      Il problema che ponevo io era solo sulle modalità di comunicazione di questo progetto.
      Intendevo solo dire che, allo stato attuale, forse, l’esempio pratico arriva di più a colpire l’immaginario della stragrande maggioranza delle persone. Comunicare la gioia che si prova nel realizzare un oggetto, nel fare il pane in casa, oppure dimostrare quanta condivisione c’è nel comprare in GAS, rende più immediatamente percepibile la decrescita.
      Cominciare così…non finire.
      Cominciare con le piccole cose e poi far capire che c’è un disegno bellissimo dietro queste piccole cose: un futuro pensato che parla delle montagne recuperate di Simona, di una Terra, quella di Miriam, che sarà liberata dai Fuochi e della decrescita di Igor, come contropotere sociale.

  12. ” 1) quello della riflessione (vogliamo chiamarla storico-filosofico-politica?) e siamo qui, su questo portale, apposta, ognuno secondo le proprie esperienze e preparazione, ognuno con il proprio contributo. Se scrivo qui o commento è per affinare il mio pensiero decrescente e per imparare da persone come Igor e gli altri le implicazioni concettuali della decrescita e in che modo possa essere resa meno utopica. Non è assolutamente aria fritta, al contrario. Se di progetto si parla, il progetto deve essere sviluppato.
    Il risveglio delle coscienze è solo un primo passo, dopodiché bisogna pianificare il proprio futuro secondo un modello e per elaborare un modello bisogna passare attraverso la ricerca scientifica.”

    Mi fermo solo su questo punto, per fare una semplice considerazione.
    La riflessione che tu parli che io riassumerei con il termine : intellettuale, non deve fermarsi solo alla riflessione ma deve divenire un progetto politico.
    Progetto che va portato fra la gente ne più ne meno come fanno gli odierni partiti, progetto che chiede consensi e voti, per poter entrare in parlamento e far sentire la sua voce
    So di incontrare diffidenze a esprimere questo pensiero, perché la decrescita è un progetto nato libero che vuole cambiare il sistema.
    Ma il sistema capitalistico, è forte, è solido e non si cambai solo cambiando le nostre abitudini di vita, non lo si cambia solo con i comportamenti virtuosi, e via dicendo.
    A mio avviso lo si cambia, entrando dentro il sistema, proponendo leggi, regole che vadano a modificare l’attuale sistema economico e sociale.
    Ed anche così sarà un percorso lungo e difficile, ma a mio parere è l’unico possibile.

    • Eh si, Simona, in effetti io non condivido. Ti riporto quello che ho scritto in un commento un po’ più su, così faccio prima (oggi sono a risparmio energetico… 🙂 ):

      “Sai, ci si chiede in questi giorni e in vista delle prossime elezioni Regionali, se sia meglio entrare nella stanza dei bottoni per realizzare il cambiamento, o continuare con la politica dal basso.
      Personalmente, ritengo che 4 o 10 consiglieri regionali, non possano molto. La politica è ancora sinonimo di clientelismo e affarismo: genera diffidenza o compiacenza.
      Credo che si debba continuare ad agire a livello base, esercitando tutta la pressione possibile, non solo sulle istituzioni, con cui, ripeto, bisogna dialogare e trattare, ma anche sulla cittadinanza, perché prenda coscienza e si senta parte attiva del processo politico. Ma per farlo, si deve averne la fiducia incondizionata e oggi, a essere legati a un carrozzone politico, la fiducia si perde.”

      La politica è troppo malata, troppo professionalizzata e troppo corrotta.
      Per quanto ce lo si potesse immaginare, le vicende romane sono l’esempio eclatante dello stato di assoluta cancrena in cui versiamo.
      E non basta, purtroppo, l’innesto forzato di cittadini onesti in parlamento per cambiare le cose.

      La sola espressione “ricerca dei voti e del consenso” mi fa venire l’orticaria. Se anche adesso ci fosse, secondo me, adeguata convergenza popolare sulla decrescita, cosa che non è, il contesto in cui dovrebbe inserirsi il “partito della decrescita” fagociterebbe o distruggerebbe la decrescita stessa.
      Questo non vuol dire, ovviamente, che non si debba avere un progetto politico: il Manifesto per un’Europa Decrescente lo è e come. Ma rimango del parere che si debba continuare ad agire sul piano culturale perché si possano creare condizioni favorevoli ad esprimere una classe dirigente decente.

      Perdonami, la mia durezza nell’esprimere il mio punto di vista sull’argomento è dettato da una grandissima amarezza. Vivere nella Terra dei Fuochi ha di sicuro informato di sé la mia visione politica.

  13. Lo sapevo in partenza che non mi avresti condiviso 🙂
    La politica è corrotta e malata perché opera in senso a un sistema malato e corotto, perciò è sistema che va cambiato fin nelle sue radici, ma come pensi di poter cambiare il sistema se non con leggi e regole.
    Tu pensi veramente che sia possibile cambiare le menti della gente, farla ragionare, portarla ad attuare comportamenti virtuosi solo dicendo loro che è per il futuro dei loro figli
    Funzionerà fino a che non ci sarà il richiamo dei saldi di turno.
    Miriam se i decrescenti non crescono in numeri e consensi, il progetto resterà solo realtà di pochi che si illudono di essere liberi e autosufficienti, poi arriva il momento che devono per forza rivolgersi al sistema e capiscono che è un sogno impossibile,e che lo sono solo per metà.
    Tu vivi nella terra dei fuochi e ti capisco, pensa però anche a chi vive all’Aquila dove il terremoto ha portato via anche gli occhi per piangere.
    Pensa a Genova distrutta dalle alluvioni.
    In Italia sono milioni le realtà che portano a vedere la politica in modo diffidente a non volerne sentir parlare, però obiettivamente bisogna capire che una comunità non va avanti senza un progetto politico
    Quindi se il progetto decrescita è sano, è pulito e se vuole diventare la speranza del domani unica modo per farlo è farsi conoscere cercare voti e consensi
    Agire solo sul piano culturale non serve, non ottieni nulla cercando di far leva solo sui singoli, solo portando a venti persone la cultura della decrescita, non si cambia un sistema capitalistico che ha radice profonde e ben piantate solo predicando uno stile di vita pulito, accanto a questo ci devono essere leggi regole che cambiano le leggi e le regole dell’attuale mercato.
    Ripeto il processo di cambiamento deve essere contemporaneamente: culturale e politico, in modo da cambiare regole e leggi che regolano la società
    Ti faccio un esempio stupido
    Prima ai supermercati c’erano i capelli sparsi dappertutto, mai che trovassi un cartello al suo posto, per ovviare a questa situazione a nulla sarebbe servito dire alla gente perché i capelli andavano rimessi al proprio posto, si è dovuto ricorrere all’euro nel carrello.
    Questo per dirti che se vuoi cambiare le cose occorre uno stato che abbia il suo governo, la sua politica regolato da leggi e regole e relative sanzioni a chi trasgredisce

  14. Scusate correggo l’ultimo periodo, purtroppo ho la tastiera che mi funziona a singhiozzi

    “Prima ai supermercati c’erano i carrelli sparsi dappertutto, mai che trovassi un carrello al suo posto, per ovviare a questa situazione a nulla sarebbe servito dire alla gente perché i carrelli andavano rimessi al proprio posto, si è dovuto ricorrere all’euro nel carrello.
    Questo per dirti che se vuoi cambiare le cose occorre uno stato che abbia il suo governo, la sua politica regolato da leggi e regole e relative sanzioni a chi trasgredisce

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