Sovrappopolazione vs sovrasviluppo, malthusianesimo vs decrescita

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Dopo la trasmissione sulla DFSN-TV con Manuel Castelletti, vorrei tornare per un’ultima volta sul discorso della sovrappopolazione, cercando di tradurre in termini più concreti alcune delle idee emerse in quel dibattito. Attraverso i dati esposti nel Living Planet 2012, che fanno riferimento all’impronta ecologica pro-capite delle varie nazioni e alla biocapacità della Terra, ho provato a estrarre alcuni numeri relativi a sovrappopolazione e consumo di risorse rinnovabili. Sono consapevole del fatto che un conto è giocare con i numeri, un altro è la realtà, per cui ci troviamo di fronte ad approssimazioni da trattare cum grano salis; tuttavia le ritengo idonee per trarre alcune conclusioni esaustive.
Prima di tutto ho cercato di calcolare il numero massimo di abitanti di una nazione se tutti i suoi componenti non superassero il limite massimo sostenibile di biocapacità del pianeta, ossia 1,78 ha pro-capite: facendo la differenza tra la popolazione attuale e il dato ottenuto, si può capire se la nazione è sovrappopolata e stimare l’entità del surplus.
Ho poi provato a ideare un parametro che ho chiamato intensità della popolazione, calcolato come se gli esseri umani fossero tutti ‘uguali’, nel senso che mantenessero un’impronta ecologica entro il limite sostenibile. È troppo facile infatti parlare di sovrappopolazione come se esistesse un’uguaglianza di consumi ben lontana dal vero: sarebbe come paragonare TIR e scooter contemporaneamente, inferire che appartengono entrambi alla categoria ‘veicoli’ e che quindi la scomparsa dello scooter comporta una diminuzione del traffico pari a quella del TIR. La verità è che – sul piano dello sfruttamento delle risorse naturali – esistono nani e giganti e contarli allo stesso modo è profondamente ingiusto (il sociologo ambientalista William R.Catton jr ha parlato a ragione di homo colossus, ma solo una minoranza della Terra è abitata da colossi; sono decisamente di più gli homines… scooteri)
Ecco i risultati dei miei calcoli (cliccare sull’immagine per ingrandirla):

Sovrappopolazione

[popolazione espressa in milioni di abitanti e footprint in ha/pro capite]

La Cina risulta sovrappopolata per duecento milioni di persone, un dato che probabilmente non sorprenderà; fa sicuramente più sensazione vedere che 300 milioni di americani ‘pesano’ sul pianeta come più di un miliardo di individui equivalenti. Gli analisti di orientamento più o meno malthusiano saranno sicuramente critici nei confronti della Nigeria (densità 180 abitanti per kmq), ma non avranno probabilmente nulla da rimproverare al Canada (densità media intorno ai 3 abitanti per kmq), eppure i suoi 33 milioni di abitanti, quattro volte e mezzo meno dei nigeriani, impattano più dei corrispettivi africani. Ma il dato più clamoroso è sicuramente quello dell’India, la cui popolazione potrebbe teoricamente raddoppiare se venisse mantenuta l’attuale impronta ecologica pro capite, ancora molto limitata.

Inequivocabilmente, l’overshoot planetario si deve ai paesi ad alto reddito, i quali hanno stabilizzato l’entita della popolazione in termini ragionevoli, ma vanificando tutto con l’aumento indiscriminato del consumo di risorse. I paesi a basso reddito, nonostante l’elevata natalità, non riescono a ‘compensare’ questa intensità di impatto.

Il metodo di analisi impiegato, al di là delle inevitabili approssimazioni e dei probabili errori, rivela chiaramente la differenza che intercorre tra malthusianesimo – o sarebbe meglio dire tra quelli che si definiscono malthusiani – e decrescita. Il malthusianesimo infatti individua nella sovrappopolazione il problema ecologica fondamentale, mentre la decrescita concentra la sua critica sul sovrasviluppo, di cui la sovrappopolazione risulta essere un effetto collaterale.

Mentre il malthusianesimo vuole mantenere sostanzialmente inalterato il sistema tecno-economico vigente, accanendosi sulla popolazione nel tentativo di ricondurlo ai limiti della sostenibilità ecologica, la decrescita ricerca l’equilibrio multidimensionale – per usare una celebre espressione di Illich – tra popolazione, consumo di risorse, sviluppo tecnico e controllo istituzionale; ognuno di questi problemi quindi è relativo e non assoluto, perché interdipendente con le altre variabili. Ecco la ragione per cui, in questo momento, un miliardo di indiani rappresenta un problema minore di trecento milioni di statunitensi.

In definitiva il malthusianesimo, per quanto ami ammantarsi di realismo fino al cinismo più sfrontato, non è altro che un’utopia nel senso deteriore del termine di progetto irrealizzabile, non solo perché una cura malthusiana per il pianeta richiederebbe l’eliminazione immediata di più di due miliardi di persone. Questo approccio rappresenta la reazione indispettita dell’uomo occidentale ai limiti dello sviluppo, il tentativo di perpetuare il mito del progresso umano salvando il progresso ma condannando l’umanità. Una società della crescita per la crescita, per quanto rigorosa sul controllo delle nascite, sarà sempre sovrappopolata, perché il sovraconsumo trasforma l’homo sapiens in un colossus sempre più  affamato e devastatore. Solo accettando i limiti naturali e analizzando tutte le variabili del sovrasviluppo potremo affrontare esaurientemente la questione ecologica nella sua complessità, entità della popolazione compresa.

(Immagine in evidenza: Thomas Malthus vs Serge Latouche, elaborazione personale di immagini tratte da Wikimedia Commons)

26 Commenti

  1. Ciao Igor,
    un tema di questa complessità va affrontato con molte cautele.
    Giustamente, come scrivi tu, “cum grano salis”.
    Le variabili che entrano in un potenziale modello eco-metrico sono molteplici.
    Indubbiamente si tratta di un modello multivariato, i cui fattori in gioco sono spesso latenti o con-fusi per cui serve analizzare serie storiche di piu’ anni e compiere un’attenta analisi della varianza e covarianza.
    Per esempio, oltre a contemplare il fatto che la popolazione non è certo standardizzata nel reddito, nei consumi, negli stili di vita, va anche considerato che l’affollamento del pianeta non è omogeneo, per cui l’impatto antropico è piu’ forte in alcune aree, in modo particolare nelle grandi metropoli e megalopoli ed è piuttosto contenuto in molte altre aree.
    In Italia, per citare un caso che ci riguarda da vicino, la popolazione si concentra nei grandi centri urbani e in quelli di medie dimensioni; mentre l’appennino e praticamente spopolato.
    Come ho già riferito in altro topico, in certe valli la densità della popolazione è inferiore all’1% del territorio disponibile.
    Quindi, pure facendo salve le valutazioni complessive, quando passiamo da un giudizio generale ad una analisi di tipo statistico, cioè prendendo in considerazione delle variabili, è anche necessario dotarsi degli strumenti necessari per elaborarle.
    Di solito nelle analisi univariate e bivariate si formula sempre un’ipotesi ( Ipotesi Nulla), se non altro per poi tentare di respingerla.
    Del resto una ricerca ha senso solo se si formula una ipotesi.
    Nella ricerca ambientale (e non solo) è sempre difficile formulare un’ipotesi a priori; sia perchè non si dispone di molti dati pregressi, sia perchè non è ben chiaro quali siano effettivamente le “n” variabili che interagiscono tra loro.
    Per questo è necessario ricorrere a tecniche come l’analisi fattoriale ( Analisi delle Componenti Principali, Analisi delle Corrispondenze ecc.) o a tecniche di Machine learning ( tecnica di Random Forest con l’algoritmo di Breiman) o alle reti neurali.
    Tramite queste metodiche si riesce, se non ad arrivare a responsi definitivi, quanto meno ad eseguire uno screening gerarchizzando l’importanza delle variabili; in modo da focalizzare l’attenzione solo su gruppi di esse abbandonandone altre che risultano ininfluenti sul modello.

    In conclusione: il tema è affascinante e merita di essere approfondito.
    Bisogna tuttavia rifuggire le semplificazioni e le verità precostituite.
    La realtà è terribilmente complessa e le risposte non sono affatto a portata di mano.

    • Ciao Daniele,
      non sono un demografo o un geografo, so che la realtà è quantomai complessa e che qualsiasi semplificazione è mistificatoria. Mi sono messo a giocare con la matematica per la semplice ragione di controbattere alla ‘verità precostituita’ basata sul mero conto delle teste. Quello che ho chiamato neomalthusianesimo invece fa così: vede un miliardo di persone qua, duecento milioni là, e sulla basa di questa semplice evidenza spara sentenze e invoca misure draconiane (che guarda caso riguardano sempre gli ‘altri’…). Come decrescenti dovremmo invece adottare una visione olistica basata sull’idea di sovrasviluppo e di equilibrio dimensionale.

  2. Questa primavera, partecipando ad una conferenza-dibattito dell’economista Nino Galloni, avevo provato a sondarne le opinioni a proposito della Decrescita. La sbrigativa risposta fu che la Decrescita porta avanti istanze anche condivisibili, ma che non è un progetto realizzabile, perché per esserlo bisognerebbe praticare una drastica riduzione della popolazione umana. A questa obiezione occorrerebbe rispondere con le sante parole di quest’articolo di Igor, che ha il merito di distinguere lucidamente tra neomalthusianesimo e decrescita e di porre l’accento sul fatto che il vero nemico da combattere è il sovrasviluppo. Di fronte a un così grande merito poco importa se nell’analisi matematico-statistica sono stati commessi errori e per questo ho poco apprezzato i minuziosi distinguo di Uboldi. Intendiamoci, nessuno si può permettere di affrontare siffatti argomenti con superficialità e approssimazione (e del resto non mi pare il caso dell’articolo di Igor), ma complicare eccessivamente i fattori in gioco rischiando di adombrare la questione principale (cioè che a decrescere deve essere il sovrasviluppo e che i sostenitori della decrescita non sono Malthusiani) non mi è sembrato un approccio critico condivisibile

    • Conosco un po’ Nino Galloni. ma dopo questa tua segnalazione ho provato a cercare sul Web qualche ulteriore informazione. Perché una risposta del genere data da uno che conoscevo come keynesiano sviluppista mi ha fatto un po’ sobbalzare dalla sedia, perché semmai è il suo paradigma che crea gente di troppo… beh ho trovato questo articolo http://economiaepotere.forumfree.it/?t=60895955 e alcuni stralci: “iniziano la loro irrefrenabile ascesa le logiche “neomalthusiane” – di insostenibilità, per il pianeta, di prospettive di sviluppo, soprattutto industriale, allargato al Sud e all’Est del mondo stesso”; “E così, mentre i neomalthusiani ottenevano che lo sviluppo non progredisse secondo le sue naturali vie di affermazione (che avrebbero consentito la crescita delle tecnologie capaci di minimizzare inquinanti e risorse pregiate per unità di prodotto), i liberisti imponevano – in nome della concorrenza internazionale – un modello di globalizzazione del peggio” e poi arriva la superchicca finale del paragrafo dedicato alla decrescita (che di solito viene accusata di non propugnare abbastanza il controllo delle nascite, qui invece proporrebbe di ridurre la popolazione italiana a 15 milioni!!!). Insomma, secondo Galloni il pensiero ecologico sarebbe conseguenza di un complotto neoliberale, ma pensa te… C’è poco da fare: se la risposta all’establishmente neoliberale sono i Galloni, i Barnard, i Krugman e le Napoleoni, stiamo freschi… l’establishment è fatto da gente seria. Criminale, ma seria.

  3. L’equazione ha semplicemente tre termini e cioe`: il consumo totale, il numero dei consumatori ed il consumo unitario (per consumatore).
    Se, come sembriamo essere tutti d’accordo, il consumo totale va limitato o ridotto, si deve lavorare sugli altri due termini, riducendo la popolazione (o la sua intensita` sul territorio) o il consumo unitario.
    E` chiaro che la riduzione della popolazione comporta traumi di vario grado, anche se la si volesse semplicemente spostare, decentralizzare, ecc… quindi l’ovvio principio e` che i consumi vanno ridotti.
    Il resto e` e nomenclatura (maltusiani, neo o meno,…) e grammatica e ci si puo` giocare con la statistica, la politica, la religione, la contraccezione, le epidemie, le carestie, le guerre o, addirittura le camere a gas.
    Cioe`, a breve termine si riducono i consumi, a lungo termine (possibilmente in modo indolore) si riduce la popolazione.
    Ovvio, no ?

  4. Ciao Igor,
    la tua tabellina è perfetta (al di là della possibilità di accapigliarsi all’infinito sulle definizioni e sui decimali). Parla da sola e dice molte cose, ma soprattutto mostra chiaramente la cosa essenziale: dove sta in termini quantitativi il problema. Chi non vuole capirla o è in malafede o ha una percezione della realtà molto distorta. Continuiamo a smascherare i primi e ad argomentare con i secondi.

  5. Mi dispiace se quanto ho scritto è stati inteso come “tecnicismo”.
    Per stessa ammissione di Mathis Wackernagel la formula da lui utilizzata per calcolare l’impronta ecologica è limitata e limitativa.
    Infatti tutto è ridotto alla porzione di geosfera necessaria per annullare l’impatto negativo del diossido di carbonio, non entra l’enorme nuvola di smog che staziona su Cina e India e nemmeno i guasti all’ecosistema per gli incendi dolosi delle foreste in indocina
    In pratica, come è stato evidenziato da Igor, si parla di ettari equivalenti e necessari per annullarne l’effetto del diossido di carbonio.
    E il resto? Nella formula, per esempio non entra il nuclerare e l’impatto che ha sia nell’uso ordinario nelle centrali per produrre energia e, ancora meno, per gli eventi straordinari in caso di guasti.
    Non entra nemmeno il danno alla fauna edafica compiuto dai diserbanti.
    Dunque la formula è una indicazione di direzione ma non certo esaustiva del fenomeno.

    Io credo che una teoria importante come la decrescita non possa fondarsi su semplificazioni.
    Chi si occupa di scienza non può compiere atti di fede o schierarsi su di un fronte solo perchè affascina e, intuitivamente, apre una possibile ripartenza per l’umanità.

    Lo stesso Malthus viene qui bistrattato, a mio avviso con qualche torto.
    Malthus, è stato un valente demografo che, prima di altri ha evidenziato il rapporto tra crescita della popolazione e corrispondente bisogno di cibo.
    Il lambda di Malthus è tutt’ora applicato negli studi sulle popolazioni animali.
    Alcune, con assoluta evidenza scientifica, seguono un comportamento malthusiano; altre no.
    L’algoritmo di Malthus è certamente datato, per cui ampiamente sostituito da quello di Laslie.
    Inoltre l’algoritmo non tiene conto di tre fattori fondamentali.
    Del resto nemmeno quello proposto da Mathis Wackernagel considera:
    a) i movimenti migratori
    b) la speranza di vita alla nascita
    c) il sistema di relazioni tra i popoli, certamente rimodellati dalla globalizzazione.

    Non me ne voglia Igor ma delle due cose l’una: o si resta sulle filosofie , sui massimi sistemi o ci si mette a fare gli statistici.
    In questo secondo caso servono competenze e l’utilizzo delle necessarie metodologie.
    Un’idea della dinamica delle popolazioni la si può rintracciare nel seguente lavoro:
    http://www.ecolab.unipr.it/files/stuff/Intro_Dinamica_Popolazioni.pdf
    Credo che siamo tutti d’accordo nell’affermare che il peso ponderale tra indiani e statunitensi sia del tutto diverso.
    Non dobbiamo convincerci tra di noi.
    Però, se si inizia a compilare tabelle, allora bisogna farlo in scienza e non solo in coscienza.
    Tutto qui e non penso che sia solo una questione di “definizione dei decimali”.

    • “Sono consapevole del fatto che un conto è giocare con i numeri, un altro è la realtà, per cui ci troviamo di fronte ad approssimazioni da trattare cum grano salis; tuttavia le ritengo idonee per trarre alcune conclusioni esaustive.”

      Credo che con questa premessa iniziale abbia diradato qualsiasi dubbio sul fatto che io mi voglia elevare a scienziato. Così come sul fatto che nessun indicatore in sé potrà mai essere esaustivo, perché analizza le cose da un punto di vista che ne esclude inevitabilmente altri, quindi ci sono più parametri da considerare. Se però avessi considerato, ad esempio, il consumo di energia primaria, non sarebbe cambiata la constatazione che esistono nani e giganti nell’umanità per quanto riguarda il consumo di risorse. Sui limiti dell’impronta ecologica ne avevamo parlato con Manuel nel video sul canale youtube di DFSN.
      Secondo, io non ho attaccato Malthus ma il ‘malthusianesimo’, e credo di essere stato abbastanza chiaro in questo. Con malthusianesimo intendo l’atteggiamento che si basa sull’assioma generico per cui “il problema ecologica fondamentale è la sovrappopolazione”. E qui arriviamo al terzo punto.
      “Credo che siamo tutti d’accordo nell’affermare che il peso ponderale tra indiani e statunitensi sia del tutto diverso”: ma magari! Personalmente non intendo il DFSN un modo per parlarci tra di noi e basta quando scrivo gli articoli. E troppo spesso sul Web e anche fuori vedo solo gente che si limita a contare teste, a non fare minimi riferimenti ai consumi, in modo da poter concludere “il problema è africano e asiatico e non nostro”. C’è tantissimo lavoro di informazione da fare a questo riguardo.
      Quarto punto, e qui Daniele spero davvero che lo intenderai come un sassolino dalla scarpa che mi levo in amicizia, senza intenti polemici o di flame perché mi spiacerebbe davvero. Allora, hai ragione: io mi dovrei occupare solo di ‘filosofie’, e lasciare stare la demografia, l’energia, la tecnologia e altri temi di cui spesso mi occupo senza le giuste competenze a parte il privilegio sociale di essere un cittadino capace di informarsi. Ogni volta che lo faccio arriva qualcuno, giustamente, che mi fa notare che ho sbagliato la cosa lì, che non sono stato abbastanza scientifico là, che faccio confusione tra scienza e auspici filosofici… perfettissimo, accetto di buon grado e sono molto lieto di imparare. Solo che mi chiedo sempre: ma perché tutte queste persone che sanno NON SCRIVONO LORO IN PRIMA PERSONA SU QUESTI ARGOMENTI SENZA CHE VENGA LA CATTIVA IDEA A ME DI FARLO?
      Spero Daniele che tu intenda quanto ho detto per quello che è, una sfida in amicizia e non una provocazione rabbiosa. In passato l’ho fatto con un altro commentatore che stimo molto, Giulio ‘mangiumaker’ Manzoni e devo dire che ha sortito risultati. Quando vedrò articoli che soddisfano quelle che sono in fondo curiosità collettive e non solo mie, me ne starò ben volentieri nelle mie nicchie. Fino ad allora però cercherò di darmi delle risposte da solo con i miei mezzi limitati e consapevole di poter sbagliare, nella speranza che altri mi facciano notare gli errori.

  6. Caro Igor,
    con altrettanta stima e amicizia raccolgo il “guanto”.
    Hai ragione: tutti dobbiamo impegnarci e non limitarci semplicemente a fare osservazioni sulle analisi altrui.
    Per cui mi attrezzo e, quanto prima, vedrò di dare il mio piccolo contributo.

  7. Cari Igor e Daniele,
    mi posso intromettere ?
    Tra il filosofo idealista e lo scienziato “statistico” c’e` forse posto per lo sperimentale, l’empirico, che intravvede una soluzione e procede per elminazione delle variabili lavorando “ai limiti” del problema.
    Cioe`, torno a dire, anziche` discutere se e quanto si debba limitare il consumo oppure la popolazione, si vede bene che la minimizzazione del consumo porta sicuramente un beneficio per tutti. Chiaramente ci sono paesi che stanno gia` al minimo, quindi la minimizzazione puo` solo riguardare gli altri, quelli che vivono nelle fascie alte del consumo (cioe` noi…).
    Dell’altra operazione “al limite” si e` anche gia` detto, cioe` ridurre la popolazione sarebbe una soluzione certa, ma attuabile solamente a lunghissimo termine e al prezzo di una disciplina difficile da mantenere… per ora.
    Nel mezzo di tali due limiti si puo` disquisire infinitamente su quale sia la soluzione ottimale e si puo` farlo per piacere dialettico, accademico, politico o semplicemente masochismo sociale, ma nel frattempo uno dei due limiti andrebbe scelto per iniziare a fare qualcosa.

  8. Ciao Giulio,
    intromettiti, intromettiti :-)))
    Permettimi di sollevare una questione di approccio che riguarda Igor e me.
    bada bene: sto parlando del “filosofo” e dello “statistico”, non della sua e mia persona.
    Igor ha la fortuna di potere dire quello che vuole senza dimostrarlo.
    Io non ho questa fortuna.
    Il filosofo è, in un certo senso, un “apripista”: è colui che intuisce, immagina, fantastica e perfino sogna ( l’uomo senza sogni è un pover’uomo).
    Il filosofo è sostanzialmente un logico al quale, spesso e volentieri, fa eco il matematico: colui che deve dare corpo e struttura alle idee e, piu’ di ogni altra cosa, passare dall’astrazione speculativa alla formula risolutiva che consenta generalizzazioni.
    Per cui l’idea, l’intuizione diventa regola, legge.

    Lo statistico è un pò l’uno e un pò l’altro.
    I metodi statistici sono quasi sempre esatti ma la definizione del modello sperimentale è largamente arbitraria.
    Se la ricerca non è pianificata bene si corre il rischio di ottenere un cumulo di dati ingestibili, incorrelabili o che forniscono responsi astrusi.
    In ogni caso, a differenza del filosofo, lo statistico deve dimostrare quello che ipotizza.
    Dal punto di vista metodologico lo statistico quasi sempre formula una o piu’ ipotesi ( Ipotesi Nulla) alla quale si oppongono le ipotesi alternative.

    Nel nostro caso l’Ipotesi Nulla si fonda sul fatto che non esista alcuna differenza nei comportamenti umani e che le variazioni climatiche, ambientali ( impronta ecologica) siano dovute solo al caso.
    Contro, l’Ipotesi Alternativa: almeno una causa è vera, per cui l’Ipotesi Nulla va rigettata.
    Le cose si complicano quando il povero statistico brancola nel buio, come se qualcuno gli avesse bendato gli occhi.
    Infatti, in una ricerca del tipo di cui stiamo parlando, è difficile A PRIORI individuare quali siano le variabili che abbiano un certo peso, tale da portare la decisione circa non rifiuto/rifiuto dell’Ipotesi Nulla prima nella “regione critica” e poi nel rifiuto palese; per cui si lavora sui dati A POSTERIORI.
    Cosa provoca davvero danni al pianeta?
    Noi possiamo solo supporlo.
    Ce lo dice il nostro buon senso, quella che a noi pare l’evidenza oggettiva.
    Ma tutto questo allo statistico non può bastare, perchè deve dimostrarlo.
    Ronald Fisher, padre della statistica moderna, ha affermato che anche la correlazione cancro/fumo di tabacco deve essere dimostrata!

    La situazione prospettata da Igor è abbastanza tipica nella ricerca ambientale, dove hai poca letteratura pregressa su cui basarti e una notevole incertezza sul cosa indagare.
    Allora lo statistico, per scrupolo e un pò anche per pararsi le terga, prende in considerazioni un gran numero di variabili; anche quelle che possono sembrare le piu’ assurde e irrealistiche.
    Un tempo non si procedeva in questo modo, perchè i confronti multipli obbligano a migliaia ed anche a decine di migliaia di calcoli, di incroci.
    Quando i conti si facevano a mano o con rudimentali calcolatrici non esistevano gli algoritmi che oggi abbiamo a disposizione, grazie all’uso del computer.

    L’analisi Fattoriale ( Analisi delle Componenti Principali, Analisi delle Corrispondenze ecc.) è una delle metodiche piu’ utilizzate da un trentennio a questa parte.
    Ultimamente sono nati algoritmi, come quello di Breiman ( randomForest) e le “reti neurali”
    Qui, caro Giulio, è materia piu’ tua che mia.
    Gli algoritmi di cui sopra ragionano a “maglie” e “nodi” e in corrispondenza di ogni nodo offrono risposte dicotomiche per n volte ( con n anche infinitamente grande)
    Per cui, con questi metodi, è possibile gerarchizzare l’importanza delle variabili e arrivare alla conclusione che delle “n” indagate, magari solo un decimo, o un centesimo hanno una certa importanza.
    Dunque, fatto questo, lo statistico è in grado di restringere il campo di ricerca solo a quelle variabili che abbiano superato la “prova”; mentre le altre vengono lasciate decadere.
    Oggi le reti neurali hanno un’importanza enorme: in medicina, in astronomia, in geologia, in psicologia, nella ricerca ambientale….perfino in criminologia.

    Per questo mi sono permesso di muovere a Igor delle osservazioni.
    Non è in discussione l’intuizione: nessuno di noi ha dubbi sul fatto che Igor e chi ha posto all’attenzione il tema del diverso peso ponderale del sovrappopolamento abbia ragione.
    E’ in discussione il “come” arrivare a risultati che abbiano evidenza scientifica, che possano essere validati ed accettati dalla comunità degli studiosi.
    Peraltro, come insegna l’esperienza, nemmeno davanti all’evidenza tutta la comunità scientifica è concorde: proprio perchè i detrattori sollevano dubbi circa la metodologia impiegata nella definizione del disegno sperimentale.
    Per tacere del mondo della politica; dove la convenienza dei monopoli ed oligopoli primeggia sempre d’innanzi all’interesse generale.

    Se volessimo fare un (buon) lavoro di gruppo, io suggerirei a tutti di rispondere a questa domanda: “secondo te quali sono le variabili qualitative e quantitative che determinano cambiamenti significativi nel rapporto uomo/ambiente?”
    Una volta ottenuto l’elenco si tratta di ricercare i dati a disposizione, comporre una dataset ed eseguire i necessari test dell’Ipotesi e, in alternativa, lo screening preparatorio per le elaborazioni successive.
    Se non agiamo così diventa difficile uscire dal campo delle opinioni.

    • Dopo questo commento di Daniele sento la necessità di mettere diversi puntini sulle i… Per prima cosa, ho sempre parlato di ‘filosofie’ tra virgolette proprio perché non mi sono mai ritenuto un filosofo. Filosofo è colui che ragiona sulle categorie dell’essere e della conoscenza, cosa che ben mi guardo dal fare perché al di sopra delle mie possibilità; e se anche ci riuscissi a farlo non sarebbe una cosa utile.
      Non sono neanche un visionario. Non parto mai dicendo “la società ideale dovrebbe essere così ecc.”. Sarebbe un’altra cosa inutile.
      L’unica cosa che può tornare utile in un contesto come quello di DFSN è la conoscenza che sono riuscito a farmi e la capacità di mettere in relazione i fatti tra di loro. Questo può servire in due direzioni:
      – smentire gli apologeti della crescita per la crescita
      – cercare di capire quali sono le condizioni necessarie per una società della decrescita e poi vedere le differenze con la realtà attuale.
      Quando Daniele dice “Igor ha la fortuna di potere dire quello che vuole senza dimostrarlo”… Igor non è molto d’accordo. Non sono un’auctoritas e so che devo provare continuamente tutto quello che dico. Per scrivere Svolta Radicale e Balle nucleari mi è venuto il mal di testa per reperire dati oggettivi; penso che nessuno abbia mai smanettato quanto me sui database della IEA, ad esempio. Per scrivere Democrazia radicale mi sono chiesto: lo stato-nazione così come lo conosciamo è compatibile con la decrescita? E ne ho analizzato origini e meccanismi costitutivi, non ho risposto ‘no’ semplicemente per qualche indole anarchica.
      Poi a volte faccio un’altra cosa, che probabilmente è davvero troppo superiore alle mie possibilità: provare a sviluppare le categorie concettuali inedite che si stanno sviluppando attorno alla decrescita, ad esempio ‘sovrasviluppo’. Vedi questo articolo. E anche in quel caso non ho voluto darci a spannella (beh dai, non è ovvio che tutti gli indiani consumano meno di tutti gli statunitensi?) ma ho cercato di oggettivarlo in qualche modo, e l’impronta ecologica mi è sembrato un parametro tutto sommato adeguato. Mi si permetta di dire anche che il cultori delle discipline raramente riescono a metterne in dubbio gli assiomi fondamentali. Di Georgescu Roegen (che è stato capace di adeguare la sua disciplina, l’economia, alle leggi della fisica), ce ne sono pochi, quindi i tentativi devono quasi sempre venire da fuori.
      Ci tenevo a questo piccolo chiarimento prima che la gente potesse fraintendere e vedermi come una specie di esaltato.

  9. Caro Daniele,
    apprezzo il tuo approccio razionale, in effetti la statistica mi ha sempre sfiorato professionalmente nell’ingegneria ma preferisco usarne i risultati piuttosto che immergermi nei suoi calcoli. D’altro canto l’intelligenza artificiale in tutte le sue varianti e` certamente affascinante e ne vedremo presto delle belle… io mi sono occupato in passato di Algoritmi Genetici per problemi di ottimizzazione e ho anche visto come le Reti Neurali sono senz’altro un utile strumento per il controllo di sistemi complessi; non conosco Breiman ma studiero`.
    Venendo a noi, il tuo suggerimento e` corretto, definiamo pure le variabili su cui lavorare e vediamo se riusciamo a razionalizzare il problema.
    Ma, al tempo stesso, a me piace quello che chiamo “passaggio al limite”… ti ricordi quando si calcolava il limite di una funzione, la convergenza di una serie, ecc… allo stesso modo, con pochi ed eleganti passi logico-matematici basati su ben noti principi della Fisica si puo` ben dimostrare quale e` il limite a cui tendiamo come umanita` e come ecosistema e si puo` capire molto bene cosa si deve fare per cambiare la tendenza o almeno rallentarla. Mi propongo dunque di seguire il tuo suggerimento ed in parallelo di espandere in una nota a parte il mio approccio a cui ho fatto qualche cenno in precedenti articoli su queste pagine.
    A presto.

  10. Caro Igor,
    io credo molto nell’intellettuale collettivo e nel concorso di molti per la elaborazione di un progetto comune.
    Le mie osservazione non sono affatto un deprezzamento dell’ottimo lavoro che stai facendo.
    Personalmente trovo interessantissime le tue riflessioni che, oltre ad essere argute e piene di spunti interessanti, rivelano grande passione e un lavoro non indifferente per reperire dati e informazioni.
    A mia volta voglio sperare che le critiche che ho espresso non siano considerate come dovute a spocchia o mania di precisione.
    Non posso concordare con Gerhard quando scrive: “Ciao Igor, la tua tabellina è perfetta.” E conclude con quella che appare una neanche tanto velata critica alla mia presa di posizione: “Chi non vuole capirla o è in malafede o ha una percezione della realtà molto distorta. Continuiamo a smascherare i primi e ad argomentare con i secondi.”
    In soldoni il sugo è questo: “abbiamo ragione e basta e chi solleva obiezioni o è in malafede o ha una visione distorta”.
    Che dire?
    Trovo poco produttivo se non controproducente essere autoreferenziali.
    Le idee della decrescita le sostieni demolendo le obiezioni e, se per demolirle, serve anche ( anche, non solo) ricorrere ai numeri, all’evidenza scientifica, ebbene, bisogna farlo; perchè la bocca ai detrattori la tappi anche coi numeri alla mano.
    Del resto su questo aspetto non ti devo certo convincere, visto che tu stesso hai sentito l’esigenza di riportare una tabella che fa riferimento all’algoritmo elaborato per misurare l’impronta ecologica.

    Alle parole di Gerhard fa eco anche Danilo, il quale sottolinea: “A questa obiezione occorrerebbe rispondere con le sante parole di quest’articolo di Igor, che ha il merito di distinguere lucidamente tra neomalthusianesimo e decrescita e di porre l’accento sul fatto che il vero nemico da combattere è il sovrasviluppo. Di fronte a un così grande merito poco importa se nell’analisi matematico-statistica sono stati commessi errori e per questo ho poco apprezzato i minuziosi distinguo di Uboldi. ”
    Io, da laico, atti di fede non ne faccio e, per mia natura, tendo a credere a tutto ciò che si può dimostrare.
    Non so, per ignoranza mia, se esistano i neomalthusiani, dove alloggino, in cosa traducano e manifestino il loro pensiero.
    Mea culpa che non ho letto nulla a riguardo ma, in via di principio, ritengo che le obiezioni altrui si smontino sempre dimostrando, a nostra volta, la bontà delle nostre ragioni.

    La prima cosa che fa uno statistico, è dubitare delle certezze.
    Infatti la statistica è una scienza probabilistica che restituisce conferme o rifiuto dell’Ipotesi con una certa formulazione di rischio.
    Uno statistico non dirà mai : ” è così e basta”. Dirà sempre: ” con questa percentuale di rischio l’Ipotesi è rifiutata ( o non rifiutata)”
    Sono fermamente convinto, in linea generale che sia il dubbio, piu’ che le certezze a elevare l’umanità.
    Se siamo conciati in questo modo è proprio perchè le classi dominanti hanno imposto le loro “certezze” incuranti dei dubbi.

    Del resto abbiamo ben donde di avere molti dubbi verso i quali non possiamo fare finta di niente.
    Dobbiamo chiederci, per esempio, come ha fatto Josè Andrès Gallego come viveva la “gente poco importante” alla vigilia della rivoluzione industriale, quando due infanti su cinque non arrivavano al quinto anno di vita, un defunto su due era un bambino, la speranza di vita era di trent’anni e, assai spesso, le donne in età fertile perdevano il mestruo perchè mal nutrite.
    Proprio perchè non accetto scorciatoie nel trarre conclusioni, non sostengo , sic et simpliciter, che l’ascesa della borghesia come classe dirigente sia stata salvifica per le masse popolari.
    Sostengo solo che questi processi storici vadano compresi profondamente e, possibilmente, chiedendosi quali percorsi alternativi sarebbero stati possibili senza consegnare l’umanità, per due secoli, al capitalismo e alle “varianze” per le quali il mondo è stato conciato in questo modo.
    L’opinione è un’opinione; un dato di fatto “misurabile” e verificabile è molto di piu’ di un’opinione; per giunta se assunta per partito preso o per semplice adesione fideistica.

    Detto questo sarò ben lieto di dare il mio piccolo contributo.
    Ho già iniziato a documentarmi, a ricercare fonti e dati da elaborare.
    Vorrei farlo, come è mio costume basandomi sull’evidenza dimostrabile.
    Sarebbe davvero bello se la ricerca fosse a piu’ teste e, in questo senso ringrazio Giulio che ha raccolto l’invito a contribuire alla indicazione delle variabili da analizzare.
    Mi piacerebbe che non mi si iscrivesse nè tra gli scettici in malafede e nemmeno tra quelli che “non vogliono capire” perchè ottusi.

    L’intellettuale collettivo funziona col contributo di tutti; anche se questo obbliga a discutere e mettere in gioco le proprie certezze.

    • Ma io non contesto le contestazioni all’articolo, né ho mai pensato che sei in malafede o ottuso. E’ chiaro che la tabellina è ‘perfetta’ nel senso del rispetto delle proporzioni matematiche. Comunque, per la cronaca, i neomalthusiani non fanno neppure quello: contano le teste e tirano le conclusioni (per altro piuttosto draconiane, visto che ci sono di mezzo esseri umani). Credo che l’articolo questo metodo terra-terra di procedere l’abbia confutato. Penso che Danilo intendesse dire che le tendenze di fondo sono state dimostrate a prescindere dall’esattezza dei numeri, sui quali sono il primo a diffidare.
      Mi chiedo semmai perché te e quelli come te non sono i primi a sollevare le questioni nel loro ambito di pertitenza, ma questo è un altro discorso. Semplicemente non mi riconosco nella figura ‘filosofo che non ha bisogno di dimostrare quello che dice’, e lì ho sentito l’esigenza di smentire una definizione che non è affatto negativa o insultante, ma nella quale non mi ritrovo. Penso che il metodo migliore per far funzionare un intellettuale collettivo consista nel partire da dei dati di fatto, sviscerarli e poi indagare sulle ragioni che portano a determinate situazioni e vedere se e come cambiarle.
      Per quanto riguarda le mie certezze non è un problema metterle in discussione, perché non ne ho: o meglio, ho solo certezze negative. Nel caso specifico della decrescita, posso dire con abbastanza esattezza cosa NON bisogna fare.
      Lascerei da parte quindi strascichi relativi all’articolo. Cerchiamo invede di approfondire il concetto di sovrasviluppo, ben sapendo che a differenza del sottosviluppo presenta un carattere multidimensionale e legato ad aspetti come ‘felicità’, ‘coesione sociale’ e ‘soddisfazione’ che non si possono esprimere in termini meramente matematici. C’è materiale per scienze dure, molli e sociali…

  11. “quali sono le variabili qualitative e quantitative che determinano cambiamenti significativi nel rapporto uomo/ambiente?”
    l’anno scorso ho letto questo libro:
    http://www.worldwatch.org/bookstore/publication/state-world-2013-sustainability-still-possible
    mi e` sembrato uno studio valido sull’argomento in questione.
    Quindi le variabili:
    Flusso di energia dal Sole alla Terra
    Parametri di assorbimento e riflettivita` dell’atmosfera
    Flusso di energia dalla Terra verso lo spazio
    Costanti di tempo delle principali trasformazioni energetiche: vegetazione in combustibilii fossili, vegetazione in combustibili organici e fertilizzanti, evaporazione delle acque e raccolta delle precipitazioni atmosferiche, atmosfera ed energia eolica.
    Contributo umano alle variazioni dei parametri atmosferici
    Flusso di energia raccolto dall’umanita dalle riserve a lungo termine (combustibili fossili, minerali radioattivi) e scaricato nell’ambiente con conseguente alterazione dei flussi e depositi naturali di energia.
    Tutto cio` per capire la situazione in cui ci troviamo.
    Dopodiche` si potrebbe dividere il Flusso di energia utilizzata dall’uomo in tutte le sue varie parti: cibo, prodotti essenziali, industriale, trasporti, riscaldamento, infrastrutture sociali, armamenti, ecc… ed analizzare tali parti nelle varie societa` per capire quali elementi siano i primi da contenere.
    Ecco… la lista potrebbe continuare ma mi sembra gia` abbastanza completa sebbene ancora piuttosto semplice e scrivendola mi e` venuto il sospetto che tali studi siano gia` parecchi (come nel libro che cito all’inizio) e che le conclusioni saranno quelle che gia` abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.
    Comunque val la pena di lavorarci sopra, se non altro per irrobustire la convinzione che l’unica cosa da fare e`: consumare meno.

  12. Ciao Giulio,
    ottimi spunti su cui lavorare.
    Io penserei di ripartire la ricerca tre macro-aree .
    La prima riguarda l’energia (radiale da irraggiamento, energia potenziale e cinetica: solare, eolico, energia da fonti non rinnovabili con relativi consumi p.c. e per nazione)
    La seconda riguarda l’economia e finanza ( produzione agricola, industriale, accesso al credito….)
    La terza gli aspetti demografici ( migrazione, natalità, mortalità, nuzialità, speranza di vita alla nascita, indice di Gini per la ripartizione della ricchezza, reddito p.c. ecc.)

    Per molte delle elaborazioni si può utilizzare il GIS.
    L’uso della cartografia consente, tra l’altro di valutare il kriging ( ordinario e universale).
    Da satellite si possono vedere continenti ( o particolari di dettaglio).
    Ci sono immagini sull’Australia, per esempio, che consentono di valutare come, nel volgere di un paio di decenni, sia aumentata la zona desertica per via della siccità. La geostatistica, tra l’altro, consente di formulare previsioni di medio-lungo periodo.
    Non sarebbe male un brainstorming :-)))

  13. E cosa si vuol misurare o dimostrare dei cambiamenti “significativi” ?
    1) se l’umanita` stia producendo o meno un aumento globale di temperatura?
    2) quali gruppi sociali o paesi stiano contribuendo maggiormente a tale aumento ?
    3) quali altri fattori climatici o naturali sono influenzati dall’umanita` (acqua, perdita di biodiversita`, ciclo dell’azoto, ciclo del fosforo, ecc…) ?
    Ovviamente, per cominciare, ci sono gia` studi su tali argomenti, per esempio:
    http://www.youtube.com/watch?v=RgqtrlixYR4
    http://www.stockholmresilience.org/21/contact/staff/1-16-2008-rockstrom/publications.html
    Igor, Daniele, cosa ne dite ?

    • Propongo questa frase tratta da un articolo di Herman Daly: “In effetti, a me sembra che la globalizzazione sia solo un modo per ridimensionare la capacità delle nazioni di contrastare i propri problemi di sovrappopolazione, iniqua distribuzione, disoccupazione e costi esterni. Tende a convertire molti problemi difficili, ma relativamente trattabili, in un grande ed intrattabile problema globale”.
      Sono abbastanza d’accordo, nel senso che oggi si ragiona in termini globali su emissioni CO2, inquinamento, popolazione ed esaurimento risorse, e a quel livello non si riesce ad abbozzare nessuna soluzione. Quindi Giulio alla domanda 1 e 2 (e abbastanza anche alla 3), IPCC e altre istituti di ricerca hanno già dato risposte esaustive.
      Io penso che la soluzione risieda nel trasformare il quadro globale in un gigantesco mosaico (rispetto a Daly penso sia opportuno un livello ancora inferiore a quello nazionale) dove in ciascun tassello le singole variabili diventano trattabili. Credo che sia qui il punto della situazione: trovare dei metodi per comprendere quando un sistema locale giunge a un punto di sovrasviluppo economico, tecnico, sociale.

  14. Ciao Giulio,
    direi tutti e tre i punti che tu hai individuato.
    Gli indicatori di Mathis Wackernagel (footprint) mi sembrano riduttivi e non esaustivi.
    Se ragioniamo un attimo sulla perdita di biodiversità nei paesi sottosviluppati ci accorgiamo che anche la povertà produce guasti enormi al pianeta.
    Possiamo trovare tutte le giustificazioni geopolitiche che vogliamo ( l’imperialismo, il colonialismo, la finanza spregiudicata….) ma , alla fine, i problemi restano; indipendentemente che a causarli siano dei poveracci che non hanno nemmeno gli occhi per piangere o gli opulenti e pingui nord-americani.

    In Africa, per esempio, tramite i satelliti, si è potuto accertare che le acque potabili di superficie assommino a circa trenta milioni di chilometri cubi.
    Ma l’acqua è mal distribuita e spesso poco accessibile per ragioni di confine, di rivalità tribali ecc.
    Per cui la poca acqua disponibile viene sfruttata fino all’esaurimento. L’Impatto antropico, fortissimo nelle concentrazioni urbane ( Accra, Lagos, Il Cairo….) provoca desertificazione crescente.
    Oggi i deserti rivestono circa il 20% del pianeta ma sono in aumento pauroso.
    Parimenti, indipendentemente dalle ragioni economiche che generano il fenomeno, l’incendio delle foreste dell’indocina per fare spazio alle colture agricole crea danni enormi all’ecosistema e libera milioni di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera.
    Tutto questo ( e molto altro ancora) sfugge agli indicatori di Wackernagel.

    Quello che sostengo, in estrema sintesi, è che una ricerca sul sovrappopolamento e, parimenti, sul fatto se sia piu’ dannoso quest’ultimo o il sovrasviluppo, deve contemplare l’incrocio di un gran numero di variabili, sia quantitative che qualitative.
    Il “giudizio” finale non può avvenire per convinzioni politiche piu’ o meno preconcette ma per evidenza scientifica dei test delle ipotesi.

    Domanda: vorrei allegare un .pdf sul lavoro che ho impostato. Come posso fare? ( come testo normale non è possibile perchè si perderebbero tutte le formule matematiche)

    • Clicca su ‘i nostri principali autori’, vai sul mio profilo e clicca sull’icona della mail, ti esce il mio indirizzo (non te lo scrivo direttamente per evitare un bombing di spam), e manda il docimento allegato. Poi ci penso io a girarlo a Giulio, perché con i permessi manager vedo la sua mail nascosta.

  15. In effetti, concordo con Igor che le domande 1,2 e 3 siano gia` state affrontate seriamente da vari studi come ho anche indicato nei vari link proposti nei miei commenti. Ciononostante non vorrei raffreddare l’entusiasmo di Daniele nell’applicazione dei metodi statistici a tali problemi. Ovviamente quale che siano i metodi, bisogna attingere ai dati, che poi saranno gli stessi usati dagli studi gia` esistenti. Insomma, vedo l’esercizio come una verifica “fatta in casa” per convincerci ulteriormente di cose che sono gia` davanti ai nostri occhi. E` un po’ la stessa mia filosofia del “fare e costruire da se”. Se rianalizziamo i dati a disposizione ed otteniamo gli stessi risultati degli studi gia` noti, abbiamo fatto un esercizio di comprensione, aumentato la nostra cultura, e ottenuto una conoscenza inossidabile del problema. Il tutto potrebbe inoltre convincerci ulterirmente sulle aree da affrontare per un eventuale soluzione.
    PS:Come suggerito da Igor, se trovate un modo di condividere la mia email in modo non pubblico, attendo con piacere il documento di lavoro.

  16. Cari Igor e Daniele,
    per uno studio statistico sulla crescita della popolazione suggerisco la lettura del seguente articolo:

    http://www.sciencemag.org/content/early/2014/09/17/science.1257469

    un cui estratto si puo` trovare qui:

    http://earthsky.org/earth/world-population-unlikely-to-stabilize-this-century?utm_source=EarthSky+News&utm_campaign=12342bd7bb-EarthSky_News&utm_medium=email&utm_term=0_c643945d79-12342bd7bb-393585321

    non c’e` da stare allegri… 12 miliardi and counting…

    • Sono un po’ scettico perché questi studi tendenzialmente fanno stime partendo dal presupposto che le condizioni attuali rimarranno inalterate. Solo nella Russia post-sovietica, ad esempio, la durata della vita è calata passando dal comunismo al turbocapitalismo attuale nel giro di un ventennio.

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