La Terra è sovrappopolata? Senza dubbio. Sintetizzando all’estremo, possiamo affermare con certezza che nell’ultimo secolo la società umana, grazie all’uso intensivo di petrolio e combustibili fossili, è riuscita a eludere temporaneamente alcuni vincoli ecologici (specialmente quelli relativi alla produzione alimentare, tanto paventati da Malthus), che però sono destinati prepotentemente a riproporsi a causa del progressivo esaurimento di tali risorse e delle conseguenze ambientali (e sanitarie) da esse provocate. Quando l’ONU e altri soggetti se ne escono con dichiarazioni del tipo “la popolazione mondiale del 2050 sarà di 9 miliardi di persone”, si limitano a un calcolo matematico decontestualizzato dalle condizioni reali, dando per scontato che alla civiltà degli idrocarburi ne succederà una capace di produrre almeno altrettanta energia senza provocare esternalità di alcun tipo: pura fantascienza, alla luce della mancata ascesa del nucleare e dei limiti intrinseci delle rinnovabili. Insomma, negare la sovrappopolazione a livello globale è semplicemente folle.
Pertanto, molti ecologisti radicali stanno inquadrando la questione ambientale alla luce di tale constatazione, attraverso espressioni del tipo ‘la sovrappopolazione è il principale problema ecologico’, ‘la causa preminente del global warming è la sovrappopolazione’ e simili. Nell’immaginario collettivo occidentale, ‘sovrappopolazione’ rimanda al Terzo Mondo, a famiglie patriarcali di 10-15 componenti, a spose bambine, a baraccopoli e a situazioni dove il controllo delle nascite rappresenta lo strumento più idoneo per intervenire.
In effetti, laddove prevalgano numericamente le fasce di età più giovani, in cui si concentra la fertilità – è il caso dei paesi in via di sviluppo – ridurre la natalità è sicuramente una priorità.
Di solito, in Occidente si ritiene che le difficoltà nel tamponare il fenomeno consistano per lo più in una sottovalutazione del problema dovuta a ignoranza o influenza di superstizioni religiose, e molti affermano esplicitamente che un nuovo ‘fardello dell’uomo bianco’ consisterebbe nell’impegnarsi attivamente per ‘aiutare’ i propri confratelli più poveri e ignoranti a comprendere la situazione. In realtà, tantissimi stati del sud del mondo hanno intrapreso negli utimi 35-40 anni politiche di pianificazione familiare in Africa, Asia e Sud America, spesso addirittura appoggiati dalle autorità religiose (vedi Iran, Indonesia e altri); questi provvedimenti però comportano spese non indifferenti e, tra piani di aggiustamento strutturale del FMI e successiva crisi economica (senza contare malpolitica e instabilità interna), molti governi hanno dovuto abbandonare o ridimensionare considerevolmente tali programmi, soprattutto in Africa. [1] Non bisogna dimenticare, inoltre, che per un cittadino occidentale la rinuncia alla procreazione non comporta particolari oneri sul piano materiale, potendo godere di servizi di welfare pubblici e privati; dove invece l’assistenza sociale è inesistente o quasi, creare una famiglia numerosa è l’unica possibilità per un’esistenza abbastanza lunga e dignitosa, si tratta quindi di un comportamento irragionevole sul piano della termodinamica ma economicamente razionale, così come nel capitalismo socialdemocratico/keynesiano promuovere la crescita del PIL è funzionale a ridistribuire il redditto e ridurre le disuguaglianze. In nessuno dei due casi bisogna coprirsi gli occhi per non vedere; tuttavia, i vari malthusiani d’accatto che ciarlano continuamente di ‘argomenti tabù’ senza ascoltare ragioni dovrebbero sforzarsi di capire che la realtà è molto più complessa di quanto immaginano e la faciloneria non è mai una buona consigliera.
A mio giudizio, ridurre un discorso complesso come la crisi ecologica alla quantità di popolazione è pericoloso perché potrebbe essere sfruttato dagli stati più sviluppati – come l’Italia, dove si è ultimata la transizione demografica e la natalità è al di sotto del tasso di sostituzione – quale alibi per millantare inesistenti virtù ambientali. Facendo riferimento al nostro paese, 60 milioni di italiani consumano più energia di 185 milioni di nigeriani e la loro impronta ecologica è quasi tripla di quella della nazione africana. L’Italia e l’Occidente sono quindi anch’essi sovrappopolati? Sì, ma in maniera profondamente diversa dai paesi in via di sviluppo. Esaminiamo la popolazione italiana per fasce di età:
La porzione maggiore di cittadini appartiene al range 35-75 anni (non a caso le generazioni del baby boom) e il calo della natalità prima di ridimensionarlo impiegherà diversi decenni, ma le nostre magagne ambientali non possono certo attendere tanto. Che fare allora?
Un giorno, ragionando di demografia su di un gruppo Facebook di un’associazione post-sviluppista, un utente perorò con tono serio e pacato la necessità di praticare l’eutanasia a tutti i cittadini al raggiungimento del settantesimo anno di età. Evito di commentare la moralità (nonché la salute mentale) di questo individuo, però sul piano meramente aritmetico è innegabile che, se al crollo delle nascite si affiancasse un aumento della mortalità, il conseguente sfoltimento della popolazione permetterebbe di affrontare efficacemente la sfida dell’overshoot. Chi rimpiange il tempo in cui la popolazione nostrana si attestava sui 35-40 milioni (più o meno il ventennio fascista) omette di dire che allora la natalità era decisamente maggiore all’attuale, ma che ci pensava la Nera Mietitrice a rimettere a posto le cose: la speranza di vita alla nascita era infatti considerevolmente minore.
Numero di figli per donna in Italia (Elaborazione ISTAT)
Speranza di vita alla nascita
Ovviamente, non abbiamo alcun diritto di auspicare coercizioni autoritarie e disumane, carestie, guerre o catastrofi naturali apocalittiche. Per restare umani senza mettere la testa sotto la sabbia, l’unica opzione è che al calo delle nascite si accompagni un drastico contenimento dell’impatto della popolazione tramite riduzione complessiva dei consumi e seria riflessione critica sulla tecnologia. Grazie a Paul Erlich, sappiamo che l‘impatto umano sull’ambiente si misura con questa formula:
Impatto = Popolazione x Ricchezza x Tecnologia
Se hai scarsi margini di miglioramento sul primo fattore [2], devi inevitabilmente concentrarti sugli altri due.
La società umana è caratterizzata da profonde differenze, a cui corrispondono diverse sfacettature della crisi ecologica, per cui vanno respinte tutte le presunte soluzioni ‘universali’. Inoltre, fornire buoni consigli dando il cattivo esempio non è mai stata una buona strategia e meno che mai può esserla a fronte di tematiche così delicate, ragion per cui sarebbe opportuno che ciascuno riflettesse in primis sulle sue criticità ambientali, facendo poi seguire alle parole i fatti, prima di dare lezioni agli altri.
Rappresentazione del mondo se le dimensioni fossero proporzionali a popolazione e PIL: saltano all’occhio le diverse problematiche delle varie regioni del pianeta, a cui devono ovviamente seguire differenti priorità nelle strategie di intervento.
Il pensiero della decrescita non è ovviamente esente da pecche e deve fare ancora molta strada però, in qualità di movimento sorto all’interno del mondo occidentale, concentrando la critica sui consumi dimostra di non cadere nella trappola di denunciare la pagliuzza nell’occhio del fratello ignorando la propria trave. Sicuramente un passo nella direzione giusta.
[1] Tra le ultime iniziative in ordine di tempo va ricordato il Protocollo di Maputo (2003) documento in favore dei diritti delle donne adottato dall’Unione Africana dove si parla esplicitamente di accesso alla contraccezione e pianificazione familiare. L’accordo è stato ratificato da Angola, Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Comore, Gibuti, Gambia, Ghana, Libia, Lesotho, Liberia, Mali, Malawi, Mozambico, Mauritania, Namibia, Nigeria, Ruanda, Sudafrica, Senegal, Seychelles, Tanzania, Togo, Zambia, Zimbabwe.
[2] Giusto per farsi un’idea, nel 2015 l’Italia ha registrato un tasso di fertilità pari a 1,37 nascite per donna, più basso del dato di 1,57 nascite per donna segnato dalla Repubblica Popolare Cinese (fonte: Banca Mondiale), nazione dove dal 1979 al 2013 è stata in vigore la politica del figlio unico.
Sul contenimento della popolazione influisce molto anche il benessere della popolazione e i diritti delle persone. Una società dove le persone (e le donne soprattutto) godono di diritti e benessere non ha un alto tasso di natalità. In Bangladesh si è visto che le donne che aprono attività col micro-credito divenendo indipendenti fanno mediamente uno-due figli, contro i sette-otto delle famiglie patriarcali. Sono gli uomini, infatti, a volere una prole numerosa. Tanto non sono loro a portarli in grembo e partorirli. E le donne, che nelle famiglie patriarcali non possono decidere e sono sottoposte al ricatto economico del marito che le mantiene, non possono che obbedire. In questo modo si perpetua anche la miseria perché se si hanno sette-otto figli non ci si può permettere di farli studiare e di dar loro gli strumenti per avere una vita migliore. Le donne indipendenti invece fanno pochi figli e riescono a farli studiare, dando loro la possibilità di uscire dalla miseria. Bisognerebbe riflettere molto su questo e lavorare perché si globalizzino i diritti.
Sì è riscontrato empiricamente che se si riesce a ritardare il primo parto dalla fascia 15-25 anni la natalità subisce un notevole contenimento. Ovviamente ciò può avvenire solo se la giovane donna può mettere al centro la sua vita e non essere subalterna, con lo studio o altre attività.
Bell’articolo Igor.
In risposta al commento di Enrico Proserpio devo dire che il problema demografico è un problema culturale, quindi che investe un gruppo umano nel suo complesso e quindi non è riconducibile a un semplicistico scontro fra uomini e donne.
Vorrei aggiungere inoltre in merito al tema del problema demografico che non si può risolverlo intervenendo solo su quelle che una volta sarebbero state chiamate sovrastrutture. Bisogna agire anche (forse soprattutto) sulle strutture. Intendo dire che se le popolazioni che hanno un alto tasso di natalità non diventano padroni del proprio destino non risolveranno mai il problema della sovrappopolazione. Diventare padroni del proprio destino significa che devono determinare le proprie condizioni di vita (per esemplificare : produrre ciò che consumano). Quindi anche l’Occidente è coinvolto visto che, per esempio, molte nazioni africane sono semplicemente fornitori di materie prime e nient’altro.
E’ necessario un grande accordo fra le varie parti del mondo: ma questo grande accordo sarà possibile-necessario solo quando matureranno le necessarie condizioni (molte condizioni ci sarebbero già ma ne manca qualcun’altra).
Sarà necessario “Un grande accordo”: questo è il titolo che detti a un articolo che pubblicai su questo blog e che è raggiungibile al link http://www.decrescita.com/news/un-grande-accordo/ e di cui invito alla lettura e magari intervenire per dibatterne.
Ciao
Armando
Grazie Armando! In effetti dire ‘bisogna ridurre la popolazione della Terra’, ‘bisogna ridurre la CO2’, ‘bisogna ridurre il tal inquinante’, ecc. sono manifestaizioni di buon senso ma anche modi di guardare le dita invece della luna. Il problema sostanziale infatti è il sistema-mondo con le sue logiche perverse.
Io penso ad un “Grande sacrificio” nel senso di compiere un a planetaria azione sacra.
Proprio per evitare una enorme carneficina.Limitare la nostra stirpe per evitarne l’estirpazione.
Quanti Homo Sapiens sapiens possono vivere contemporaneamente sulla Terra per molteplici generazioni? Implicita la domanda:Vivendo come?
Per ora sappiamo che siamo riusciti a starci, sopportando gravi comflitti, e danneggiando la biosfera, in più di sette miliardi, ma parrbbee che arrivare a nove o dieci miliardi, quand’anche ci arrivassimo, non durerebbe molto a lungo.
Ma pur con tutto la speranza possibile, mi pare ancora, che un “Grande Accordo” per praticare un “Grande Sacrificio” sia ancora allo stato dell’arte da cui derivò il famoso detto:
Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata.
“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”
La locuzione esatta è Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur; la frase non è pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto per chiedere l’intervento di Roma per respingere l’assedio che nel 219 a.C. il generale Cartaginese Annibale Barca aveva posto alla città, ma è l’amaro commento di Livio alla situazione (cfr. Livio, XXI, 7, 1). Roma tergiversò e dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e Annibale la rase al suolo. Questo attacco fu il casus belli della Seconda guerra punica.
Spesso si cita solo la prima parte della locuzione (dum Romae consulitur) nei confronti delle persone che perdono molto tempo in consultazioni continue senza prendere una decisione, in un contesto che invece richiederebbe rapide decisioni.
Fonte Wikipedia.
Marco, grazie del tuo intervento.
Hai proprio ragione quando dici :” Ma pur con tutto la speranza possibile, mi pare ancora, che un “Grande Accordo” per praticare un “Grande Sacrificio” sia ancora allo stato dell’arte…
Infatti nel lavoro a cui facevo riferimento ( http://www.decrescita.com/news/un-grande-accordo/ ) dicevo che bisogna “…chiederci cosa porterà all’accettazione di questa proposta di accordo e alla creazione di nuovi valori che riempiano la vita degli uomini!” e terminavo l’articolo nel seguente modo:
“E’ bene chiederci quindi quali saranno i punti-leva che porteranno a smuovere la situazione!
“Quando avremo l’acqua addosso!” è un detto del mio paese e significa che ci si muove, si cerca una soluzione, solo quando il pericolo è incombente.
Il sottotitolo dato a questo lavoro è un augurio perché maturo sempre più la convinzione che dovranno succedere alcune catastrofi prima di “darci una mossa”. Le catastrofi a cui andremo incontro saranno di diverso tipo, da quelle climatico-ambientali a quelle più prettamente umane (come atti terroristici di nuovo tipo, rivolgimenti sociali in varie parti del mondo, migrazioni di massa non più controllabili, ecc.).
Nel frattempo si può fare qualcosa: sarà poco ma è da quel poco che si inizierà a creare una nuova realtà! Questo articolo vuole essere un piccolo contributo in tal senso!”
Marco, non vorrei avere inteso male alcune tue affermazioni, ma penso che le cose dette in queste ultime frasi siano le condizioni che porteranno al “Grande sacrificio”, alla “ planetaria azione sacra” di cui parli: quindi al raggiungimento (se ho bene interpretato) di nuovi valori che ci riempiano la vita, di nuovi modi di vita.
Marco, se pensi che abbia inteso male alcune tue affermazioni, potresti intervenire di nuovo per chiarirmele.
Grazie
Ciao
Armando
“Quando avremo l’acqua addosso” è appropriato , soprattutto se riferito agli effetti del climate change tra cui l’innalzamento del mare! Ci sarebbe da considerare tante cose, tra cui l’automazione del lavoro (fino al 60% in 50 anni secondo uno studio delle Nazioni Unite), che rende la sovrappopolazione ancora più problematica. Con il calo demografico molti beni come la casa diverrebbero molto a buon mercato in certe aree, anche la terra, il lavoratore recupera potere negoziale nei confronti del Capitale, ma ci sarebbe il problema delle pensioni, dato l’invecchiamento medio della popolazione. A me sembrerebbe un tema affascinante che si sposa con la decrescita.Qualcuno dovrebbe tentare di prevedere pro e contro. Per i paesi del terzo mondo ci vuole un piano di aiuti internazionali in cambio del controllo demografico.
Armando, non sono stato frainteso, anzi.
Anche se di fatto le parole stesse sono travolte dal cataclisma in corso, che appunto etimologicamente significa inondazione.Speculare ormai viene inteso come verbo attinente solo la finanza, e quella predatoria.Altro che bearsi di lucor di stelle.
Limitarsi ed anche rinunciare alla procreazione è un Grande Sacrificio, che si può fare se si crede di poter lasciare alla discendenza qualcosa che abbia valore.
Scegliere la sobrietà di vita ne fa parte, rimediare agli errori commessi, anche da altri, ne fa parte.
Ti saluto con questo pensiero:
Le salme del Carbonifero sono state arse in un grandioso olocausto.
Ogni metallo leggero e pesante sacrificato in colossali ecatombi.
Ora sappiamo, grazie ad essi, quanto vasto, vuoto, inospitale è il cosmo.
E l’astronave per andare via da questa Terra è sempre e ancora una bara in una fossa.
Per restarvi invece un tempo che valga il tempo speso, un paio di panche, una tavola apparecchiata.Un cane, una volpe, un passero che si sazino di briciole ed avanzi.
Marco Sclarandis