S’io fossi il sindaco del mio paesino… – Un racconto decrescente

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Candidarmi sindaco io? E chi mai mi voterebbe, in questo paesino di montagna? Forse qualche ragazzo dei primi del ‘900, se fosse ancora vivo. Ma non i miei compaesani di oggi, che giudicherebbero assai strane le mie idee.
Loro amano scimmiottare i cittadini e sognano una grande stazione sciistica, al posto di questo villaggio di capre. Come nella valle accanto, dove carovane di automobili – ogni fine settimana – portano una folla chiassosa e variopinta. Dove le piste sono persino illuminate con potenti fari, per sciare di notte.
Questi montanari contemporanei corteggiano la città perché la considerano un serbatoio di turisti, cioè un salvadanaio. Ma non vedono che i soldi lasciati quassù restano a pochi, mentre i rifiuti, e i gas dei motori, a tutti noi.
Sembrano non capire che la città dipende dalla montagna. Dalle sorgenti che regalano acqua pura, perché laggiù le falde sono intrise di veleni. Dalle foreste che riabilitano l’aria e impediscono al fango di sommergere la piana.
Chi vive sempre in città, e passa il tempo libero nei centri commerciali, è così abituato al frastuono, alla folla, alla confusione, che finisce per cercarli persino in vacanza. Si aspetta una montagna urbana, perché troverebbe inquietante il silenzio assoluto, i grandi spazi con nessuno attorno.
A me, invece, a mettere paura è quel mare sconfinato di luci, di notte, quando guardo giù verso la pianura. Mi sembra una metastasi in continua espansione; una marea di casermoni, rotatorie, capannoni prefabbricati che risale inarrestabile le valli. Là sotto c’è una moltitudine di persone sole, che si ignorano, si pestano i piedi, si menano per un parcheggio. Quassù, perlomeno, quando ci incontriamo ci salutiamo tutti.
La città è come un bebè: va continuamente nutrito e cambiato. Che succede quando non arrivano i camion col cibo dalla campagna, o quando i rifiuti non vengono portati via? E che accadrà quando il petrolio finirà? Perché finirà, prima o poi: questo è certo come la morte. E alla morte sarebbe saggio prepararsi vivendo…
Allora, s’io fossi il sindaco del mio paesino, per prima cosa farei vestire le case con cappotti e sciarpe, per tenerle al calduccio. Farei proteggere i loro occhi con spesse lenti, e in estate con berretti a visiera. Sarebbe molto più semplice che cercare di surriscaldare il mondo intero. E’ vero che ci stiamo riuscendo bene, e ancora meglio da quando Cinesi e Indiani ci danno una mano. Ma ci vorrà comunque ancora qualche anno. E quindi è come in una stanza freddina: si fa prima a indossare un maglione o a innalzare la temperatura della casa?
Poi, inviterei nelle scuole dei maestri atipici. Che insegnino a coltivare un orto, perché la vita dell’uomo non dipende dallo spread, ma dalle piante. Che mostrino come maneggiare utensili, costruire e riparare oggetti, aggiustare abiti, allevare animali, accendere il fuoco, orientarsi nei boschi. Perché i giovanissimi d’oggi sanno usare bene le mani solo per pigiar tastiere.
Per questo tipo di lezioni, l’ideale sarebbe qualche ragazzo dei primi del ‘900, ma ormai…
Tra i vari figli e nipoti, tuttavia, ci sarà qualcuno che ha ereditato quegli antichi saperi: forse li avrà persino integrati con nuove conoscenze. E allora dovrebbe essere spronato a condividerli, e non solo coi bambini. Perché anche gli adulti, spesso, non brillano per manualità.
In questo modo, inoltre, i miei compaesani risparmierebbero un sacco di soldi. Potrebbero auto-produrre una parte del cibo, e raccogliere gratis quello già disponibile nei prati e nei boschi. Giù nei supermercati si vendono persino castagne e cicoria, che qui si trovano ovunque! Frutta e verdura vi arrivano dopo lunghissimi viaggi, tutta confezionata: vaschette di plastica che durano secoli per contenere qualcosa che marcisce in pochi giorni. Non è un’assurdità?
E ancora, quassù, solo pochi vecchi contadini continuano a usare la falce, ma tutti potrebbero vantaggiosamente riscoprirla. Così eviterebbero, ogni domenica, di fare baccano, appestare l’aria e consumare petrolio con tosaerba e decespugliatori. E non dovrebbero pagare un centro fitness per snellire il girovita. Ci vanno – in automobile – a spingere sbuffando macchine di tortura. Oppure a correre paonazzi su un rullo, senza spostarsi di un metro. A me sembra un modo idiota per bruciare altro petrolio. Non sarebbe meglio tenerlo per fabbricare cose utili, come le lenti a contatto?
Proprio per valorizzare l’esperienza – s’io fossi il sindaco del mio paesello – organizzerei un concorso di bellezza alternativo, in cui vincono i volti più espressivi e i corpi più vissuti. Visi solcati dal sole e dal vento, che narrano di lacrime e risate. Mani nodose, ricamate dalle vene, temprate dal gelo e dal lavoro.
Istituirei, inoltre, un premio per le attività economiche che soddisfano i bisogni della nostra gente, e riescono a stare in piedi anche senza cercare clienti in capo al mondo. Così, anziché svenderci per attirare orde di turisti, ci basterebbero quei pochi che rispettano i luoghi in cui viviamo.
S’io fossi il sindaco del mio villaggio, affiancherei al denaro una valuta locale. Con quattro tagli, di valore crescente: il sorriso, il grazie, lo scusami, il tiperdono. Una moneta particolare, che arricchisce non solo chi la riceve, ma anche chi la dona. E con un’altra caratteristica formidabile: al diffondersi degli spiccioli, compaiono anche i pezzi grossi, e a poco a poco si moltiplicano. Persino il preziosissimo tiperdono – all’inizio molto raro – diventerebbe sempre più comune, con l’aumento degli scusami.
Con una simile valuta, che rende più ricco anche chi la spende, si propagherebbe la disponibilità a regalare, senza attendersi nulla in cambio. Chi riceve qualcosa in dono, tuttavia, si sente obbligato a restituire di più. Perciò la solidarietà si spanderebbe a macchia d’olio: si innescherebbe un circolo virtuoso che porterebbe ognuno a sentirsi in simbiosi con gli altri. Si creerebbe finalmente una vera comunità, invece che un insieme di individui. Come avviene per gli spaghetti: è facile spezzarne uno singolo tra le dita, mo un intero pacchetto no!
Se tutti imparassero a usare le mani, e a scambiarsi saperi, doni, favori, non dovrebbero più comprare metà delle cose. Di conseguenza, potrebbero dedicare al lavoro retribuito solo metà del tempo. I pendolari percorrerebbero metà dei chilometri, e poiché quasi metà dei loro stipendi serve a pagare e mantenere l’auto che hanno comprato per recarsi al lavoro, potrebbero lavorare ancora meno! Quindi avrebbero più tempo da dedicare a ciò che veramente conta: la creatività, il contatto con la natura, il rapporto con le persone che amano. Nessuno si sentirebbe più solo; tutti – pur lavorando meno – sarebbero in effetti più ricchi.
E allora, persino la fine del petrolio non farebbe così paura. Perché, quando avverrà, giù in pianura la grande metropoli collasserà, con le sue usanze insensate e sprecone. Molta gente soccomberà alla miseria, ai conflitti, ai flagelli meteorologici con cui la Terra cercherà di scrollarsi di dosso i suoi molesti ospiti umani. Ma qui in montagna potremo sopravvivere, come per secoli hanno fatto i nostri saggi avi: in equilibrio coi nostri limiti, attingendo con sobrietà alle risorse che la natura ci offre.
Qualche anno fa, quand’ero giovane e idealista, sognavo di lavorare per risolvere i grandi problemi dell’umanità. Per impedirne l’autodistruzione. Poi, crescendo, ho capito che per cambiare il mondo bisogna cominciare da se stessi. E solo allora – a poco a poco – iniziare a contagiare chi è vicino, col proprio esempio.
Forse, perciò, accettare di candidarmi sindaco non sarebbe poi un’idea così balzana. Potrei impegnarmi per far diventare il mio paesino un piccolo modello di società nuova, in grado di resistere al tempo e alle crisi. Un minuscolo grumo di felicità.
« La cena è prontaaa! »
« Oh…stavo sognando. E non ero che a metà del mio programma elettorale… »
« Sì, va bene, ma adesso su, Nonna Gertrude: la minestra si raffredda ».

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Laureata con lode in scienze naturali a Pavia, mi occupo da più di trent’anni - per passione e per professione - di ambiente e stili di vita sostenibili. Per tre giorni alla settimana faccio la mobility manager della Provincia di Bergamo; negli altri l'alpinista, l'arrampicatrice sportiva e la chitarrista dilettante. Sono membro del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna.

8 Commenti

  1. In una parola…Illuminante!
    Certo non ti nascondo che mi sono ritrovato in più di qualche riga mentre descrivevi la delirante vita di città e con un filo d’amarezza ho percepito di essere relegato in una società senza vie di fuga e senza possibilità di rinnovamento.
    Di gente come te non ce ne sarà mai abbastanza ma stai tranquilla che, finchè ci sarà almeno una persona in grado di far aprire gli occhi a tutte le altre, la battaglia non sarà ancora persa!
    Ti parlo da un piccolo paesino nella provincia della luccicante Treviso dove i temi che tu hai elencato si ripropongono nella maggiorparte dei dibattiti.
    Stiamo cercando anche noi di unire le forze per cercare di cambiare questo sistema già in avviata fase di autodistruzione ma, nel mentre, appreziamo al meglio ciò di cui possiamo ancora andar fieri…stiamo sereni e trasmettiamo questa serenità acnhe a chi crede di averla persa.
    Un saluto col sorriso 🙂

  2. Un articolo molto bello e che rispecchia l’esigenza di molti di tornare a stili di vita più naturali. Personalmente ho a disposizione, nella nuova casa, un giardino grandissimo che trasformerò in parte in un orto sinergico. La campagna non è molto lontana dalla città in cui vivo e internet fornisce tutte le informazioni di cui ho bisogno per riscoprire antichi saperi, almeno in teoria. Per la pratica… ci vorrà pratica. Non sono il sindaco della mia città, ma sono la regina della mia casa e del mio giardino. E gli articoli come il tuo mi fanno sognare un futuro sostenibile. Scrivine ancora, mi piace sognare 🙂

  3. Grazie a Nicol e a Silvia per gli apprezzamenti. Qualcosa sta cambiando nella coscienza di molti, anche se troppo lentamente. Ed è importante che ciascuno di noi, anche senza essere il sindaco, cominci a fare la sua parte. Amo sempre citare questo proverbio cinese: “Molte piccole cose, fatte da molta piccola gente, in molti piccoli luoghi, possono cambiare la faccia della terra.” Mi associo quindi alla bellissima esortazione di Nicol a non disperare e a unire le forze, “Stare sereni e trasmettere serenità!”
    E ricambio il saluto sorridente 🙂

  4. Un racconto splendido e che ha fatto sognare anche me. Sono convintissima che per cambiare si debba cominciare dal piccolo e dal piccolissimo. Se tutti noi avessimo consapevolezza delle nostre capacità, se tutti noi fossimo convinti che delle abilità dimenticate possediamo una memoria interiore e naturale che può essere recuperata… Se tutti credessimo fino in fondo che una nuova strada è possibile sarebbe l’inizio di una nuova era…

  5. Vorrei scrivere un manifesto intitolato “al nostro paese si fa cosi`”, il tuo articolo fornisce spunti interessantissimi a cui stavo pensando da tempo e che condivido pienamente.
    Sarebbe bello che tutti quelli che la pensano cosi` lo scrivessero assieme e poi lo mettessero in pratica.
    Grazie.

  6. Alla riscoperta delle cose semplici ed essenziali per vivere bene in pace e con poche ansie.Sarebbe bello tutto questo. E’ bello, e penso che se ognuno nel suo piccolo,si adopera a mettere in pratica certi comportamenti,questi possano essere contagiosi e condivisi.
    Condivido in toto l’articolo e vorrei un mobility manager per la mia città che mi permettesse di andare al lavoro con i mezzi pubblici invece che con l’auto.
    Abito in una frazione a 20 km da Perugia.

  7. Ciao Gloria,
    ma pensa Tu dopo tanti anni dove ritrovo il tuo nome…Giù in centro città per respirare c’era un solo parco con bellissimi alberi, che era diventato la mia sala-studio e il tuo locale pausa-mensa… Metà di montagna e metà di città, io ho avuto da sempre la fortuna di calarmi nelle due realtà con tutta la naturalezza dei miei geni misti, scoprendo pian piano per contrasto luci e ombre di questi due mondi e sempre per contrasto cercando alle ombre le soluzioni. Adesso, coi capelli quasi grigi, capisco che questo mio modo istintivo di procedere per analogie e contrasti potrebbe essere applicato con metodo in larga scala per arrivare a tante risposte politiche sociali e ambientaliste di efficacia e realismo. Allora se io fossi il sindaco di un piccolo paese saluterei i miei consiglieri-amici e mi imporrei come aggiornamento di vivere un pò in un appartamento di città; al contrario se fossi con la pomposa fascia tricolore in una modernissima metropoli chiederei una pausa di studio e indosserei un bel maglione di lana fatto a mano!!!
    Felice di averTi ritrovata! Maurizio

  8. Che dire,bellissimo pensiero,bello tutto quanto hai descritto con semplicita’ e serenita’.Peccato, penso pero’,che non basteranno piccoli esempi per cambiare ormai le nostre tortuose e abissali abbitudini,anche se in molti vorremmo dal profondo del cuore dare una risposta diversa a tutto quanto inquina e rovina l’ambiente,siamo fiduciosi e speriamo in una positiva svolta.Un saluto.

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