Qualche giorno fa, sono stato invitato a dire la mia riguardo a un post su Facebook scritto da utente – un militante ecologista, per la cronaca – che attaccava pesantemente la figura di Serge Latouche, e dove alcuni commentatori presentavano l’intellettuale francese come un pericoloso reazionario (dal passato contemporaneamente filo-maoista e filo-nazista), legato alle ristrette super élite che controllano il pianeta: in pratica la decrescita non sarebbe altro che un cavallo di Troia per orientare l’opinione pubblica (messaggio per Bilderberg, Nuovo Ordine Mondiale e confratelli massonici vari: basta fare i tirchi ragazzi, più soldi ed esposizione mediatica, che qualche libro qua e là e qualche comparsata in TV è pochino per plagiare le coscienze!).
Al di là delle degenerazioni disgustose del dibattito, che vi risparmio senza indugi, vorrei concentrarmi sull’argomentazione di fondo su cui si reggevano le critiche: Latouche ha troppa visibilità per essere onesto, i mass media non accorderebbero mai tanto spazio a qualcuno che, con le sue analisi, minacciasse realmente il pensiero dominante. Detto per inciso, la stessa obiezione l’ho sentita spesso riferita al movimento altermondista, a Occupy!, ai movimenti per la difesa dei gay e transgender e a diversi altri gruppi di contestazione. Se trovi spazio nell’apparato mediatico, ciò avviene necessariamente perché sei dalla ‘loro’ parte o ‘loro’ ti stanno usando come utile idiota: terzium non datur. Quando sento ripetere queste giaculatorie, tra le varie cose, maledico simpaticamente (ma non troppo) Michael Foucault.
C’è stato un periodo della mia vita, specialmente nel periodo adolescenziale – dopo aver confidato in persone che, nei fatti, si erano rivelate solamente degli opportunisti – in cui anche io ho assunto atteggiamenti paranoici simili; e pensare che all’epoca non avevo mai letto una riga di Foucault! Ugualmente, sospetto che i vari attivisti-facebookiani anti-Latouche non fossero particolarmente ferrati in materia. Eppure, lo spirito di Foucault aleggiava su tutta la discussione.
A scanso di equivoci: Foucault è stata una delle menti più acute del XX secolo. Ammetto di non essere mai riuscito a leggere più di un capitolo alla volta di un suo libro, evitando accuratamente momenti di eccessiva stanchezza (lo confesso, qualche volta Foucault mi ha riconciliato con il sonno): la sua prosa molto complessa ed elaborata (mi permetto di aggiungere: ‘spesso inutilmente’), tipica dell’intellighenzia francese, mi ha costretto a diverse riletture, e forse ho capito più cose sul suo pensiero dai commentatori che dall’esame diretto delle opere. Ovviamente i miei limiti sono imputabili solo a me stesso, non voglio farne una colpa a nessuno.
Non sono quindi la persona più adatta per sintetizzare il pensiero foucaultiano, per cui lascio volentieri questo compito ad altri. Ritengo esauriente, almeno per quanto concerne gli aspetti che mi interessano direttamente, questo breve estratto di Anarchopedia:
Per Foucault il sistema disciplinare nasce con l’obbiettivo di rendere il corpo umano tanto più obbediente quanto più esso è utile (e viceversa). Da questo momento «il corpo umano entra in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone» (biopolitica). Il sistema disciplinare, che si sviluppa grazie alla lenta convergenza di processi minori, storicamente già presenti, agisce immediatamente nelle scuole, fabbriche, manicomi, carceri, collegi, ospedali ecc. Le istituzioni disciplinari, intervengono per mezzo di una serie di tecniche (osservazioni, controlli, annotazioni, valutazioni ecc.) atte alla “sorveglianza” di tutto ciò che concerne l’individuo, definendo una nuova microfisica del potere, secondo cui il potere non è riconducibile ad una sola sede, bensì ad un insieme di rapporti di forza diffusi localmente. L’individuo non è quindi contrapposto ed esterno al potere, ma piuttosto ne è parte integrante, poiché fa parte dell’intreccio dei rapporti di forza:
«Il potere è ovunque […] viene da ogni dove».
Tale visione è stata di fatto ripresa dalla sociologia dei sistemi, secondo cui i vari segmenti della società (politica, economia, ecc.) sono organizzati come esseri biologici, che cercano di svilupparsi mantenendo la propria struttura costantemente immutata nel tempo, assorbendo le influenze esterne e assimilandole per lasciare più inalterato possibile il sistema.
Non posso negare che tali teorie siano seducenti e, soprattutto, che presentino molti elementi realistici. Tuttavia, è da diversi anni che sono assillato da un dubbio: se io fossi un dominatore sociale, non chiederei nulla di meglio che i dominati credessero in questa dinamica del potere, perché essa sostiene non solo che ogni tentativo di cambiamento cozza contro un gigantesco muro di gomma, ma addirittura abolisce qualsiasi soggettivazione, perché quelle che crediamo essere le nostre idee di libertà, giustizia, solidarietà, ecc. in realtà ci sono state introiettate dai detentori del potere, i quali quindi creano indirettamente anche le forme di contestazione e opposizione compatibili con la logica del sistema. Siamo tutti parte integrante del potere, quindi siamo ridotti a pedine inerti. Da qui si degenera fino al complottismo più esasperato, ed ecco quindi tutte le illazioni più assurde, ad esempio, su Latouche, senza accorgersi che questo comportamento non è altro che un’idolatria negativa del potere.
Sono quindi fermamente convinto delle necessità di distinguere tra la rappresentazione del potere e la rappresentazione che il potere vuole dare di sé, senza confonderle reciprocamente. Se è vero che la società liberale di massa è fortemente soggetta ad azioni propagandistiche e manipolatorie di ogni tipo, dove alla coercizione esplicita si sostituisce il tentativo di imporre una governamentalità invisibile dall’alto e dove il potere si riconfigura sempre più come biopotere (termine parecchio abusato nei circoli intellettuali) interiorizzandosi nella vita e nei corpi delle persone, è altrettanto vero che essa non è né un carcere, né un panopticon benthamiano o un grande fratello orwelliano. Vorrebbe esserlo, ma presenta molte crepe e falle dove gli attori sociali possono inserirsi vantaggiosamente e, agendo con intelligenza, imporsi sulla scena evitando di farsi strumentalizzare da chichessia.
Immagine in evidenza: Michael Foucault (Wikipedia)
Foucault, parlando del ” dispositivo” disciplinare, non si opponeva al potere ma a quello derivato dal dispositivo. Distingueva il potere connesso al funzionamento di quella struttura, ma non la concepiva universale. La distinzione che fai tu tra i due modi di potere la faceva anche lui. Per ridicolizzare i complottisti e sostenere Latouche, nell’impresa difficile del pensiero della decrescita, che ha bisogno della decostruttivita’ derridiana, ( Derrida fu polemico allievo di Foucault, ma per altri motivi) meglio non riferirsi a Foucault, che scriveva chiaro, non faceva dormire se non in casi di lecita stanchezza del lettore,e aveva idee ben precise che oggi è di moda sottovalutare.
Mi assumo tutti i miei limiti intellettuali, cosa che ovviamente ho già fatto nell’articolo. Per la critica seria a Foucault rimando ad Alain Touraine e alla sua rivalutazione del ruolo soggetto rispetto alla distruzione operata da Foucault.
Mettiamola così allora: come bisogna distinguere Marx dal marxismo, mi sembra che le idee di Foucault abbiano dato vita a una sorta di ‘foucaltismo’ che presenta una visione del potere molto seducente per il potere potere stesso e molto suggestiva per chi vede complotti ovunque.
Quanto al pensiero della decrescita, in realtà è facilissimo da sostenere, stringi stringi lo puoi ridurre all’idea che in un pianeta finito è impossibile crescere all’infinito. Credo che la situazione sia un po’ più difficile per alcune idee di Foucault.