L’acronimo “GAS” sta per Gruppo di Acquisto Solidale. Ciascuna delle tre parole che lo compongono ha la sua importanza. Si tratta di un Gruppo. Viene cioè superato l’individualismo delle persone che si mettono insieme per uno scopo. Lo scopo è l’Acquisto . Gli acquisti, ovviamente, li si può fare anche individualmente: basta entrare in un supermercato o in un punto vendita qualsiasi e si compra.
Ma, nel caso dei GAS, si tratta di acquisti selettivi che corrispondono a dei criteri: si rivolgono direttamente ai produttori, in modo da rendere la filiera corta. Selezionano i produttori in base a criteri di affidabilità: i prodotti devono essere preferibilmente biologici. Privilegiano quei produttori che consentono il consumo di prossimità: dunque, quelli presenti sul territorio; possibilmente a “chilometro zero”.
Poi c’è la “S” di Solidale.
Se utilizziamo la felice espressione ideogrammatica di Diamanti, questa è una società “liquida”, dove le persone non si riconoscono più nei partiti; o meglio, non riconoscono più ai partiti quella forza, anche morale, quell’essere intellettuale collettivo, in grado di organizzare il consenso e di avere, entro la società, un ruolo di guida nell’azione politica, per il conseguimento di obiettivi.
La nostra è una società che è stata plasmata prima dal consumismo del “tantoavere” e che poi si è trovata orfana e indifesa perchè provata e piegata dalla crisi economica. Una società che, tutto sommato, ha sofferto e che , in proprio, non sa trovare le soluzioni per uscire dal “tunnel” della contrazione dei consumi.
La crisi non è solo deprivazione: plasma, anche da un punto di vista demografico e sociologico le persone, le famiglie. Cambia le abitudini e induce le persone ad assumere comportamenti prima inusuali. Ciascuno per sè cerca il modo per tirare la quarta settimana e assorbire il colpo che deriva dalla riduzione del reddito disponibile, dalla penuria di posti di lavoro, dal maggiore carico economico che molte famiglie sopportano, sostituendosi allo Stato nell’erogazione del welfare. Infatti, se non c’è lavoro, se manca reddito e certezze, spesso e volentieri sono i genitori che aiutano i figli; cambiando in questo modo la fenomenologia sociale di mezzo secolo fa; quando erano i figli a farsi spesso carico dei genitori anziani, a soccorrere le loro esigenze materiali, anche provedendo a integrare certe spese, come quelle della degenza in case di cura e di riposo.
Alla società “liquida” la “S” di GAS contrappone un’idea di società solidale.
Se seguiamo l’etimo, “solidale” deriva da “solido”: da un fenomeno fisico dove le tante componenti che si sommano diventano un tutt’uno e da ciò traggono la loro forza. Ciò che è solidale, coeso, vincolato, unito da ragioni di principio e di scopo, sicuramente è meno canna al vento. Costituisce oasi di certezza in un ambiente esterno che di certezze ne ha poche.
Naturalmente non tutto è così semplice e lineare. I GAS devono fare ancora molta strada perchè anche i membri dei GAS, per quanto mediamente più sensibili alle tematiche sociali e indirizzati al “bene comune”, sono anch’essi figli della società “liquida”.
Per quanto gli acquisti in comune rappresentino una svolta importante ed anche rivoluzionaria nel sistema della produzione e distribuzione, rimangono pur sempre un aspetto parziale e limitato rispetto al bisogno evidente di una nuova socialità.
Se sono cadute le vecchie certezze, in questa fase economico-politica, non se ne intravvedono di nuove. Monta, in generale, la consapevolezza che le soluzioni ai problemi comuni debbano necessariamente venire “dal basso”; cioè direttamente dai cittadini e non piu’ da qualcuno che, “dall’alto” pensi e provveda per tutti.
C’è forse qualche cosa di negativo in tutto questo, in quanto cresce l’idea dell’inutilità delle classi dirigenti; mentre, personalmente, sono fermamente convinto che una società, senza classi dirigenti, non vada da nessuna parte.
Mentre invece, questo sì, ritengo che servano “nuove” classi dirigenti, selezionate dal lavoro quotidiano entro strutture di base che operano al servizio della società. Dirigenti selezionati in base al merito, alla serietà del loro impegno, alla capacità e preparazione che esprimono.
Se manca chi dirige, coordina, suggerisce, propone, che sia in grado di fare sintesi di idee e progetti, tutto si diluisce nello spontaneismo fine a se stesso. Uno spontaneismo che intuisce i problemi, li sfiora, magari li evidenzia ma non sa poi tradurre il pensiero diffuso in proposta politica e in azione.
E di azione ce n’è davvero bisogno. L’Italia, più che altre realtà del vecchio continente, è un Paese con i fondamentali dell’economia al collasso. Bastano pochi indicatori per comprendere che, non fosse per i provvedimenti finanziari della Banca Centrale Europea, non fosse per il FMI, sarebbe un Paese fallito, anche formalmente e non sono nello nei fatti.
Basta guardare alcuni grafici, valutare il rapporto deficit/PIL. vedere come la spesa di parte corrente sia incontenibile, a fronte del debito strutturale e della sostanziale crisi sistemica, a partire da quella economica, per rendersi conto di come l’Italia, di fatto, sia in default. Da tempo.
Davanti al fallimento delle vecchie classi dirigenti è naturale concludere che questo Paese vada profondamente ripensato.
In altri topic abbiamo ragionato su Berlinguer, sull’idea di austerità che egli lanciò sul finire degli anni ’70. Idea attualissima che ripropone l’esigenza di un profondo cambio di paradigma; di una ripartenza su basi nuove che mettano al centro la persona, la collettività e non più la schiavitu’ del consumo come imperativo di un sistema basato sullo spreco delle risorse e la violenza sistemica contro la natura.
Dunque, per quanto perfettibili e per certi versi ancora in fase di migliore definizione, i GAS rappresentano sicuramente una realtà preziosa e fondamentale. Un sicuro punto di aggregazione e di riferimento per un sempre maggiore numero di persone.
Non si tratta di un fenomeno localistico ma di realtà presenti su tutto il territorio nazionale che, oggi come oggi, hanno anche un peso non indifferente per il denaro che spostano coi loro acquisti. Come decrescisti non possiamo che valutare positivamente questa realtà e, perché no? Costuire con essa importanti percorsi comuni
Immagine in evidenza tratta da Wikipedia
Ciao Daniele, volevo semplicemente dirti che il tuo articolo mi è molto piaciuto. Soprattutto questo passaggio: “Alla società “liquida” la “S” di GAS contrappone un’idea di società solidale.
Se seguiamo l’etimo, “solidale” deriva da “solido”: da un fenomeno fisico dove le tante componenti che si sommano diventano un tutt’uno e da ciò traggono la loro forza. Ciò che è solidale, coeso, vincolato, unito da ragioni di principio e di scopo, sicuramente è meno canna al vento. Costituisce oasi di certezza in un ambiente esterno che di certezze ne ha poche”
Sai, a volte dimentico che nel mio sforzo di “sopravvivere” al mio specifico ambiente esterno è proprio nella comunità che dovrei ritrovare la forza. Ripensarla.
Perciò grazie: oggi ho di che riflettere seriamente.
Quando più persone si mettono insieme formano una piccola comunità, perchè questa comunità abbia caratteristiche di un insieme compatto e massiccio, occorre che vi sia una coesione guidata da un’etica solidale.
Io fino ad oggi non ho riscontrato nella mia esperienza di decrescente una capacità concreta e vera di : etica solidale, e ciò mi ha portato a concludere che l’essere solidali sia, per adesso, a livello di sola teoria.
L’umanità non è un insieme coeso intero, massiccio, è tutto l’inverso, quindi la caratteristica di solidale non è qualcosa di dato, di scontato, bensì è qualcosa da costruire, creare dimenticando il nostro egoismo, annientando la nostra invidia, i nostri personalismi, detta in una parola, o meglio citando un motto che non invecchia mai, imparando ad essere : “tutti per uno uno per tutti”.
La solidarietà come ho accennato deve possedere un’ etica, etica che scelga l’Amore verso il prossimo prima ancora che verso noi stessi, imparando a guardare oltre il nostro spazio vitale, oltre noi stessi, i nostri stretti bisogni, imparando che prima viene il bene comune e poi il nostro,adoperandoci per far nascere e poi crescere, un sentimento di unità sociale che si trasformi in consapevolezza nell’ essere vincolati in un unico intero corpo solido
Se non si impara a ragionare così la solidarietà sarà priva della sua etica solidale e quindi resterà una parla (permettetemi) vuota .
Simona, non sono completamente d’accordo con te.
Qui stiamo parlando di GAS, cioè di una unione volontaria di scopo. Non stiamo parlando dell’umanità tutta che, indipendentemente dalla volontà di ciascuno, si trova a coabitare il medesimo pianeta.
Anche in un gruppo ristretto, come può essere un GAS, ovvviamente, ci sono tante individualità e, conseguentemente, altrettanti punti di vista su molti aspetti.
I GAS, prima di ogni altra cosa, condividono gli acquisti.
Alla base di questa scelta ci sono alcuni fattori che rappresentano i valori delle persone che vi si riconoscono.
Valori come la scelta di acquistare solo prodotti biologici; prodotti che siano confezionati nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori, che non impieghino manodopera minorile, che siano a “filiera corta” e favoriscano il consumo di prossimità.
Nessuno chiede di andare oltre questo patrimonio comune.
Nei GAS ci sono persone credenti e non credenti, persone vicine alla decrescita e persone che, semplicemente, voglio acquistare nel migliore dei modi.
Ci sono vegani e altri che chiedono al GAS di acquistare collettivamente carne bio di mucca chianina.
Il GAS non è un luogo ideologico e l’amore tra le persone non costituisce un pre-requisito per aderirvi.
Quello che conta non è cosa pensano le persone su tutto lo scibile umano. Quello che conta è che, ci possa essere un comune denominatore che renda possibile fare acquisti insieme.
In definitiva, l’importante è la realtà che i GAS rappresentano. In Italia sono circa mille i Gruppi di Acquisto e sono distribuiti in tutta la penisola, isole comprese.
Muovono una quantità non indifferente di denaro per comprare i prodotti; ed iniziano ad essere una concreta alternativa alla grande distribuzione.
Questo è quanto. Il resto è tutto in progress. Come tutte le esperienze nuove ha bisogno di assestamenti. Avrà anche alti e bassi nel suo camino ma il GAS ha tracciato una via nuova per il consumo critico, per rendere il cittadino protagonista delle proprie scelte e non succube della condanna a consumare anche il superfluo.
Tutto ciò avviene in modo “solidale”.Ed anche questo è un fatto.
La società “liquida”, come la chiama Diamanti, da l’idea di qualche cosa che si “squaglia”, che si disperde, per via del fatto che i propri componenti non sono emulsionabili, non hanno capacità di “con-fondersi”.
Questa è una delle tante polpette avvelenate del capitalismo monopolista.
Ce li ricordiamo tutti gli anni ’90, dove le keywords che hanno caratterizzato il periodo sono state: “individualismo”, “competizione”, “arrivare primi”, “battere la concorrenza”, “essere leader”.
Questo visione miope ha reso fragile e priva di punti di riferimento la società. Liquida, appunto.
L’idea di fondo del capitalismo, lo sappiamo, è quella secondo la quale è l’egoismo che muove il mondo. L’invidia per il successo degli altri sarebbe la molla che induce le persone a competere, a rivaleggiare per arrivare primi. In tutto.
Naturalmente guai a chi resta indietro, a chi non ce la fa, a chi non ha i mezzi per competere.
Prima di ogni altra cosa il capitalismo è questo e tutti i suoi “frutti” sono ispirati a questa logica.
Un mondo diverso non può che rovesciare questi disvalori e sostituirli con valori agli antipodi.
Come diceva Don Milani, al “me ne frego” va sostituito il “mi importa”; al “faccio da me” il “facciamo insieme”.
Certo, cara Miriam, tutto questo costa fatica, perchè il metodo della partecipazione democratica al pensiero ed azioni condivise necessita di maturità sociale alla cui base c’è la rinuncia di molti punti di vista individuali per accettare una logica di gruppo.
Discutere e decidere non è spesso facile; perchè ciascuno di noi è un universo.
Per contro, va osservato che ci sono delle idee-forza, valori condivisi che consentono di superare gli screzi, i puntigli personali. Questi valori partono dalla consapevolezza che la forza collettiva non nasce dall’egoismo ma dalla condivisione; non dal desiderio di competere ma da quello di collaborare.
Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare dal mondo delle api e delle formiche.
Ogni individuo dell’alveare o del formicaio concorre al bene comune. Fa il proprio dovere nell’interesse generale. Sa sacrificarsi per garantire il benessere collettivo.
Il Capitalismo ha copreso molto bene il motto latino: “divide et impera”. A noi spetta il compito di praticare il contrario.