L’ultimo contributo che ho pubblicato su DFSN, Sea Watch & Sea Reality, è stato oggetto di svariati commenti sui social network. Ho deciso di rispondere a un paio di questi pubblicamente sul nostro sito, onde evitare l’insorgere di equivoci sulla mia presa di posizione.
Primo commento:
Mi spiace per voi ma non esiste nessuna “dialettica in apparenza antitetica ma in realtà complementare Boldrini vs Salvini (ossia foderarsi gli occhi di prosciutto schierandosi per partito preso a favore o contro i migranti)”, bensì una posizione giusta e una posizione sbagliata. Ammiccare ai complottismi e liquidare la questione con due conclusioni: il nostro paese ha raggiunto la capacità ecologica e le migrazioni sono una causa del “sistema capitalistico”, è un modo per evitare (come fanno i 5 stelle) di prendere una posizione esplicita finendo, come tutti coloro che dicono che “destra e sinistra sono categorie vecchie”, per prendere una posizione di destra considerando le persone (in questo caso i migranti) come dei mezzi, e non come dei fini in sé. Forse è il caso che tornare a occuparsi di saponi fatti in casa e di macrobiotica.
Non ho alcun problema a schierarmi tra i due ‘capitani’ coinvolti nella vicenda Sea Watch – Carola Rackete e Matteo Salvini – e non certo a favore del patriota che fino a qualche anno fa inneggiava alla secessione. Tuttavia, se gli obblighi morali impongono di non voltarsi dall’altra parte in presenza di un’emergenza umanitaria, è altrettanto doveroso non mettere la testa sotto alla sabbia e riflettere seriamente (io, nel mio piccolo, ci provo, ma per fortuna anche altri più capaci di me) su di un fenomeno che emergenziale non lo è affatto, essendo divenuto drammatica normalità nel contesto della società mondiale. A maggior ragione, mi sento in diritto di esprimere il mio distinguo riscontrando come tanti oggi ostentanti solidarietà abbiano mostrato nel recente passato orientamenti decisamente di segno opposto.
Infatti, se la presenza di parlamentari a bordo della Sea Watch 3 ha rappresentato un ottimo deterrente contro possibili degenerazioni della situazione, alcuni dei politici coinvolti (vedi Graziano Del Rio, Matteo Orfini, Davide Faraone e Riccardo Magi) appartengono alla coalizione che ha firmato il memorandum Italia-Libia del 2 febbraio 2017, con cui l’esecutivo a guida PD di fatto esternalizzava al governo di Sarraj il controllo dei flussi migratori, per operare veri e propri respingimenti nel silenzio più totale. Se i migranti recuperati in mare dalla Sea Watch 3 fossero stati intercettati dalla guardia costiera del paese nordafricano come previsto dall’accordo, oggi si troverebbero nei famigerati campi di detenzione denunciati a più riprese da Amnesty International per le ripetute violazioni di diritti umani fondamentali (proprio in queste ore Associated Press ha diffuso informazioni inquietanti sul centro di Zintan).
Se si tratta quindi di scegliere tra ‘giusto o sbagliato’ e ‘prendere posizione esplicita’, allora ciò non può avvenire solo in favore di telecamera riguardo a un singolo caso su cui si sono accesi i riflettori dei media, altrimenti l’accusa di approfittare di facili vetrine elettorali suona decisamente sensata. Per i saponi e la macrobiotica c’è sempre tempo, per la chiarezza su questioni tanto delicate no.
Secondo commento:
In questa riflessione manca un punto cruciale, la gente nel Mediterraneo muore, muore facendo questa traversata, muore cercando di arrivare qui, muore. Quindi prima di permettersi di dire che non necessitano delle ong, che nel percorso migratorio può pure essere vero, partirei dal presupposto che il Mediterraneo è pieno di cadaveri e che forse quei 43 inizialmente 58 senza la sea watch si sarebbero aggiunti alla conta, ormai lunga, dei cadaveri di questo 2019.
Non mi permetterei mai di definire inutile il lavoro delle ONG, così come non l’ho mai fatto nei confronti della Croce Rossa o altre associazioni filantropiche malgrado svariati dubbi e scetticismi; anzi, riconosco come la sopravvivenza di tante persone sia legata a doppio filo alle loro attività, cosa di per sé non giusta dal momento che un’esistenza dignitosa per chiunque dovrebbe essere un diritto inalienabile e non una generosa elargizione. In ogni caso, il coraggio e la determinazione di Carola Rackete non fanno scomparire d’incanto tutte le criticità della narrazione sostenuta dalle ONG (nonché dal ‘boldrinismo’), inoltre permangono le perplessità riguardo alla ragion d’essere profonda di tali organizzazioni. Rappresentare il fenomeno migratorio essenzialmente come una massa di deboli bisognosi in fuga dalla violenza, oltre a essere smentito dalla realtà, trasuda di uno strisciante pregiudizio etnocentrico (bisognoso = inferiore), per giunta sdogana implicitamente l’idea della Destra secondo cui la migrazione ‘economica’, non dettata dalla fuga dalla guerra o dalla persecuzione politica, è una scelta voluttuaria a cui è lecito opporre totale rifiuto. Tutto ciò all’interno della logica che spinge George Soros e altre figure simili a finanziare il salvataggio in mare: ovviamente non il diabolico piano della ‘sostituzione etnica’ strombazzato da tanti fuffologi, bensì la consapevolezza che le migrazioni rappresentano l’unica valvola di sfogo per i paesi alla periferia dell’economia mondiale, per cui la loro completa repressione potrebbe originare pesanti destabilizzazioni che si rifletterebbero pericolosamente sulle fondamenta dell’intero mercato globalizzato. Pertanto, non voglio che il mio apprezzamento per gli sforzi genuini di tanti attivisti venga confuso con l’adesione a un modello umanitario che, nella tradizione degli ‘aiuti allo sviluppo’, è pensato principalmente per tamponare le falle maggiormente evidenti lasciando inalterato il più possibile lo status quo.
In conclusione, condivido l’appello lanciato su Facebook dalla co-presidente di MDF Lucia Cuffaro (tra gli altri) affinché alla Rackete venga risparmiata una condanna che può comportare dai tre fino ai quindici anni di carcere; purtroppo, questa personalizzazione della questione sarà inevitabilmente fonte di ulteriori strumentalizzazioni utili al circo mediatico italiota ma non certo ad affrontare una volta per tutte i problemi con uno sguardo che sappia guardare al di là degli angusti orizzonti di casa nostra e non si limiti agli auspici per una ripartizione equa dei profughi tra i membri della UE. Riuscire ad abbandonare speculazioni politiche, egoismi e facili indignazioni in favore di una riflessione ragionevole e aliena da campanilismi è l’unico modo per uscire da questo tragico impasse.