Come camminare e ignorare quella persona, nera di pelle, che si mantiene, forse, vendendo ombrelli?
E’ un uomo alto, prestante, un pizzo bianco, pelle scura, occhi intelligenti e tristi. Lì in piedi, si sposta di pochi metri, propone oombrelli, con la pioggia e col sole. Me lo immagino al suo paese, avrebbe un portamento quasi regale, qui è meno di una colonna.
Non so nemmeno se le persone lo guardano davvero negli occhi, in viso, o se tenendo lo sguardo a terra si limitino a vederne le scarpe accanto al mucchio di ombrelli.
E’ vita questa sua? Qui ignoto a tutti, una parola scambiata forse a sera se vive con qualche connazionale. La tristezza e il silenzio lo invadono, non è nemmeno prepotente, mormora, allunga un ombrello, chiede, propone, ma con misura ed educazione.
Non posso comprare un ombrello ogni volta che gli passo davanti ma ogni volta mi vergogno profondamente per questa nostra società che ammette questa forma di schiavitù e la dà per scontata.
Non ci si pone più nemmeno la domanda se sia giusto o no che vi sia una persona che mendica un pane e non di più, perché così mica fa i milioni sto uomo, non è che sta provvedendo ai suoi, che prepara a sé e a loro un futuro migliore. Non è insomma un investimento questo modo di lavorare, dopo aver lasciato tutto alle spalle.
E’ pura sopravvivenza.
Lo immagino là nella sua terra, che zappa e coglie frutti per la famiglia. Qui lo sento sradicato.
Dove sono gli affetti e gli orizzonti della terra che lo ha accolto quando è nato?Perchè ha dovuto allontanarsi da essa e cercare cibo altrove, come un fuscello strappato? Ha lasciato laggiù famiglia, casa, campi, è venuto a cercare l’eldorado che non c’è e vive qui ammucchiato forse in una catapecchia con altri come lui, poveri di tutto e tanto di amore.
Come non pensare la rabbia che forse gli cresce in corpo o forse solo la disperazione?
Foto da:rinotringale.blogspot.com
quello che in questo breve articolo è descritto, è ciò che io provo, ed inoltre la frustrazione è enorme per la consapevolezza di accettare passivamente questo stato di cose senza avere la forza e il coraggio di fare anche solo un gesto per alleviare la sofferenza di queste persone. ciò che ci viene con leggerezza esposto come “marginale effetto collaterale”agli “enormi benefici”del processo di globalizazzione in realtà è solo un abbruttimento della nostra socità’ una perdita dei valori di base che regolano la giusta e sana convivenza tra gli esseri umani.
Hai perfettamente ragione. E’ la cosa che mi domando sempre passando per Bologna, quando nei venti minuti a piedi che devo percorrere per raggiungere l’università incontro ogni giorno almeno minimo 5 persone che chiedono aiuto. Cosa fare? Non si può dare sempre e forse dare sempre non è la risposta. La cosa più facile è tapparsi gli occhi, voltarsi dall’altra parte, non vedere… E questo con la terribile sensazione di essere costretta a trasformarmi in una pietra per non essere assillata dal senso di colpa. Ma forse il senso di colpa è giusto, perchè se non percepiamo la colpa che abbiamo non faremo mai nulla per invertire il senso di marcia.