Si è parlato spesso, anche sulle pagine di DFSN, della cosiddetta ‘Rivoluzione Verde’, del tentativo di industrializzare i cicli naturali e dei conseguenti risvolti agricoli e sociali. Raramente, però, si è indagato sulle ragioni profonde che hanno condotto a questa trasformazione epocale*.
Appena terminata la seconda guerra mondiale, gli USA dovettero fare i conti con una produzione cerearicola che, a causa della meccanizzazione dell’agricoltura, aveva raggiunto livelli record, un fattore che in un’economia capitalista può rivelarsi un pericoloso boomerang: la grande crisi degli anni Trenta, non a caso, era cominciata con una sovraproduzione agricola tale da provocare una forte contrazione dei prezzi, danneggiando pesantemente i produttori e innescando un circolo vizioso che ha segnato tutta l’economia e poi la sfera finanziaria.
Una volta ricostruita l’Europa e con l’URSS e il blocco comunista escluso dai commerci, bisognava escogitare nuovi stratagemmi per mantenere alta la domanda, problema per cui furono escogitati diversi rimedi.
Il primo consistette nell’alimentare il bestiame con mangimi a base di cereali; il secondo nel creare artificiosamente nuovi mercati nelle aree più povere, quel ‘terzo mondo’ che si stava progressivamente decolonizzando ed era fortemente conteso da USA e URSS.
Nel 1954, il presidente Heisenowher firmò l’Agricultural Trade Development and Assistance Act, noto anche come Public Law (P.L.) 480. Presentato come piano umanitario per sostenere lo sviluppo e l’avanzamento demografico del Terzo Mondo, per certi versi questo programma ‘anticipava’ problemi che erano ancora di là da venire. Se è vero che America Latina, Africa e Asia stavano registrando significativi tassi di aumento della popolazione, è altrettanto vero che, fino agli anni Cinquanta, tali continenti non solo risultavano complessivamente autosufficienti sul piano alimentare, ma addirittura esportavano mediamente 13 milioni di tonnellate all’anno di cereali.
L’ex generale presentò il PL480 in termini abbastanza realistici, come ‘la base per una permanente espansione delle nostre esportazioni di prodotti agricoli, con benefici duraturi per noi stessi e altri popoli’. In pratica dietro, la retorica degli ‘aiuti’, si celava un programma di dumping commerciale (dal 1954 al 1964, costituì il 34% delle esportazioni di cereali statunitensi e il 57% delle importazioni del Terzo Mondo), che come tutte le pratiche di esportazione sotto costo provocò gravi conseguenze sui produttori locali, oltre alla progressiva ‘americanizzazione’ delle diete di molti popoli (in Sud Corea, ad esempio, il consumo di cereali finì per superare quello del riso).
Nello scenario appenna illustrato, l’avvento della Rivoluzione Verde – un altro sforzo per aumentare la produttività – potrebbe apparire un controsenso; in realtà, sul piano della logica commerciale, ha rappresentato un logico corollario a tutta la concezione pseudoumanitaria sottesa al PL480.
Anticipando il rischio di saturazione dei mercati cerealicoli, la Rivoluzione Verde ha spostato la dipendenza dal prodotto agli input, non solo sementi ma anche pesticidi, fertilizzanti, apparecchi per l’irrigazione, trattori. Il resto è storia nota: da una parte i trend agricoli produttivi in ascesa, dall’altra l’espulsione dei piccoli contadini dalla campagna e la denutrizione causata dall’impossibilità economica di accedere al cibo.
Questo breve resoconto del background economico-ideologico della Rivoluzione Verde ci avverte sulla necessità di analizzare accuratamente le strategie agricole dei principali protagonisti, governi e aziende transnazionali in primis. Per chiudere, voglio segnalare quello che (a mio giudizio) è il modo sbagliato di affrontare le tematiche sul futuro alimentare del pianeta. In un articolo pubblicato sul suo blog de Il Fatto Quotidiano on line, Loretta Napoleoni si preoccupa giustamente del fatto che l’Expo si riveli soltanto una vetrina mediatica per i grandi oligarchi del settore ed espone alcune considerazioni sicuramente degne di nota. Tuttavia – in perfetto stile economista – decontestualizza l’intero problema alimentare dalla sostenibilità ambientale ed energetica, per cui tutto il dibattito tra agricoltura industriale e pratiche alternative si traduce unicamente in opinioni, quindi sostanzialmente in chiacchiere. E l’agricoltura, in gran parte, non è un’opinione.
*Le informazioni che seguono sono tratte dal libro di Terence K.Hopkins e Immanuel Wallerstein L’era della transizione. Le traiettorie del sistema mondo 1945-2025.
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