Che il clima sta cambiando e che questi cambiamenti sono sempre più imprevedibili, ormai ce ne siamo accorti tutti. L’autorevole portale italiano della meteorologia italiana Nimbus, già ai primi di agosto commentava che “una combinazione così marcata di temperature fresche, elevata nuvolosità, piogge e temporali frequenti e abbondanti come nel luglio 2014 al Nord Italia si era vista poche volte a scala secolare”. E a tutti coloro che non riescono a capire il legame fra il riscaldamento globale e un’estate più fresca e piovosa, ci pensa Nimbus a chiarire ogni dubbio, perché “a livello planetario, il 2014 potrebbe divenire uno degli anni più roventi da un secolo e mezzo (aprile, maggio e giugno sono stati i più caldi mai registrati nel mondo), e non saranno poche settimane di aria fresca e piogge intense in un angolo di Europa a smentirlo. D’altronde proprio i cambiamenti climatici e della circolazione generale dell’atmosfera potrebbero essere all’origine, sempre più in futuro, di persistenti situazioni <<di blocco>> con marcate anomalie meteorologiche in un senso o nell’altro (caldo o freddo eccessivi, alluvioni o siccità) stazionarie per diverse settimane o mesi sulle stesse regioni”. E ancora, “le anomalie delle temperature oceaniche dell’Atlantico e dell’estensione del ghiaccio di banchisa sull’oceano Artico possono essere tra i possibili fattori che influenzano questi andamenti pluviometrici eccedentari su alcune regioni europee attraverso lo spostamento della corrente a getto”. Insomma, gli effetti del riscaldamento globale su scala locale non sono scontati e l’Europa potrebbe vivere il paradosso di un clima più freddo – magari perché si affievoliscono sempre più i benefici della Corrente del Golfo.
Nel frattempo, dalle più autorevoli agenzie del mondo che studiano il clima giungono notizie sempre più allarmanti. Secondo lo scienziato Sergio Castellari, delegato del governo italiano all’IPCC e ricercatore del Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici, “il trend delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra, evidenziato dall’ultimo rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), è in linea con lo scenario peggiore elaborato dai climatologi mondiali”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), “il cambiamento climatico miete vittime ogni anno a causa dei disastri naturali, più che triplicati dal 1960. Siccità, riduzione dell’acqua potabile e dell’igiene aumentano il rischio di malattie diarroiche e infettive, possono esporre ulteriori 2 miliardi di persone alla trasmissione della dengue entro il 2080, mentre con il dimezzamento della produzione di alimenti entro il 2020 nelle regioni più povere, aumenteranno malnutrizione e denutrizione”. A quanto pare, i cambiamenti climatici sono proprio una cosa seria.
Ma per capire a fondo la gravità della situazione occorre far luce su alcune delle mezze verità che il sistema di (dis) informazione continua a propinarci. Il primo punto da tenere in considerazione è il fatto che non esiste alcuna prova scientifica che una concentrazione di gas serra (espressa in termini di CO2) pari a 450 ppm (parti per milione), rispetto ai 280 ppm di prima della Rivoluzione Industriale, possa scongiurare la catastrofe (e abbiamo già toccato i 400 ppm lo scorso aprile). La tanto strombazzata soglia dei 2°C è un mero compromesso politico raggiunto tra i vari governi, mentre fra gli scienziati che si occupano del clima non c’è accordo sul fatto che un aumento di 2°C possa evitare le pericolose ripercussioni di un clima impazzito. Ma se c’è una certezza fra gli scienziati è proprio quella relativa ai devastanti effetti che un repentino aumento della temperatura media del pianeta oltre i 2°C (ma se tutto continuerà come ora siamo ben olte i 4°C) avrebbe sul funzionamento del clima e i cicli ecologici che permettono la vita così come la conosciamo ora. Già il IV rapporto dell’agenzia delle Nazioni Uniti IPCC del 2007 mostrava come un dimezzamento delle emissioni di gas serra entro il 2050 avrebbe significato una probabilità pari al 50% di contenere le emissioni entro i 2°C (in pratica, anche un dimezzamento delle emissione significherebbe giocarsi con un testa o croce le sorti dell’intero pianeta), mentre una riduzione di almeno l’80% delle emissioni di CO2 entro il 2050 permetterebbe di essere più sicuri di non rompere la soglia (che è comunque politica!) dei 2°C. Ma gli ultimi risvolti sono tutt’altro che ottimistici. Johan Rockstrom e Anders Wijkman nel loro ultimo libro “Natura in bancarotta” citano alcuni recentissimi studi che dimostrano come anche con il poco probabile azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050 non si avrebbe la ragionevole certezza di sforare i famosi 2°C – avremmo infatti ancora il 30% di probabilità di andare incontro alla catastrofe -, a causa dei meccanismi di inerzia di un riscaldamento globale che si è già messo in moto.
Il secondo punto da tenere in considerazione è che il clima del nostro pianeta e in generale gli ecosistemi sono sistemi variabili tipicamente non lineari, il che significa che esistono delle soglie che, una volta superate, hanno delle conseguenze negative inaspettate a causa degli effetti irreversibili che il superamento delle stesse ha portato. L’Artico, la calotta glaciale della Groenlandia, il regime dei monsoni o le grandi foreste pluviali dell’Amazzonia e del Congo, ad esempio, potrebbero, una volta superate certe soglie (ad esempio a causa delle variazioni della temperatura media) innescare cambiamenti climatici assolutamente fuori controllo. Questo perché fino ad ora, circa la metà delle emissioni di gas serra dell’uomo sono state assorbite dalla biosfera (oceani ed ecosistemi terrestri, come foreste o aree umide), ma in un futuro non troppo lontano potrebbe non essere più così. Prendiamo gli oceani: quando si scaldano e diventano più acidi (ed è proprio quello che sta accadendo), la loro capacità di assorbire CO2 diminuisce – ma la stessa cosa sta accadendo con la vegetazione, che secondo molti scienziati potrebbe presto diventare una fonte di carbonio anziché un serbatoio di carbonio. Nel caso dell’Artico abbiamo già superato una prima importante soglia nell’estate del 2007, quando si ridusse improvvisamente il 30% dell’estensione dei ghiacci (ed è bene ricordare che nessun scienziato, nemmeno il più pessimista aveva mai previsto quello che poi sarebbe effettivamente successo). Un secondo record negativo è stato toccato il 16 settembre del 2012, con una perdita del 40% dell’estensione dei ghiacci dell’Artico (pari a 3,41 milioni di Km², ovvero 3,29 milioni di Km² in meno del valore medio del periodo 1979-2000). Anche se nel 2013 i ghiacci dell’Artico sono aumentati rispetto al minimo storico del 2013, il trend è ormai chiaro a chiunque osservi l’andamento nel lungo termine (a differenza di chi, come l’eurodeputato Farage, gioca sporco e ci mostra la sola variazione di un anno per convincerci che il global warming è un’invenzione).
Il repentino scioglimento dei ghiacci dell’Artico (ma anche il continuo accumularsi di polveri e residui inquinanti antropici nelle regioni artiche) non fa altro che aumentare ulteriormente il riscaldamento del pianeta a causa della variazione dell’albedo (ovvero il grado di riflettività delle radiazioni in entrata): una superficie ghiacciata riflette nello spazio fino all’85% delle radiazioni, una superficie scura può arrivare ad assorbirne fino all’85%. Ma l’altro fenomeno che contribuirà sempre più all’aumento del riscaldamento globale è lo scioglimento del permafrost, il sottile strato di ghiaccio perenne che ricopre enormi distese di gas metano in Siberia e nel Nord America (una molecola di metano ha una capacità di trattenere calore 25 volte maggiore di una molecola di CO2). Da notare che né la variazione dell’albedo dell’Artico, né lo scioglimento del permafrost sono tenuti in considerazione dai modelli dell’IPCC, che quindi tendono a sottovalutare la reale situazione del nostro clima. Ma non è solo una questione di clima. La fusione dei ghiacci dell’Artico diminuisce la salinità dell’Oceano Artico – con effetti sulle riserve ittiche, le reti alimentari e una sostanziale diminuzione dell’ossigeno a causa della diffusione di specie invasive – e inoltre la continua emissione di anidride carbonica nell’atmosfera cambia la chimica degli oceani (la cui acidificazione è già aumentata del 30% secondo la NASA), con conseguenze deleterie sulle conchiglie e sugli organismi che formano i coralli (che necessitano di carbonato di calcio per la loro formazione). Ma se le barriere coralline rappresentano il 90% circa della biodiversità degli ecosistemi marini e l’acidificazione e l’aumento delle temperature dei mari mettono a rischio la stessa sopravvivenza dei coralli, è chiaro che il riscaldamento globale non signfica solamente che avremo un aumento dei fenomeni meteorologici estremi, quali siccità, inondazioni, uragani e via dicendo, ma anche una vera e propria distruzione di interi ecosistemi, dai quali dipende non solo la nostra economia, ma la nostra stessa esistenza.
Anche se molti si lasciano influenzare dalla lobby dell’energia fossile (capitanate dai fratelli Koch), che replicando quanto fatto gli scorsi decenni da “Big Tobacco” con il fumo e più di recente dall’industria chimica con i pesticidi continuano a infondere dubbi e a confondere le menti dell’opinione pubblica e dei partiti politici (ad esempio dei Repubblicani negli USA), esiste praticamente un consenso unanime tra i più competenti studiosi del clima di ogni parte del mondo sulle evidenze del riscaldamento globale e sulle sue cause (ovvero la deforestazione, le pratiche dell’agricoltura industriale e la combustione di petrolio, gas e carbone).
L’unico rimedio alla catastrofe che sembra ormai essere inevitabile è che tutti i paesi (Stati Uniti e paesi emergenti compresi) si impegnino al più presto tramite un accordo vincolante su scala mondiale affinché le emissioni di gas serra si riducano fortemente entro il 2050 (sarebbe auspicabile una riduzione dell’80%). Domenica 21 settembre i vari leader mondiali si riuniranno a New York per il Climate Leaders’ Summit organizzato dalle Nazioni Unite e la seppur tenue speranza di tutti noi è quella di vedere, almeno una volta nella storia, i politici fare gli interessi generali dei cittadini che rappresentano invece di quelli particolari e scellerati delle varie lobby che li finanziano.
Fonte immagine: www.breidbart.com
Un’indagine statistica su questo tema obbliga il ricercatore a rispondere a una serie di quesiti:
1) Su cosa viene fondata l’Ipotesi Nulla ?
2) quali sono le variabili che devono essere prese in considerazione ?
3) quali sono i test dell’Ipotesi ?
4) A che livello di rischio porre le decisioni?
Il quarto punto, a mio avviso è il piu’ importante e il piu’ problematico.
L’Ipotesi Nulla può benissimo essere posta sul fatto che le conseguenze dello sviluppo industriale abbiano determinato i cambiamenti climatici.
Le variabili da prendere in considerazione sono innumerevoli e, per quanto oculata sia la scelta del ricercatore, vi sarà sempre una certa arbitrarietà.
Il modo migliore di procedere, a mio avviso, è quello di sottoporre le variabili ad uno screening con tecniche di machine learning, al fine di stabilire il peso ponderale di ciascuna di esse.
In questo modo si possono escludere variabili poco “pesanti” e concentrare l’attenzione sugli aspetti piu’ critici
Il problema di fondo resta quello di assumere le decisioni.
Come interpretare i risultati?
In un modello probabilistico esistono sempre dueaspetti critici: il primo riguarda la significatività del test; il secondo riguarda la potenza dello stesso.
Significatività e potenza includono una certa percentuale di rischio di commettere un errore di “primo tipo” o di “secondo tipo”.
L’errore di primo tipo consiste nel rifiutare l’Ipotesi nulla perchè ritenuta falsa, quando invece è vera.
L’errore di secondo tipo è il suo contrario: non rifiutare l’Ipotesi Nulla quando invece andrebbe rifiutata.
Accettazione e rifiuto dipendono essenzialmente dalla formulazione di rischio, cioè dall’intervallo di confidenza entro il quale si conviene di non rifiutare l’ipotesi.
In altri termini, chi vuole dimostrare che lo sviluppo industriale ha pesato fortemente sui cambiamenti climatici o, addirittura, li ha determinati, avrà tutto l’interesse ad abbassare il rischio di commettere un errore di primo tipo.
Viceversa, chi vorrà dimostrare che non esistono cambiamenti climatici ma normali fluttuazioni periodiche che ciclicamente si ripropongono nelle varie ere, avrà interesse a alzare di molto la soglia di rischio, aumentando considerevolmente la possibilità di commettere un errore di secondo tipo.
In altri termini, e questo è il nocciolo della questione: è meglio sopravvalutare il rischio che i comportamenti umani possano essere nefasti per il clima o è meglio sottovalutarli ?
La condizione ideale sarebbe trovare una situazione “onesta” di equilibrio.
Ciò può avvenire solo aumentando la potenza del test, cioè accrescendo il numero di osservazioni.
Quindi , da una parte il fenomeno va studiato in modo approdondito, dall’altra si pone un problema “politico” ( anche senza il virgolettato) circa la “soglia” di criticità, per cui si sceglie di adottare dei comportamenti drastici in controtendenza rispetto ai processi odierni o, viceversa, si sceglie di non intervenire perchè si immagina che la Terra, comunque, abbia risorse sufficienti per “assorbire” le negatività.
E’ probabile se sia nell’un caso che nell’altro si compia un errore di stima.
Ma, e questa è la domanda delle domande, è meglio “esagerare” adottando il principio di cautela o è meglio sottacere, confidando nella Divina Provvidenza?
La storia recente ci ha mostrato che, nel complesso, le Nazioni preferiscano adottare un comportamento omissivo, alzando, e di molto, l’asticella che segnala la soglia di pericolo.
Qualcuno scomoda i sistemi complessi adattativi, spiegandoci che, in fondo, tutto, nel lungo termine, ritrova un suo equilibrio.
Infatti non è detto che non sia così.
Il fatto è che non stiamo giocando a pocker: non si può barare o azzardare un “vedo”.
Ciò che potremmo vedere, o che, giocoforza vedranno i nostri figli e nipoti, potrebbe non piacerci.
Perché non la finite con questo terrorismo di bassa lega?
E finalmente dite la verità.
Che il global warming è una balla enorme , studiata appositamente già dal governo Tatcher e completata da Gore per tirare la volata al nucleare.
Sono trent’anni che le temperature globali non crescono.
Questa cosa viene detta da pochi onesti climatologi che non hanno paura di essere antigovernativi.
Cara Alessia, quella dei mutamenti climatici e del riscaldamento globale purtroppo non è una balla. Se ti prendi il gusto di vedere la sintesi dell’ultimo rapporto dell’IPCC recentemente pubblicato ti renderai conto che il tutto si basa su una serie di dati scientifici molto seri. Che la percentuale di CO2 nell’atmosfera sia arrivata a livelli mai prima raggiunti trova dimostrazione nei carotaggi eseguiti nei ghiacci polari. Potrei continuare con altri dati. L’articolo di Castelletti ti offre già numerosi spunti sui quali puoi fare le tue ricerche. Esistono una piccola frazione di negazionisti, ma questo non mi stupisce. Come esistono i catastrofisti che predicano la fine del mondo in base al calendario Maya, vi sono anche quelli che negano l’evidenza di un fenomeno climatologico così evidente e dimostrato scientificamente- Vi sono anche negazionisti in mala fede che sostengono di non mettere freni alle industrie più inquinanti, agli inceneritori e via di seguito.
Gentile Alessia,
a parte la veemenza , del tutto ingiustificata, del suo intervento, quale sarebbe la “verità” e chi la detiene?
Un professore, non certo tenero con gli autori di The Limits To growth, Vaclav Smil, fa notare come nel 1800 l’anidride carbonica liberata in atmosfera fosse di 800 milioni di tonnellate. Oggi siamo a 9 miliardi: piu’ di mille volte tanto.
E’ altrettanto vero, come afferma qualche negazionista, che l’ anidride carbonica è la terza molecola presente in natura e che entra nel normale ciclo di vita dei vegetali e animali.
Ma è altrettanto vero che, come in tutte le cose, è questione di misura.
Il mio parere, come il suo del resto, valgono per quanto valgono e potremmo stare qui a discutere in eterno e ciascuno di noi , probabilmente, rimarrebbe sulle proprie posizioni.
Allora le riporto il parere di un Ente terzo che, voglio sperare, ella non ritenga di disconoscere: la NASA.
L’Ente Spaziale Americano riporta un grafico assai significativo.
Per 400.000 anni, vale a dire fino al 1950 della nostra era, l’anidride carbonica in atmosfera si è sempre mantenuta al di sotto delle 320 p.p.m. Limite superato, appunto, nel 1950.
Oggi, nel 2014, siamo a 400 p.p.m.
http://climate.nasa.gov/evidence/
Poi, per carità, nell’era dei negazionismi ( c’è anche chi nega sia mai esistita la Shoah) si possono anche disconoscere i principi fondamentali della fisica.
Tutto è funzionale all’idea che va bene così, che si può continuare così all’infinito, senza alcuna conseguenza.
Sia contenta: non è l’unica a crederlo. E’ in buona compagnia.
Il ‘complottismo’ è un’ideologia a suo modo confortante: ti dice che nel mondo ci sono dei grandi vecchi che tengono in mano tutto, che magari sono criminali, però hanno il controllo della situazione per cui gli basterebbe premere un pulsante e tutti i problemi scomparirebbero come per magia, per cui l’unica cosa da fare è scoprire questa misteriosa sala comandi… la verità è che esistono centri di potere che influenzano la politica mondiale, ma molto meno di quanto vorrebbero e non consapevoli degli effetti collaterali che provocano. Oppure li sanno e provano a rimediare.
Sicuramente Al Gore per diventare vice di Clinton ha avuto appoggi lobbistici di ogni genere, oggi parte di quelle lobby hanno pauro per il global warning e provano a portare avanti la loro proposta di soluzione, che possiamo riassumere nello ‘sviluppo sostenibile’.
Certo, tutti i negazionisti hanno ragione, non c’è l’aumento del riscaldamento globale, è una balla.
Ma se avessero torto!! Con chi me la devo prendere cara Alessia, con te e con quelli che la pensano come te?
Comunque anche il negazionismo del riscaldamento globale ha fatto i suoi ‘progressi’, a suo modo… oggi nessuno si mette a dire che non esiste alcun aumento delle temperature perché verrebbe sbugiardato senza pietà (persino la gente comune, senza bisogna di conoscere perfettamente le rilevazioni satellitari della temperatura, si rende conto che c’è qualcosa che non va). Oggi si punta invece a puntare il dito contro l’efficacia dei modelli previsionali accusandoli di non essere sufficientemente precisi e robe simili. A suo modo, ripeto, è un progresso…