La ricchezza è una perdita di tempo!

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In occidente siamo tutti mentalmente borghesi: abbiamo assorbito quegli ideali tanto profondamente da percepirli come naturali e necessari. Ci sono i borghesi comunisti, i borghesi verdi, i borghesi nazionalisti e i borghesi liberali. Il termine borghesia non si usa oggigiorno, perché non costituisce più un criterio di distinzione culturale. L’immaginario borghese è una lente che distorce il nostro sguardo e ci rende dei veri e propri “fyborg[1] della modernità. Sappiamo chi ha fabbricato le lenti – ce lo insegna la storia –, siamo divisi sul perché le indossiamo e sull’opportunità di toglierle.

La fabbrica delle lenti è piuttosto antica, una tradizione industriale lunga tre secoli, ma la produzione è tuttora attiva e i calderoni sono in funzione, quindi la questione è tutt’altro che teorica: laggiù ci lavorano ventiquattr’ore al giorno economisti, filosofi, pubblicitari, giornalisti, star televisive e via dicendo. La distribuzione è capillare, il sistema ben oliato. Le lenti vengono assegnate ai nuovi nati, si dice, e in caso di difficoltà i maestri della scuola dell’obbligo aiutano i piccoli a indossarle. Le lenti sono gratuite, ma ci rendono poveri. La povertà borghese è proprio questo: il paradosso che viviamo ogni giorno, l’inseguimento di un Eldorado posto al di là del mondo, il sogno cristiano di un paradiso fatto immanente-imminente e reso competitivo (non tutti possono vincere un posto in cielo), un futuro e un luogo impossibili trasposti in un qui-ed-ora utopico. E’ l’individualismo che riempie i nostri corpi di cosmesi e le nostre case di suppellettili, che ci fa inseguire un presente-mai-soddisfacente arrancando negli uffici e nelle officine. E’ la vacanza come valvola di sfogo, sono gli straordinari per la macchina nuova, i bisogni fittizi che vediamo sullo schermo, il tempo libero pianificato e riempito come un salvadanaio. E si tratta di una cultura intrinsecamente sociale, che ironicamente dipinge se stessa come intrinsecamente personale. Viviamo separati, ma lo facciamo per essere migliori degli altri quando stiamo insieme: la nostra vita-palcoscenico contro la vita-palcoscenico degli altri, in una battaglia che si estende nel quotidiano, con gli avversari che al tempo stesso costituiscono il pubblico pagante del nostro solipsismo socializzato: loro ci forniscono status sociale, apprezzamento, amore, amicizia, finanche denaro.

Il naturale impulso umano verso l’integrazione con i propri simili viene dirottato dalla morale borghese universalizzata e trasmutato nell’esigenza di vincere la gara della vita a tutti i costi, su una pista già tracciata e sulla quale non c’è posto per tutti. Si tratta, né più né meno, del modello di socializzazione dominante nella nostra società: una cella per la mente costruita mattone su mattone, senza sbarre fisiche, con la carta da parati a nascondere alla vista le incongruenze, e la televisione sempre accesa, a trasmetterci l’immagine grottesca di un mondo falsamente equilibrato. Da quel forte lottiamo per espandere il nostro essere affamato, inseguendo sogni che vincolano il tempo al superlavoro, ripagati per lo sforzo con denaro appena sufficiente a riempire quel poco spazio-tempo che ci rimane di suppellettili multimediali e multifunzionali: la carta da parati si illumina – meraviglia! – cliccando un pulsante del telecomando, e all’occorrenza fa il caffé. Esautorati di ogni compito dalla tecnologia ci iper-specializziamo per sopra-vivere, perché la mera sopravvivenza ci incute un terrore assoluto. E più raggiungiamo i sogni-sullo-schermo più questi si moltiplicano, e quel che conta rimane inseguirli, incessantemente, per realizzarli prima degli altri, meglio degli altri.

In nuce è questo lo zeitgeist al quale la decrescita prova a fornire un’alternativa. Ed è ancora possibile, perché lo stato di fyborg, al contrario di quello di cyborg, è reversibile. Ma i muscoli contratti ci rendono difficile mollare la presa dagli oggetti-gadget per i quali abbiamo lottato una vita intera, e gli occhi sono assuefatti alle lenti, e faticano a vedere. Il tempo libero è stato occupato, e per renderlo possibile abbiamo vincolato all’iperlavoro il resto del tempo. La natura è stata conquistata e trasposta alle nostre celle avvolta nel cellophane e nella plastica. La mente è stata imprigionata nella competizione. Il tutto-avere ci ha reso schiavi. La decrescita è una filosofia di liberazione.

Note:

1. Fyborg è l’abbreviazione di “functional cyborg”, e indica un individuo potenziato tramite estensioni meccaniche ed elettroniche non innestate nel corpo. Il termine è stato proposto nel 1995 da Alexander Chislenko per discriminare tra le creazioni uomo-macchina tipiche della fantascienza e le modalità quotidiane con cui gli esseri umani estendono le proprie capacità attraverso occhiali, auricolari, telefonini, palmari. (fonte: wikipedia)

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Autore de 'Il Secolo Decisivo: storia futura di un'utopia possibile'. Da anni si interessa di tematiche ambientali, economiche e sociali. In passato ha pubblicato tre paper su temi inerenti alla decrescita: "Degrowth and Sustainable Human Development: in search of a path toward integration" (Paper presentato alla Conferenza Internazionale sulla Decrescita, Venezia 2012), "Sviluppo umano e sostenibilità ambientale: in cerca di una strada verso l’integrazione" (Vincitore della prima edizione del "Giorgio Rota Best Paper Award", Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”, 2013) e "From growth to degrowth to a steady-state economy: a (more) liberal path is possible" (disponibile su ASR e online, 2019). È laureato in Scienze Politiche, in Sociologia e in Linguistica Applicata. Attualmente vive a Barcellona.

22 Commenti

      • Ciao Federico, condivido in pieno la tua analisi. Ti scrivo dal Burkina Faso dove insegno alla gente a costruirecucine e forni solari utilizzando materiali locali. Anch’ io ho partecipato al convegno di Venezia con un mio documento dove faccio delle proposte per cambiare questo mondo ingiusto e per riappropriarci del nostro tempo e della nostra vita. Lo trovi si google digitando ” il portale dei saperi di Graziano Naressi” Mi piacerebbe avere la tua opinione e vedere se insieme riusciamo a fare delle proposte concrete. Ti ringrazio. Graziano

  1. ..articolo molto bello…che mette molta tristezza…parliamo di uomini, esseri intelligenti, razionali creativi ridotti ad animali ammaestrati. A qualcuno fa comodo che l’uomo si comporti come uno “zombi – lavoratore – consumatore” ma mi chiedo perchè gli individui rinunciano a loro stessi alla loro personalità alla loro DIGNITA’ cosi facilmente?

    • Per quanto mi riguarda, a livello culturale (e semplificando molto) il problema è che è difficile sfuggire:
      1) dall’influenza profonda della socializzazione primaria (scuola, famiglia, media che ci “educano” fin dalla più tenera età), la quale ci “imprime” i valori della cultura borghese (come la intendo nell’articolo)
      2) al desiderio di ricevere l’apprezzamento da parte degli altri significativi (amici, colleghi, conoscenti), i quali sono portati, per le stesse ragioni del punto 1, a “premiarci” (con l’amicizia, l’amore, la stima ecc.) sulla base dei criteri di valore ereditati da quel tipo di socializzazione primaria, che essi perciò finiscono per perpetuare, in un circolo che è difficile spezzare.

      In tutto questo, ed è ostico stabilire se si tratti di una conseguenza o di una causa, si inseriscono le logiche economiche, che contribuiscono a mantenere questo stato di cose. Ma quale che sia la causa, continuo a pensare che un cambio di rotta, per essere duraturo, debba necessariamente partire dalle persone.

  2. Non è stato un caso che io sia arrivato qui ed abbia letto l’ articolo, ma è un caso che mi sia piaciuto così tanto.

    Sul “sogno cristiano” non sono tanto d’ accordo, ma la Sua analisi è lucidissima e mi aiuta a mettere un po’ di ordine nei miei pensieri, proprio quei pensieri che mi hanno condotto su questa pagina

    Grazie, La seguirò

    Lorenzo

  3. Nel tuo articolo ho trovato una lucida e importante conferma a ciò che penso da anni e che cerco di portare avanti nelle scelte “controcorrente” della mia vita personale scansandomi il più possibile da quei gadget multimediali e multifunzionali spesso molto inutili e sostitutivi della nostra solitudine. Ovviamente guardata come “strana” o come quella che non si adegua ai tempi…..Condivido il tuo articolo e la tua bella scrittura che permette di capire molto bene argomenti molto difficili e complicati con una semplicità disarmante…. Emanuela

  4. Bravo. Condivido quando dici che il cambiamento deve partire dalle persone il problema di sempre è cambiare tutte quelle dinamiche che si autoalimentano ripetendosi all’infinito e ci comprimono a velocità vorticose. La ricerca continua.

  5. Non so, se da un punto di vista socio-politico, il dominio borghese, durato grosso modo due secoli, sia stato un fatto imprescindibile dello sviluppo della società umana.
    La borghesia, dalla Pallacorda in poi, soppianta i nobili, li rende residuali.
    Li sopravvanza per efficienza: dalla riconversione in agraria ( rotazione dei terreni, coltivazioni da estensive a intensive, irrigazione e canalizzazioni, invenzione delle marcite…), così come sopravvanza le attività artigiane tipiche dell’ordine tardo feudale.
    Tutto viene concepito in termini prima ancora che di efficacia, di efficienza.
    La borghesia ha avuto anche la grande intuizione di riprendere il pensiero classico circa i diritti della persona, per arrivare a quel capolavoro che è il “Contratto Sociale” di Rousseau, dove viene stabilito che il “corpo mistico del sovrano” risieda nella volontà popolare e che la perdità di una parte delle libertà personali che derivano dal diritto naturale è ben compensata dalla sovranità collettiva; dove, cedendo tutti un pò della propria, tutti l’acquistano rafforzata, in modo collettivo.

    Il fatto è che questi ottimi principi, nei decenni, sono diventati per lo piu’ formali.
    E’ vero, come recita la Costituzione degli Stati Uniti che: “ogni nasce libero e uguale alla nascita”, ma la differenza la fa il possesso dei mezzi economici; per cui la libertà diventa piu’ un fatto formale che sostanziale.
    Ma questa è solo una delle “colpe” della borghesia e nemmeno la piu’ grande.
    La colpa maggiore , a mio avviso, risiede nel fatto di avere sconvolto la piramide di Maslow: di avere “inventato” i bisogni, sempre piu’ distanti e distinti da quelli immateriali e morali.
    Se respirare, dormire, nutrirsi sono bisogni, il come farlo, a quale prezzo e con quali (s)vantaggi lo ha deciso l’economia capitalistica e la logica del massimo profitto.

    Il problema che sottolineo, e questo mi affligge, è che, oggi come oggi, non è all’orizzonte una classe in grado di scalzare la borghesia che, piaccia o no, seppure indebolita, esercita ancora la propria egemonia: forse meno sul piano culturale ma non certo meno su quello economico.
    Per giunta, in questa fase crepuscolare, dove ha esaurito la sua “spinta propulsiva”, prevalgono gli aspetti patologici: quelli che lo stesso pensiero liberale depreca, che si manifestano nello strapotere autoreferenziale della finanza.

    Ecco dunque il tema su cui lavorare: come fare nascere, dal basso, dalle comunità, dalla condivisione, dalla sussidiarietà, dall’open source un pensiero “altro” in grado di scalzare il dominio borghese?

  6. Premesso che il testo è ben scritto e interessante penso però che ci siano diverse considerazioni da fare in merito. La tematica del superlavoro e delle false promesse di felicità dei gadget della tecnologia che sostanzialmente ci vede solo come consumatori è molto battuta fin dagli anni 70 in cui facevo le scuole superiori. Ciò nonostante devo dire che non mi convince del tutto. È sufficiente guardarsi il celebre film “l’albero degli zoccoli”, per rendersi conto che la società contadina e in generale direi pre-tecnologica non offriva alcuna possibilità di essere felici. In alternativa basta farsi raccontare dai nonni come vivevano loro da ragazzi per farsi subito passare la nostalgia del passato. Inoltre la morale coercitiva della società fino a 40 anni fa non dava alcuna possibilità di essere liberi fissando i ruoli in modelli precostituiti assai ben noti e spesso destinati a causare sofferenza sociale. Quindi direi che per quanto oberati di lavoro stiamo meglio oggi. Se poi vogliamo aggiungere che potremmo lavorare meno accontentandoci di guadagnare meno e rinunciando al possesso di molte cose inutili sono certamente d’accordo. Tuttavia non demonizzerei i gadget tecnologici a priori. Come si diceva negli anni 80 a proposito della TV, il male non è la TV ma l’uso che se ne fa. Lo stesso vale per moltissime altre cose di cui ci circondiamo. Cambiare smartphone ogni anno è stupido. Non possederne uno lo è altrettanto. Questo vale per moltissime cose. L’unico sistema per difendersi da quelle che ho definito false promesse di felicità è aumentare il proprio livello di cultura quindi la propria capacità di orientamento nella complessità del mondo attuale.

    • Rino, consentimi di dissentire su piu’ di un aspetto.
      “l’Albero degli Zoccoli”, mirabilmente raccontato da Ermanno Olmi è si l’albero della miseria e della infelicità ma questo non per colpa della civiltà contadina o il fallimento di quel modello.
      La colpa stava nella concentrazione di ricchezza, nel possesso del latifondo che, come contropartita, vedeva masse di diseredati disposti ad accettare contratti di colonia del tutto sfavorevoli.
      Non è un caso se, per una banale trasgressione ( un pioppo di confine tra le marcite, di nessuna importanza, se non per il principio che la roba del “padrone” non si tocca, usato per fabbricare un paio di zoccoli) la famiglia viene cacciata in malo modo e, con le povere masserizie, deve abbandonare il podere.
      Dunque è dall’assoluta ineguaglianza sostanziale di poteri tra concedente e concessionario che nasce l’iniquità e tutte le tribolazioni che le vanno appresso.

      Non è un caso che le famiglie di piccoli proprietari terrieri, pure conducendo una vita sobria e di fatica, avessero condizioni assai migliori di quelle dei braccianti ( lavoratori salariati).

      Un altro aspetto causale del disagio contadino e successivo abbandono delle terre è da rintracciare nella eccessiva frammentazione nell’eritarietà mortis causa del possessore.
      La divisione ha causato impossibilità di sopravvivenza nel fondo, con conseguente abbandono ed emigrazione.
      Non per nulla le aree geografiche piu’ colpite dall’emigrazione sono quelle del Veneto, del Piemonte, di alcune provincie della Lombardia.

      Non sono d’accordo nemmeno che si viva meglio oggi o, per meglio dire, questo giudizio va modulato meglio.
      In termini quantitativi è indubbio che l’industrializzazione e la meccanizzazione del lavoro agricolo abbiano raddoppiato le merci a disposizione, anche degli strati meno abbienti della popolazione.
      E’ altrettanto vero, e lo dicono gli indici dell’ISTAT che si viva piu’ a lungo, che molte malattie siano state debellate.
      E’ però altrettanto vero che le “varianze” di questo modello di sviluppo hanno creato problemi di notevole impatto sociale.
      La scelta, a mio avviso, non sta tra un “sano sottosviluppo” o uno “sviluppo mortale”.
      Sta, semmai, nel mettere a partito l’esperienza ( e gli errori) del passato per costruire scenari nuovi.
      Uno dei limiti dell’azione umana ( principalmente della politica) è quello di non sapere traguardare oltre l’oggi; di non avere il senso storico del passato come parte prodromica del “tutto”.
      Dunque si vive alla giornata.

      Sull’uso intelligente delle tecnologie sono assolutamente d’accordo.
      Cultura e senso della misura dovrebbero indurre ad un uso razionale , piuttosto che alla merceficazione consumistica di queste utility.

      P.S. sarà “stupido” ma io non ho mai posseduto uno smartphone.
      In compenso sono circondato da PC, tutti antidiluviani e rigorosamente funzionanti con piattaforme open source.

    • Da liberale politico convinto (scusatemi se mi ostino a utilizzare questa parola, che qui suona paradossale, ma credo sia la base di tutto) sono sostanzialmente d’accordo con quanto dici, a parte la frase “non possederne uno lo è altrettanto”. Dipende dalla propria visione della vita. Può essere stupido se la propria priorità è il successo lavorativo, che sempre più implica lo stare costantemente connessi con tutto ciò che succede; d’altro canto, se la propria priorità è un’esistenza serena, può essere stupido rendersene schiavi. Inoltre un appunto: sicuramente oggi possediamo i mezzi materiali per stare meglio rispetto al passato (sebbene viviamo in un ambiente meno salubre, ciò è per il momento compensato da una tecnologia, medica ma non sono, più avanzata), ma “stare meglio” non è una mera questione di mezzi. Si tratta della classica problematica delle preferenze adattive sollevata decenni fa da Elster: viviamo in una società all’eterna ricerca della novità, sospinta da uno spirito competitivo esasperato, che ci porta a “inseguire la felicità degli altri” attraverso l’imitazione dei loro stili di consumo (credo che l’antica analisi di Veblen sui consumi vistosi sia ancora in qualche modo attuale), così che la misura di questa felicità posticcia e agghindata diviene non già “quanto” possediamo ma “quanto in più possediamo”, rispetto agli altri e rispetto a prima. Naturalmente è una felicità stressata, agitata e precaria. L’articolo parlava di questa visione del mondo condivisa, e non voleva trattare le pur importantissime questioni politiche, economiche ed ecologiche collegate. In parte l’ho fatto in altri articoli. Questo voleva essere più un piccolo “manifesto della decrescita spirituale” 🙂

  7. L’affermazione “non possedere uno smartphone è stupido” è associata all’altrettanta stupidità di quanti cambiano smartphone continuamente. Mi dispiace per il commento lapidario di Giulio Manzoni. In sostanza volevo sottolineare che gli atteggiamenti estremi finiscono spesso per essere più fonte di disagio che di benessere e che in qualche modo relegano ai margini del sociale con tutto quello che ne consegue. Capita spesso di incontrare persone che vivono senza TV, non sanno cos’è la posta elettronica, non hanno uno smartphone, non posseggono un computer, sono spesso vegetariani estremi ossessionati dalla filiera, demonizzano i mezzi di trasporto privati, sciorinano analisi politiche complottiste. Nessun disprezzo nè per le persone nè per le loro scelte ma spesso quando si è costretti a lavorarci insieme è difficile trovare punti di contatto anche su argomenti che poco c’entrano con il loro stile di vita. Tutto qui, poi ognuna faccia come gli pare. Ineccepibile tutto quello che dice Raffaele Lazzari. In pratica semplificando al massimo, il problema non sta nel modello sociale ma nella distribuzione delle risorse. Ma attenzione però, la distribuzione delle risorse fa parte del modello sociale. Ogni società in ogni tempo è alla fine solo quello che è e non quello che potrebbe essere, quindi i modelli vanno giudicati per le loro conseguenze nella vita reale. Ringrazio Tabellini per avere avuto la pazienza di interloquire; niente da aggiungere, sono d’accordissimo. Non nego che non so chi sia Elster e sono molto curioso di scoprirlo.

  8. Federico il tuo articolo mi è piaciuto e ne ho apprezzato in particolare alcune intuizioni, prima fra tutte quella che dipinge la borghesia non più come una delle possibili classi sociali, ma come la “classe unica”. La visione della società da coatti che dipingi forse è un pò colorita, ma non è distante dalla realtà. Lo schermo televisivo sempre acceso mi ha ricordato le case del bel romanzo di Ray Bradbury, Fahrenheit 451, dove un’intera parete domestica era sostituita da uno schermo indottrinante sempre acceso. Pensa che Bradbury l’ha scritto nel 1953 ! Tu parli alla fine della decrescita come filosofia di liberazione. Su questo non sono d’accordo, nel senso che non mi basta. Credo che la decrescita debba farsi movimento politico e provare a diventare soggetto attivo della storia. Sono un pò stanco di constatare come la decrescita venga usata e derisa da economisti che neanche si sforzano di comprenderla o usata strumentalmente da politici solo quando porta l’acqua al loro mulino. Su questo sto scrivendo qualcosa, spero presto on line su questo sito

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