Recessione!

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Uno spettro si aggira per l’Europa, ma non è il Comunismo, è la Recessione!

Qui da noi in Italia, la Recessione verrà formalmente dichiarata a breve, quando si conosceranno i dati economici relativi all’ultimo trimestre 2018. Se il PIL, come è probabile, risulterà in calo per il secondo trimestre consecutivo, saremo, secondo criteri largamente condivisi dalla maggior parte degli economisti, in recessione tecnica, il che contribuirà ad alimentare fosche previsioni e nubi che già si addensano sulle sorti economiche del Bel Paese per l’anno 2019.

Già in altre occasioni ho avuto modo di sottolineare come il sistema economico a cui facciamo riferimento si basa su una crescita costante del Prodotto Interno Lordo. Ora non voglio nemmeno entrare nel dettaglio di come viene misurato il PIL (invece farlo sarebbe molto istruttivo …) e mi limito a prendere atto che tutto il credo economico su cui i governi dell’Europa e del mondo impostano scelte e decisioni si fonda su una crescita continua. “Bisogna far ripartire la crescita !”, “purtroppo l’Italia sta crescendo molto meno degli altri paesi europei”, “Senza una ripartenza della crescita non avremo possibilità di contrastare la disoccupazione e la povertà”. Queste sono alcune delle frasi che hanno invaso le colonne dei quotidiani, l’informazione sul Web, i più quotati programmi televisivi di tutte le reti. Insomma la verità universalmente accettata  è che se non riprenderemo a crescere saremo spacciati. Il fatto poi che,stando agli ultimi rilevamenti, pare che anche gli altri stati europei non se la passino molto meglio, non cambia di molto la questione. L’esigenza di crescere era e rimane un must di tutto l’occidente e di tutte le economie dei paesi sviluppati. Quelli sottosviluppati di Asia, Africa e America Latina non cascano per ora sotto questo imperativo, perché crescere e incrementare i consumi è quasi un fatto endemico quando si parte dal sottosviluppo; che poi, a beneficiare di questa crescita e ad elevare il livello dei consum,i sia solo una minoranza della popolazione, magari gettando la stragrande maggioranza  in una povertà e in una precarietà peggiore del passato, è un fatto che non ha rilevanza statistica. Vale la regola del pollo, se io ne mangio uno e tu nessuno è come se ne mangiassimo mezzo a testa.

Non voglio minimizzare, né negare gli effetti negativi che una recessione comporta. Ad esempio è innegabile che in una fase recessiva di lungo periodo si perdano posti di lavoro, perché le imprese (piccole, medie e grandi ) di fronte ad un calo del fatturato, anche solo previsionale, non assumono, anzi forse perfino licenziano. Però, mi pare doveroso mettere sul piatto della bilancia anche che in fase recessiva il costo dei beni tendenzialmente cala o quanto meno non cresce, ovvero che non ci può essere inflazione, semmai il contrario, cioè l’offerta di beni e servizi avviene a prezzi particolarmente convenienti,  proprio per fronteggiare un calo della domanda. Qualcuno ha mai sottolineato che chi ha pochi danari in tasca trae giovamento da una fase recessiva, riuscendo a fare la spesa senza svenarsi?

Ma la vera questione è un’altra, molto sottile e, per essere capita, c’è bisogno di fare un reset drastico dei dogmi economici che regolano la nostra vita e di porci di fronte agli scenari che vanno per la maggiore con gli stessi occhi stupiti e increduli con cui potrebbe guardarli un extraterrestre venuto da un’altra galassia.

Facciamo un esempio terra terra. Nostro figlio (o il nostro cane, o il nostro gatto) era un po’ deperito, sottopeso, sciupato. Allora l’abbiamo nutrito fino a vederlo in buona salute e sufficientemente robusto. Poi però ci dicono, anzi quasi ci impongono, di continuare a rimpinzarlo di cibo, ed ecco che ci diventa prima sovrappeso e poi perfino obeso. Sicuramente, continuando a sovralimentarlo non facciamo il suo bene, anzi a quel punto probabilmente smetteremo di rimpinzarlo e ci limiteremo a tenerlo in salute e nel peso forma.

Ora fate conto che nei paesi sviluppati dell’occidente esiste una parte della popolazione che ha raggiunto da tempo il peso forma (tradotto vuol dire che ha già tutto quello che occorre per una vita dignitosa), che però viene indotta a consumare anche quello di cui non avrebbe assolutamente bisogno: auto nuova, ampliamento del guardaroba, cellulare di ultima generazione, vacanze in resort prestigiosi, ecc. ecc.. Sul piano del danno ambientale questa abbuffata di consumi si traduce in un aumento esponenziale della pollution (inquinamento antropico dell’ambiente), che comporta la necessità di costosi e spesso tossici impianti di smaltimento (niente paura, anch’essi contribuiscono alla crescita del PIL !). Il problema è che, nella logica del sistema economico che governa il mondo, quello che si potrebbe e si dovrebbe fare per mantenere il “peso forma” non ha nessun valore. Non si pensa a tutte quelle forme di investimento, spesa pubblica e spesa privata, rivolte alla conservazione, alla manutenzione, al riciclaggio. Contano solo i livelli dei consumi, meglio se consumi di nuovi beni, meglio se consumi di beni superflui. All’eliminazione del packaging si risponde con un aumento degli imballaggi, alla drastica riduzione della plastica si risponde con la moltiplicazione dei vassoi di polistirolo, alla promozione di un’alimentazione sobria e basata sul consumo di prodotti a km zero si risponde con l’offerta continua di prodotti completamente al di fuori del normale ciclo biologico. Tutto questo si fa per stimolare consumi crescenti, sia di quello che ci serve, sia soprattutto di quello che non ci serve.Però, a volte la propaganda non basta. Quando le conseguenze delle scelte economiche di fondo (liberismo sfrenato, anteposizione delle esigenze della finanza a quelle dell’economia reale) arrivano alle inevitabili conseguenze e l’occidente sviluppato, di cui l’Italia fa parte, si ritrova con un una popolazione al 90% impoverita a fronte di un 10% che si è oltremodo arricchito (sono stime generose…) i nodi vengono al pettine. I consumi rallentano, il PIL cala, la Recessione bussa alle porte.

Permettetemi una parentesi cinica. I poveri, i diseredati, coloro che non hanno nulla da perdere, non hanno nulla da temere dalla recessione. Non può assolutamente incidere sulle loro vite già disastrate. I benestanti (il 10% di cui sopra) nemmeno. Hanno scorte e risorse per resistere all’infinito e continuare a prosperare.

Ma in mezzo, purtroppo, c’è una bella fetta di gente che va dal piccolo imprenditore, al piccolo dirigente, all’impiegato di banca, al commerciante, all’artigiano, all’operaio, ai lavoratori a tempo determinato, agli studenti, agli statali, agli ambulanti e così via, che starà peggio e che con ogni probabilità vedrà a rischio la possibilità di rimanere aggrappata ad una vita dignitosa. Questa grande porzione di umanità ha tutto il diritto di pretendere che dalla Recessione si esca in fretta, possibilmente con ricette diverse da quelle adoperate in passato e con prospettive di lungo periodo diverse.

Qui vorrei collegarmi ad un argomento di grande attualità su cui il dibattito politico spinge forte: le Grandi Opere viste come panacea contro la Recessione e fra queste la Grande Opera per eccellenza, il TAV Torino-Lione. Voglio subito tranquillizzare i lettori, non farò qui l’ennesimo resoconto NO TAV. Non ce n’è bisogno. Stiamo parlando della più inutile delle Grandi Opere, della quale si è cominciato a parlare nel 1990 senza che fin’ora sia stato scavato un solo metro di tunnel, ma solo qualche risibile piccola galleria di ispezione. Stiamo parlando di un’alta velocità destinata alle merci, non alle persone, pensata in previsione di un traffico merci da Lione verso Torino e viceversa che all’epoca avevano previsto in crescita e che invece è andato continuamente calando, nonostante una linea ferroviaria già esistente, assolutamente idonea al trasporto di grandi container e ampiamente sottoutilizzata. Su questo, ve ne prego, non prendete per buone le mie parole, documentatevi da soli attingendo alle fonti che riterrete più qualificate, io non voglio inserire qui nessun link tra i tanti che potrei indicare. Faccio eccezione solo per le parole scritte recentemente da un uomo che ammiro e che per la sua militanza NO TAV ha rischiato di persona. Parlo dello scrittore Erri De Luca, che recentemente sul TAV ha pubblicato un post che vale la pena di leggere, lo trovate qui https://www.facebook.com/erri.deluca/posts/2074756705897133

Tutti coloro che sostengono l’opportunità di portare a termine (sic!) quest’opera ne sottolineano il ritorno che avrebbe sull’occupazione e sulla ripresa economica. Ma se questo è vero, non sarebbe preferibile che l’effetto positivo si verificasse se la spesa pubblica per il TAV venisse dirottata sul potenziamento delle migliaia di km di linee ferroviarie periferiche già esistenti e utilissime per i collegamenti tra provincia e grandi città, linee sulle quali attualmente gli utenti viaggiano spesso con grandi disagi e con tempi di percorrenza troppo lunghi? Si dice che, in futuro, nel lavoro la mobilità sarà una caratteristica importante e ineliminabile. Bene, allora rendiamola il più agevole possibile.

Ho parlato di potenziamento dell’attuale rete ferroviaria, ma potrei dire lo stesso di quella stradale, o della necessaria ristrutturazione di scuole ed ospedali, o della messa in sicurezza di fiumi, ponti, dighe. Sono tutti campi per i quali l’imprenditoria pubblica potrebbe esercitare una funzione assolutamente necessaria, trovando probabilmente in alcuni casi anche l’affiancamento con l’imprenditoria privata.

La Recessione, questo spettro che si aggira per l’Europa, non deve far paura in sé, quello che spaventa veramente è l’ottusità delle vecchie ricette, la miopia di volerla contrastare senza un progetto di cambiamento radicale, senza ripensare al modo in cui vogliamo riorganizzare la società e il nostro futuro.

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Avevo 60 anni quando ho cominciato a collaborare a questo blog, ora qualcuno in più. Mi occupo prevalentemente di musica, ma anche di informatica e di grafica web. La mia è una formazione umanistica (liceo classico, Scienze Politiche, Sociologia). Ho collaborato a lungo all'informazione e alla produzione di trasmissioni cultural-musicali di una nota emittente bolognese. Conosco il pensiero e le opere di Serge Latouche ed ho cominciato ad interessarmi con passione e continuità ai temi della decrescita dopo la lettura di "Entropia" di Jeremy Rifkin (10 anni fa). Vorrei contribuire, nel mio piccolo, ad arricchire queste tematiche e a dare una speranza soprattutto alle nuove generazioni.

2 Commenti

  1. Danilo, hai scritto “Ma la vera questione è un’altra, molto sottile e, per essere capita, c’è bisogno di fare un reset drastico dei dogmi economici che regolano la nostra vita e di porci di fronte agli scenari che vanno per la maggiore con gli stessi occhi stupiti e increduli con cui potrebbe guardarli un extraterrestre venuto da un’altra galassia.”
    Dici bene, bisogna superare i modelli che, elaborati molte migliaia di anni fa, determinano le nostre idee e i nostri comportamenti.
    Ma come fare?
    Ogni tanto mi capita di rileggere un piccolo saggio di Donella Meadows che trovo molto interessante al riguardo e che ti consiglio di leggere (al link https://ugobardi.blogspot.com/2012/11/punti-di-leva-dove-intervenire-in-un_25.html )
    Ciao Armando

  2. Grazie Armando del commento e del suggerimento. Riguardo ai modelli di cui parli personalmente credo che siano nati in epoca molto più recente, col capitalismo, con le economie di mercato e col liberismo. Sono questi i modelli economici che esigono una crescita costante, ma leggerò con interesse il saggio di Dnella Meadows.

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