Rampini e l’apartheid energetico

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Il noto giornalista Federico Rampini ha scritto sul Corriere un articolo volto a denigrare i “catastrofisti del clima” e i “sostenitori dell’utopia crudele della decrescita”, il quale è stato sottoposto a un preciso e rigoroso debunking da Associazione per la decrescita, a cui rimando. Ringraziando sentitamente per avermi risparmiato il lavoro, desidero concentrarmi sulla struttura argomentativa delle tesi di Rampini, in quanto tipica della polemica contro decrescita e limiti dello sviluppo.

Omissione di gravità ed entità del problema. Per evitare le conseguenze probabilmente irreversibili e catastrofiche, la climatologia ci avverte da tempo sulla necessità di contenere l’aumento della temperatura media della Terra entro i 2°C; allo stato attuale, questi sono i trend delle emissioni necessari per evitare il peggio:

Fonte: Carbon Budget

Un quadro impietoso che non lascia molte alternative: o una drastica e immediata decrescita o, volendo mantenere il business as usual, la rapida implementazione di una tecnologia capace di un decoupling assoluto, cioè di aumentare la crescita economica assicurando parallelamente una diminuzione dell’impatto ambientale.

Pseudoconfutazione ad minkiam. Siccome la tecnologia non è fantascienza e ci permette al più decoupling relativi (l’incremento del PIL comporta comunque un aumento di emissioni, benché a un tasso più ridotto), occorre confondere le acque. Rampini pensa di riuscirci accostando la questione del buco dell’ozono al riscaldamento globale. In realtà, si tratta del paragone peggiore per convalidare i suoi assunti, in quanto l’approccio nei due casi è stato completamente differente: dopo l’entrata in vigore del protocollo di Montreal contro l’uso dei CFC (1989), il loro impiego ha subito un rapido tracollo. Dalla prima conferenza COP sul clima del 1995, invece, sono seguite solo belle parole e l’inazione più totale riguardo alle emissioni di CO2, aumentate esponenzialmente nel corso degli anni.

Ed ecco la ciliegina sulla torta di questa retorica falsa e nauseabonda: “Però la certezza con cui venivano agitati gli scenari da fine del mondo dovrebbe farci riflettere sugli invasati odierni dell’Apocalisse: cambiano le profezie, nessuno fa mai autocritica per quelle che non si sono realizzate, non cambia mai il tono religioso e la presunzione di superiorità morale con cui i catastrofisti arringano il mondo”. Quali sarebbero queste “profezie non realizzate”? Rampini non lo dice, se non altro ci ha risparmiato le solite balle intorno alla fallacia de I limiti dello sviluppo, diamogliene atto. Tra l’altro, con buona pace di leggende metropolitane e disinformazione varia, i modelli climatici storicamente hanno mostrato un ottimo grado di affidabilità (a differenza di troppe vedette del giornalismo).

Il virtuoso vizioso. Le opinioni di Rampini diventano ancora più farsesche quando, dopo aver elogiato gli USA per aver aumentato le emissioni nel 2022 ‘solo’ dell’1,3% a fronte di un tasso di crescita del PIL maggiore, bacchetta la Germania rea a di aver fatto troppo affidamento sul gas russo e costretta ancora a ricorrere al carbone. Malgrado la Germania sia ancora ben lontana dalla sostenibilità, un cittadino medio tedesco emette quasi la metà di uno statunitense. Anche volendo ragionare secondo i metri di giudizio canonici e non quelli ‘crudeli’ della decrescita, non esistono giustificazioni accampabili, dal momento che l’indice di sviluppo umano della Germania è invece superiore a quello USA.

Adottando il ‘german way of life’ (operazione che non dovrebbe risultare troppo complessa per quella che, malgrado tutto, è ancora la nazione leader nello sviluppo tecnologico nonché una delle economie più avanzate), la popolazione statunitense vivrebbe meglio emettendo il 45% circa in meno di gas serra (pari a più del 7% di quelle globali). Insomma, invece di denunciare questo scandalo, Rampini lo presenta come un fatto positivo e addirittura da emulare.

La retorica del ‘noi’ e la filantropia degli sfruttatori. Scrive Rampini:

“Noi continuiamo e continueremo a consumare acciaio, alluminio, cemento, carta, plastica, fertilizzanti e altri prodotti chimici, ma pretendiamo che non vengano fabbricati nel cortile di casa nostra e quindi li importiamo da paesi emergenti. I quali devono continuare a consumare carbone, e in quantità crescenti.

Tendenzialmente bisogna diffidare della retorica del ‘noi’, perché troppo spesso impiegata per strumentalizzazioni ad hoc. Qui ad esempio si lascia intendere che i processi di delocalizzazione produttiva siano l’esito di una manifesta volontà popolare, mentre mi risulta che il neoliberismo sia stato una politica concepita all’interno di ristrette élite, tra cui alcuni dei datori di lavoro di Rampini (e del successivamente nominato Chicco Testa).

“Più in generale, la via d’uscita dalla miseria non può essere affidata a una utopica “scorciatoia” con zero emissioni carboniche. In questo momento io vi scrivo dalla seconda città più popolosa dell’Africa, il Cairo: dieci milioni di abitanti, che arrivano a venti per la sua area metropolitana. È una megalopoli ancora piena di poveri, con alti tassi di disoccupazione giovanile, una polveriera sociale tenuta sotto controllo solo da una dittatura militare”.

L’Egitto, il nord Africa e tutte le zone del pianeta che stanno subendo sulla loro pelle i peggiori effetti del global warming possono invece permettersi una loro ulteriore esacerbazione dovuta al mancato rispetto delle prescrizioni dei climatologi? (qui per maggiori dettagli, da parte di una fonte non certo sospettabile di collusioni con i movimenti per la decrescita). Come spesso capita in questo tipo di polemiche, la questione ambientale viene sminuita a una sorta di problema estetico: è grave ma non serio, per dirla alla Flaiano, se lo si trascura alla fine non succede poi nulla di grave.

Come dice Chicco Testa, «pensare di alimentare città di queste dimensioni con relative fabbriche usando energia intermittente e poco densa è una follia che solo la ZTL del mondo (l’Europa) può concepire»…. Il Sud del pianeta ha bisogno di soluzioni pragmatiche, praticabili, a costi contenuti: un mix che per molto tempo ancora dovrà prevedere consumi di energie fossili a fianco di quelle rinnovabili, nucleare, idroelettrico“.

Le tesi di Testa e Rampini mi hanno riportato alla mente Daniel François Malan, nazionalista afrikaner primo ministro del Sud Africa nel periodo 1948-1954 e iniziatore della politica di segregazione razionale, a suo giudizio fondamentale per il benessere della popolazione nera:

“L’apartheid non è quella caricatura sotto la quale lo si rappresenta. Ma al contrario, esso significa per i non-Bianchi una ampia indipendenza, poiché abitua a contare su loro stessi e a sviluppare la loro dignità personale. L’apartheid offre loro, allo stesso tempo, una maggiore possibilità di svilupparsi liberamente, conformemente al loro carattere e alle loro capacità […] Per le due razze, ciò significa mutue relazioni pacifiche e la cooperazione in vista della prosperità comune. Il governo si impegnerà, con risolutezza e determinazione, a portare alla realizzazione di questo felice stato di cose“.

Mutatis mutandis, rivedo la medesima retorica in azione. I popoli del Sud del mondo devono accollarsi ancora le fossili, permettendo alle ‘ZTL del mondo’ di perpetuare un business agonizzante e di rifornirsi delle ultime zone di ‘natura a buon mercato’ ancora disponibili in Africa e poche altre zone del pianeta. Ma tutto questo per il loro bene, ci mancherebbe…

Per chiudere, la struttura classica dell’argomentazione anti-decrescita si basa su decontestualizzazione dei problemi, paragoni inconsistenti, leggende metropolitane (le profezie non avverate dei ‘catastrofisti), moralismo e retorica d’accatto per edulcorare idee poco nobili. Che dire di Rampini: citando Jerome Klapka Jerome, “dire la verità è sempre la politica migliore a meno che ovviamente tu non sia un ottimo bugiardo”. E Rampini ha indubbiamente del talento.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

1 commento

  1. Ottimo e condivisibile in toto, certamente da me. Già da tempo tutte le volte che ho sentito parlare Rampini su vari argomenti (ad es. conflitto in Ucraina, politiche sanitarie antipandemiche, analisi politiche sui contrasti in America tra democratici e repubblicani) ho sempre avuto la sensazione di ascoltare un partigiano neoliberista al servizio del partito democratico americano, e quindi anche di quello italiano, che approfittando della sua immeritata fama di “grande giornalista” esperto di cose americane pretende di spiegare a noi poveri ignoranti di provincia come va il mondo… Il guaio è che lui scrive sul Corriere e va ospite nelle principali televisioni mainstream e noi invece scriviamo su DFSN…

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