Per un’economia stazionaria e armonica, del ripristino ecologico e dell’interessenza

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Un periodo di transizione particolarmente significativo, questo che l’umanità sta attraversando proprio nell’imminenza del summit “Rio+20”, in cui si farà il punto su un ventennio di tentata assimilazione e applicazione del concetto di sostenibilità ecologica.

Mai forse come in questi giorni si sta ritornando a bramare una crescita economica tout court che, al punto in cui siamo, rischia di diventare l’ultimo giro di giostra per un pianeta Terra molto vicino al collasso ecologico.

Varrebbe quindi la pena fermarsi e …respirare. Quindi meditare, su come si potrebbe rilanciare e proseguire la progettazione e la costruzione di una nuova economia ecologica che, seppur in modo frammentario si sta già manifestando e consolidando in una molteplicità di esperienze virtuose praticate in tutto il mondo.

Ciò naturalmente nonostante gli innumerevoli sabotaggi di chi, per motivi ideologici o di rendita si impegna pervicacemente da un lato per mantenere e incrementare le concentrazioni di capitali e di poteri e dall’altro per sfruttare ad oltranza, in modo intensivo e dissipativo le risorse naturali, captando mediaticamente la complicità delle moltitudini, il cui immaginario è colonizzato e tenuto in ostaggio dall’illusione consumistica.

Se, come dice Marc Augé, il globale è la composizione delle pulsazioni dei locali, occorrerà intensificare il lavoro sui territori per affermare, ciascuno nel luogo che abita, il nuovo modello di prosperità senza crescita (1), ovvero un tessuto economico di prossimità che si attesti su un proprio stato di equilibrio stazionario (2), senza intaccare il capitale naturale (3) anzi, cercando a mano a mano di rigenerarlo, affinando la nostra capacità di interpretazione e ascolto delle leggi di natura, e collaborando con essa per ripristinare i servizi ecosistemici (4).

Sarà quindi nostra costante tensione quella di chiederci: “come fare per sostituire ogni attività impattante ed insostenibile con una che possa essere più utile agli esseri umani e che, al contempo, abbia una ricaduta positiva anche sugli ecosistemi?

Certo che le attività impattanti solo inutili e dannose andranno abbandonate senza alcun rimpianto, e quella nicchia occupazionale andrà riconvertita, utilizzando sempre approcci partecipativi, con nuovi mestieri, od antichi mestieri da ripristinare e, se necessario, riaggiornare.

Poi, la grande opportunità della comunicazione in tempo reale, per scambiarsi globalmente gli esiti delle sperimentazioni e per poter declinare nelle singole specificità territoriali le idee universali.

Eccoci così al globale che pulsa come sommatoria dei locali.

Ad esempio, si potrebbe cominciare a mettere in pratica lo slogan “stop al consumo di suolo” ed avviare esperienze pilota per affidare a gruppi di lavoratori rimasti disoccupati il ripristino ecologico di aree cementificate dismesse, con “accordi di programma a rovescio” che ritrasformino le aree urbanizzate in aree rurali, restituendo bioproduttività ai suoli e favorendo il più possibile il reinsediamento delle forme di vita selvatica indigene, andando così a migliorare lo status ambientale di quella che magari, prima di ospitare capannoni industriali, era un’area agricola coltivata intensivamente.

E poi sognare nuove città giardino, trasformando gli interstizi urbani in orti botanici diffusi e coniugando così la gioia di vivere in ambienti più belli e vitali con una grande operazione di soccorso della biodiversità vegetale minacciata a causa della frammentazione degli habitat, dell’uso della chimica, dell’avanzata di specie aliene.

Pensiamo a come potrebbe diventare interessante, anche dal punto di vista culturale, passeggiare in spazi urbani impreziositi da fioriture spontanee, ove si trova in ogni angolo la possibilità di conoscere le caratteristiche di una pianta diversa, opportunamente segnalata e illustrata, e quanto lavoro si procurerebbe a quei giardinieri oggi impiegati per lo più in operazioni di potatura invasiva, abbattimenti, sfalci e rimozione delle foglie secche, che sarebbe invece così utile lasciar decomporre per ricostituire il suolo.

Due piccoli e banali esempi, per dimostrare come, con un po’ di fantasia, di capacità di integrare conoscenze e competenze già abbondantemente disponibili e di consapevolezza dell’interessenza, dell’essere uno con il Pianeta Terra, si possa oggi veleggiare verso il futuro sostenibile.

Purtroppo, l’abitudine a considerarci separati dalla rete della vita ci induce troppo spesso a usare le tecnologie contro gli altri esseri viventi, laddove dovremmo solo rispettarli e collaborare con essi. Ci comportiamo così come cellule impazzite, che rischiano di far morire il grande organismo Terra.

Possiamo, e dobbiamo cercare di diventare buone cellule e offrire il nostro aiuto alle altre forme di vita, facendo ritornare l’armonia. Solo così potremo porre le condizioni per ricostruire comunità coese, che sanno respirare e pensare globalmente e consegnare ai posteri luoghi migliori di come li hanno ereditati. #

  1. – Tim Jackson, “Prosperità senza crescita” – 2011

  2. – Herman Daly – “Lo stato stazionario” – 1981

  3. Wackernagel, Rees – “L’impronta ecologica” – 1996, rev. 2008

  4. Living Planet Report 2012

    http://awsassets.panda.org/downloads/2_lpr_2012_online_single_pages_version2_final_120516.pdf

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