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Dalla controinformazione al mainstream alternativo
Il fatto stesso che alla parola ‘informazione’ si accostino termini quali ‘mainstream’, ‘ufficiale’, ‘alternativa’, ‘contro’ (utilizzerò spesso queste etichette per mera comodità di comprensione), indica di per sé l’esistenza di un problema di fondo.
Esso è di vecchia data ed è legato alle commistioni con interessi politici ed economici che hanno progressivamente eroso i margini di indipendenza dei giornalisti, abbassando gli standard qualitativi e mortificando la deontologia professionale: le analisi critiche di Noam Chomsky ed Edward Herman ne La fabbrica del consenso o di Marco Travaglio ne La scomparsa dei fatti, per citare due opere celebri, restano più che mai attuali.
Il concetto di informazione alternativa/controinformazione nasce intorno agli anni Sessanta, su sollecitazione di ampi settori della società civile desiderosi di portare alla luce fatti e punti di vista pressoché ignorati. Ma è stato l’avvento di Internet a sparigliare le carte in tavola, in quanto strumento relativamente a basso costo ma dalle enormi potenzialità, con cui è diventato possibile contrastare il dominio di TV e giornali.
“Don’t hate the media, become a media!” era il celebre slogan del network Independent Media Center (Indymedia), vero e proprio organo di stampa del movimento no global, basato sull’idea allora rivoluzionaria e poi presto imitata di creare forme di giornalismo partecipativo, capaci di abolire la rigida distinzione tra comuni cittadini e operatori dell’informazione.
Le reazione, orchestrata congiuntamente da un potere abituato ad anni di informazione addomesticata e da una corporazione timorosa di perdere il suo status privilegiato, non si fece attendere e consistette in misure censorie dirette e indirette, dai sequestri dei server dei soggetti ‘pericolosi’ fino alle proposte di legge volte ad equiparare i siti Web alle testate giornalistiche, con tutti gli oneri burocratici del caso.
L’epoca di Internet medium ‘ribelle’ inviso all’apparato massmediatico tradizionale è durata relativamente poco, perché il grande business in breve tempo ha colonizzato massicciamente la Rete, imponendo molte delle sue logiche. Da una parte, i ritrovati tecnici hanno reso il Web sempre più interattivo e facile da usare, dall’altra è stato gradualmente contaminato da logiche di fruizione di tipo televisivo, dove gli utenti vengono incoraggiati a rimanere spettatori passivi.
Attualmente, i pionieri dell’informazione alternativa sono per lo più scomparsi o si sono notevolmente ridimensionati, mentre sono spuntati come funghi tanti ‘professionisti della controinformazione’ (per fare il verso a Sciascia) che, rispetto agli improvvisati dilettanti delle origini, non solo curano molto di più le strategie di comunicazione, ma possono persino progettare dei business plan sfruttando le opportunità di guadagno che i gestori delle piattaforme telematiche (YouTube, Twitch, Globalist, WordPress, ecc) offrono ai creatori di contenuti; a questi introiti si aggiungono quelli provenienti dalle donazioni, agevolate rispetto al passato da servizi on line quali Pay Pal e Patreon.
Ovviamente, ben venga se oggi è possibile costruirsi una prospettiva un po’ più solida rispetto alla precarietà totale delle origini, ma non è tutto rose e fiori. In molti casi, si finisce per dipendere dai mezzi forniti da aziende multinazionali (YouTube e Adsense appartengono a Google, Twitch è di proprietà di Amazon, ad esempio), che impongono condizioni abbastanza arbitrarie sulla pubblicazione e la monetizzazione dei contenuti.
Inoltre, per quanto le forme di remunerazione possano assomigliare ai classici metodi di autosostentamento (pagamento del prezzo di copertina di un giornale, abbonamenti, inserzioni pubblicitarie), bisogna tenere conto delle peculiarità del nuovo contesto digitale, che tendono a esasperare problemi già presenti nei vecchi mass media.
Il sensazionalismo, ad esempio, regna sovrano da ben prima di Internet, tuttavia, il Web lo ha portato al parossismo perché ha amplificato a dismisura le possibilità di trarne vantaggio, sfruttando modalità paradossali come il cosiddetto hate watching. Nessuno, infatti, comprerebbe un giornale sapendo che la lettura degli articoli pubblicati finirebbe per infastidirlo; allo stesso modo, difficilmente qualcuno si mette davanti al televisore per assistere a un programma sgradito, al solo scopo di inveire contro lo schermo. Nel contesto comunicativo bidirezionale della Rete, invece, utilizzare gli strumenti di interazione per flammare e trollare è la norma, tuttavia critiche, offese e dislike costituiscono visualizzazioni monetizzate al pari di elogi e ‘mi piace’.
Il creatore di contenuti è perciò incitato a speculare sul peggior clickbait, radicalizzando e polarizzando le posizioni al fine di crearsi un folto pubblico di seguaci ma anche di hater, con questi ultimi talvolta più utili in termini di visibilità. Considerando che su YouTube si racimolano più o meno $2 ogni mille visualizzazioni e sui blog mediamente $0,5-1,5 ogni click a seconda del volume di traffico generato, è facile immaginare quanto possa essere indotto in tentazione chi voglia costruirsi una carriera on line.
Le dinamiche appena descritte hanno favorito la progressiva trasformazione della controinformazione in quello che chiamo mainstream alternativo, fenomeno dove si cavalcano i temi di tendenza caratterizzandosi però specularmente rispetto alle posizioni dell’informazione ufficiale, facendo leva anche sulla sfiducia generalizzata nei confronti dei giornalisti tradizionali.
Così facendo, si finisce spesso per banalizzare ogni questione in termini di ‘pro o contro’ oppure per inscenare polemiche irragionevoli, creando così terreno fertile per superficialità e fake news. Vengono promossi l’obbligo vaccinale e il nuovo standard 5g? Allora spazio ai no-vax e ai stop 5g. Burioni è ospite fisso a Che tempo che fa? Allora lasciamo la scena alle nemesi Stefano Montanari e Giulio Tarro. Filo-europeismo e russofobia sono gli atteggiamenti più diffusi su TV e giornali? Prendiamo il verbo da sovranisti e russofili. Si auspica un vaccino contro il Coronavirus? Contrapponiamogli la cura sierologica… Emblematico il destino del global warming: un tema ‘alternativo’ finché bellamente ignorato dalla gente che conta, sempre più percepito come mainstream (e quindi falso) da quando qualcuno nell’élite si è accorto del disastro incombente con almeno una trentina d’anni di ritardo.
Il mainstream alternativo si regge sostanzialmente su due assiomi:
- il carattere ‘politicamente scorretto’ di una notizia è di per sé garanzia di credibilità;
- è doveroso presentare una vasta gamma di punti di vista differenti, affinché ognuno possa poi decidere liberamente a chi credere, scegliendo tra un ampio ventaglio di opzioni possibili.
Il primo punto sarebbe di un’idiozia tale da non meritare commenti, se non fosse che ‘differenziarsi dal pensiero dominante’ è diventata una strategia di marketing della comunicazione del tutto aliena dalla promozione del pluralismo o dell’apertura mentale. L’attuale pandemia ha dimostrato come tanti scienziati e medici sconosciuti o finiti nel dimenticatoio siano saliti alla ribalta mediatica per il solo merito di esprimere opinioni eterodosse; si potrebbero portare tantissimi altri esempi simili dove lo ‘scettico’-‘eretico’-negazionista si è imposto sulla scena unicamente per la sua eccentricità (gli ‘scettici’ del cambiamento climatico di origine antropica, benché sempre confutati, destano regolarmente molto più scalpore degli studiosi affidabili).
Per inciso, pur essendo innegabili gli interessi gravitanti intorno al mainstream e la sua tendenza a una raffigurazione deformata e strumentale dei fatti, è del tutto fuorviante pensare che ciò significhi e sempre e comunque una falsificazione della realtà; in certi casi, anzi, potrebbe essere conveniente far venire a galla la verità. Basti ricordare come, durante le guerre in Vietnam e Iraq, alcuni settori dei poteri forti sicuramente non tacciabili di pacifismo, ma stufi delle ripercussioni negative (soprattutto economiche) dei conflitti, abbiano sicuramente favorito la diffusione capillare di notizie compromettenti (nonché vere) ai danni dello stato maggiore della difesa e dei governanti del momento. Per la stessa ragione, Chomsky ha sempre consigliato di seguire con attenzione la stampa economica che, essendo pensata per membri dell’élite e non per le masse, è meno probabile che sia tarata da intenti propagandistici.
Il secondo punto è solo apparentemente ragionevole e confonde il giornalismo, ossia ‘fare informazione’, con il ‘diffondere informazione’, cioé il puro e semplice spamming. Di fatto, nell’era dell’Internet di massa e dei social network, chiunque può facilmente ‘ascoltare campane differenti’ o scegliersi le verità preferite senza particolari aiuti esterni; ma, soprattutto, siamo sicuri che il modo migliore per rendere più consapevole un pubblico già sovraccaricato dal bombardamento mediatico mainstream sia quello di somministrargli pure narrazioni preconfezionate di segno opposto?
Ci sono buone ragioni per dubitarne. E’ assai probabile che il pubblico, sperduto nell’oceano di informazioni contrastanti pro-contro, alla maniera di un natante senza bussola sprofondi nella confusione più totale, andando a tentoni e affidandosi per lo più a conoscenze pregresse, intuito e pregiudizi (guarda caso, lo stesso comportamento che avrebbe attuato in assenza di informazioni), magari selezionando alcune fonti ed elevandole a vere e proprie auctoritas (ossia l’antitesi di qualsiasi autentico pensiero critico).
Estratto di un commento molto rivelatorio trovato su Facebook
Da qui possiamo capire quale fine dovrebbe proporsi un’informazione realmente alternativa al mainstream: recuperare la missione del giornalismo delle origini poi progressivamente snaturata, senza proporre nuovi idoli e dogmi da venerare al posto di quelli ‘ufficiali’, bensì fornendo gli strumenti culturali e cognitivi per aiutare il lettore-spettatore-utente del Web a orientarsi nella complessità del mondo reale, in modo che possa farsene un quadro inevitabilmente approssimativo ma di certo più realistico di quello di cui sarebbe capace con le sue sole forze intellettuali o, peggio ancora, facendosi indottrinare da chicchessia.
Tale giornalismo non sostituisce un’ideologia con un’altra e non applica strategie da tifoseria calcistica, ma decostruisce la retorica di ogni forma di potere e propaganda. Non cerca un esperto da contrapporre tout court a quello ostentato in televisione, però chiarisce quando uno studioso e una ricerca possono essere ritenuti attendibili. Non scade nel complottismo, ma individua le situazioni di conflitto di interessi. Non si arroga competenze che non possiede, tuttavia si sente in pieno diritto di esprimere riflessioni argomentate sull’invadenza dell’espertocrazia, sulla medicalizzazione della società, sulla pervasività della tecnologia sul mondo vissuto. Non cavalca l’agenda setting imperante ma prova a scardinarlo; e non si fa certo problemi a esporre ipotesi non ortodosse, ma a ragion veduta e non solo per differenziarsi a ogni costo.
Ciò non comporta affatto un impossibile sforzo di neutralità e la rinuncia all’opinione, perché qualsiasi punto di vista per definizione è ‘di parte’: significa però, questo sì, subordinare qualsiasi logica di fazione alla missione giornalistica, ossia ricostruire la verità dei fatti o quantomeno la cosa più simile a questa che si riesca ad abbozzare.
Tale impegno, però, richiede onestà intellettuale e il coraggio, quando necessario, di smentire i preconcetti del proprio pubblico di riferimento e di deluderne le aspettative, compito arduo nell’epoca in cui la polarizzazione della posizioni all’insegna del ‘noi vs loro’ rende tanto bene in termini di visibilità (e guadagni) e in cui la gente, abituata alla prassi dei social network, non riesce neppure a sopportare la vista di contenuti non del tutto allineati con le proprie visioni.
Fonte immagine in evidenza: Due Facce, arcinemico di Batman nei fumetti DC Comics.
Sul pensiero unico o mainstream
Continua – https://www.stralci.info/home/pensiero-unico/
Pensiero unico loc. s.le m.
Omologazione, assenza di differenziazione nell’ambito delle concezioni e delle idee politiche, economiche e sociali. E’ una tendenza prodotta dai mass media che influenza la società odierna indirizzandola verso comportamenti uniformati e di utilità per chi la propone.
Il consenso viene acquisito con manipolazioni subdole, in parvenza democratiche, che in assenza di obblighi o coercizione, è accettata ed a nostra insaputa la società diviene totalizzante in antitesi col concetto di democrazia.
Prevale soprattutto fra gli analfabeti funzionali, in cui è ridotta la capacità critica, la coscienza civile, l’agire razionale … con l’affermazione di una società omologata, conformista e consumista, predisposta ad assorbire qualsiasi cosa gli viene propinata …