Con l’apice dell’aggressione ai tre parlamentari ‘rei’ di aver votato favorevolmente il decreto Lorenzin, si spera che il terrificante (non) confronto ‘no vax/pro legge sull’obbligo vaccinazioni’ ci conceda finalmente un po’ di tregua. Non è infatti mai uno spettacolo edificante assistere a gazzarre esasperate dove le poche proposte ragionevoli vengono completamente trascurate.
Il fronte anti-vaccinazione è stato capace di farmi odiare l’espressione ‘pensare con la propria testa’, che invece dovrebbe essere universalmente apprezzata. Ma come può essere altrimenti quando viene impiegata per giustificare il disprezzo arrogante di qualsiasi competenza, l’attacco personale e gratuito, il doppiopesismo e lo spacciare per luminari individui dalla caratura scientifica incosistente se non proprio abominevole? Per non parlare dell’enfasi posta sulla ‘libertà di scelta’, come se la prole fosse una proprietà privata e la comunità non avesse il preciso dovere di intervenire qualora i genitori espongano i figli a potenziali situazioni di pericolo. Ho già spiegato altrove come tale atteggiamento non abbia nulla da spartire con la critica all’espertocrazia di Ivan Illich.
Sulla sponda opposta abbiamo invece assistito a un debunking che ha avuto vita facile nel ‘blastare’ (orribile neologismo diventato di moda con questa polemica) scienziati improvvisati, leggende metropolitane, ricerche pubblicate su riviste ‘predatorie’ a pagamento o insulsissimi blog. E’ stato però quasi del tutto ignorato che, accanto alla questione prettamente sanitaria riguardante gli eventuali danni da vaccinazione, ne esisteva una non meno importante di carattere politico-sociale legata all’iter processuale del decreto Lorenzin, di cui si poteva comprendere la gravità anche senza aver letto Foucault e filosofeggiare sul ‘biopotere’. Il provvedimento salutato come progresso per la società è infatti diventato legge tramite un diktat imposto con decretazione d’urgenza con tanto di voto di fiducia, ha un carattere palesemente classista (la principale sanzione è di carattere pecuniario) e non a caso porta la faccia di una politicante dal curriculum poco cristallino quale Beatrice Lorenzin, eletta nel centro-destra e poi diventata ministra di un governo di colore opposto, che nel corso del suo incarico si è distinta per campagne informative aberranti come il fertility day e altri interventi discutibili; con una testimonial del genere anche la più nobile delle cause sarebbe compromessa in partenza. Procedendo a colpi di clava, impedendo un serio confronto nelle sedi deputate, si è solamente rinforzata la popolarità della frangia no-vax (altrimenti esigua) con il rischio che il rifiuto alla vaccinazione diventi un atto di opposizione all’esecutivo a guida PD avulso da qualsiasi considerazione sul benessere infantile.
Anche la figura dell’epidemiologo Roberto Burioni, salito alla ribalta nella diatriba, è emblematica: nessuno ne mette in dubbio le qualità di medico, quelle di comunicatore però lasciano decisamente a desiderare. Leggiamo dall’ottimo Manuale della demistificazione pubblicato da Skeptical Science:
Confutare un’informazione errata implica il coinvolgimento di processi cognitivi complessi. Per riuscire a trasmettere conoscenze, i comunicatori hanno bisogno di comprendere come le persone elaborano le informazioni, come modificano le conoscenze esistenti e come le diverse visioni del mondo influenzano la loro abilità di pensare razionalmente. Non importa solo cosa pensa la gente ma anche come pensa.
Il post più famoso del suo profilo Facebook è agli antipodi di tali raccomandazioni:
Burioni ha perfettamente ragione nel rifiutare ‘contraddittori’ con ricercatori della domenica e nel bannare contenuti falsi e mistificanti, tuttavia non ha capito che sui media digitali (e specialmente sui social network) la forma è sostanza e ottemperare a determinate regole pragmatiche è decisamente più importante della stesura della bibliografia o dell’inserimento di note a piè di pagina, al di là di lauree, master e dottorati. Diversamente da lui, alcuni colleghi lo hanno capito: sono frequentemente in disaccordo con Dario Bressanini, ma non posso negare che nella sua attività di blogger dia prova di conoscere il funzionamento del Web. Se vuoi interagire solo con chi vanta i tuoi stessi titoli tanto vale rimanere nella torre d’avoro dell’accademia e ignorare completamente Facebook, cioé l’antitesi perfetta del pubblico di élite della rivista scientifica; altrimenti fai la figura di un arrogante Marchese del Grillo (il nobile interpretato da Alberto Sordi nell’omonimo film di Monicelli il cui motto è “io sono io e voi non siete un cazzo”) creando con ogni probabilità un clima di repulsione verso la tua persona e i tuoi contenuti, a prescindere dalla loro correttezza e validità.
Quello che il debunking sembra ignorare è che la forza delle tesi ‘cospirazioniste’ non risiede nella letteratura para/pseudo scientifica citata bensì nello stimolare nervi scoperti della gente che, obbiettivamente, non si possono derubricare a semplici deliri mossi dall’ignoranza. Straparlare di Big Pharma per screditare tout court la scienza medica è da idioti, ma si può negare l’ingerenza del lobbysmo nel settore? Richard Horton, direttore di Lancet (forse la più prestigiosa rivista di medicina al mondo) in un’intervista ha sostenuto che, a causa anche del conflitto di interessi tra ricercatori e case farmaceutiche, molti articoli pubblicati su testate accreditate potrebbe non sostenersi su di una seria base scientifica. Persino la blandissima anti-trust italiana ha preso provvedimenti contro due multinazionali del farmaco (Roche e Novartis) per accordo di cartello; ed è ancora viva la memoria delle tangenti intascate dall’ex ministro della sanità De Lorenzo in relazione al vaccino dell’epatite B, senza contare innumerevoli altri scandali che hanno visto coinvolti politici, medici e aziende farmaceutiche. Se fino a 30-40 anni fa la paura verso le vaccinazioni era minimale mentre oggi è più elevata, ciò non sarà dovuto a un calo di fiducia nelle istituzioni competenti, anziché a improvvisi mutamenti antropologici? E siamo sicuri che la saccenza arrogante di un Burioni e l’autoritarismo allarmista di una Lorenzin siano il modo giusto di intervenire?
Allargando la panoramica al di là della querelle sui vaccini, mentre le tesi cospirazioniste dipingono un mondo dove la politica è burattinata dalla finanza e la scienza ‘ufficiale’ è venduta al soldo delle multinazionali, il debunking analizza i fatti dall’ottica di quella che potremmo chiamare ‘narrazione normale’, molto utile per smascherare guaritori, diffusori di xenofobia, sedicenti esperti e cialtroni vari, ma non priva di criticità. Esaminiamo un meme presente nella homepage di BUTAC:
Effettivamente non esistono studi affidabili che attestino la pericolosità del cibo OGM ed è innegabile che Monsanto venga spesso tirata in ballo a sproposito. Ma le analisi che, numeri alla mano, mettono in dubbio le prestazioni produttive delle sementi transgeniche (come quella tentata dal sottoscritto) rientrano anch’esse nell’oscurantista ‘negazionismo degli OGM’, così come la denuncia dei misfatti dell’azienda statunitense emersi dai Monsanto Papers?
Per reazione alla tendenza ad attaccare in modo indiscriminato multinazionali e mondo scientifico, pare che il debunking si curi poco di analizzare criticamente in quella direzione; per dirne una, sui principali siti antibufale italiani non ho trovato alcun ‘blastamento’ del famigerato intervento in Senato di Carlo Rubbia volto a ridimensionare il global warming. In compenso, ho scoperto un Paolo Attivissimo un po’ troppo propenso a fidarsi delle buone intenzioni della Barrick Corporation e un pezzo di BUTAC che cerca di ridimensionare le preoccupazioni verso un’eventuale approvazione del TTIP. Ne consegue pertanto il rischio di presentare una visione del mondo troppo rassicurante, trasudante di politicamente corretto, dove alla paranoia cospirazionista si sostituisce un’adesione abbastanza fideistica alla lettura mainstream della realtà. A riprova di ciò, una categoria che normalmente rabbrividisce al disvelamento dei fatti – i politici – ha invece mostrato interesse per il debunking, di cui però molti debunker hanno potuto apprezzare la pelosità nonché il desiderio di certificare orwelliane ‘verità di stato’, vedi il DDL Gambaro.
Non esiste la quadratura del circolo, un improbabile punto di incontro tra debunking e fake news, del resto non si possono assimilare verità e menzogna. Tuttavia, nel momento in cui si discute del presunto carattere controproducente del debunking nello sradicamento delle bufale, viene il sospetto che una critica mirata esclusivamente a confutare il singolo fatto falso, astraendolo dal contesto generale che porta molte persone a cavalcarlo (corruzione, incompetenza, commistioni lobbistiche, problemi legati all’immigrazione, invadenza della tecnica nel proprio mondo vissuto, ecc), probabilmente si condanna a una scarsa presa sull’opinione pubblica. Un’alternativa sensata inizierebbe chiedendosi la ragione per cui molta gente flirta con certa disinformazione, evitando risposte snob e riflettendo sulle condizioni per creare un clima dove la ragionevolezza prevalga sulla diffidenza patologica. Secondo il Manuale della demistificazione, una strategia efficace potrebbe consistere nella ridefinizione dei confini sociali:
Quando i membri di due gruppi sociali sono in grado di considerarsi membri di un gruppo comune, stereotipo e pregiudizio possono ridursi in maniera significativa.
Forse spiegazioni accessibili al grande pubblico sulle correlazioni esistenti tra migrazioni, crisi economica e degrado ambientale creerebbero un pubblico più empatico e meno propenso a farsi abbindolare dall’aneddotica razzista e xenofoba. Una scienza che rinunciasse a boriose pretese tardopositiviste, che superasse il corporativismo ammettendo e condannando i puttaneggiamenti con stato ed economia ed evitando di farsi strumentalizzare, sarebbe realmente democratica e percepita come preziosa alleata dai cittadini. E la classe politica può riabilitarsi solo dando il buon esempio, rinunciando in primis a odiosi privilegi (la ratifica da parte del Senato della legge anti-vitalizi al rientro dalla pausa estiva è sicuramente un piccolo banco di prova per un lungo percorso di riabilitazione).
Ovviamente il debunker non ha la bacchetta magica e non può trasformare da solo sistema educativo, mondo scientico e politica; tuttavia, con riferimento a quanto appena scritto, può decidere di problematizzare lo smascheramento delle bufale in una cornice più ampia invece che limitarsi a un semplice esercizio di stile. Sicuramente non attirerebbe l’interesse dei ‘poteri forti’, forse però riuscirebbe a captare l’attenzione di una fetta di pubblico oggi ostile.
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