OGM: la soluzione per cosa?

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È dall’inizio degli anni Novanta, se non prima, che i colossi del business agro-industriale hanno constatato il graduale ma inesorabile esaurirsi della spinta propulsiva della rivoluzione verde, con le rese per ettaro soggette a rendimenti decrescenti e sempre meno capaci di fronteggiare l’aumento demografico. Nella logica del mantenimento del business as usual agroalimentare, l’unica alternativa possibile consisteva nell’escogitare qualche stratagemma per far ripartire la produzione.

.rese ettaro

Da qui a sostituire la ‘vecchia’ rivoluzione con una ‘nuova’, basata sul largo impiego delle sementi geneticamente modificate, il passo è stato breve. Per ridimensionare le paure ingenerate da una simile intromissione nelle basi della vita, è stata svolta una forte opera propagandistica esaltante le presunte virtù della modificazione genetica per risolvere la piaga della fame. Su queste basi è nata ad esempio AGRA (Alleanza per la rivoluzione verde in Africa), massicciamente sostenuta dalla fondazioni Gates e Rockefeller, quest’ultima già coinvolta nello sviluppo della prima rivoluzione verde.
In questa sede eviteremo l’annoso dibattito sulla salubrità degli OGM, non senza precisare che un’incertezza di fondo degli effetti sul metabolismo umano e animale è inevitabile. In primo luogo, il rischio è intrinseco nella tecnica stessa adoperata per indurre la mutazione genetica, la quale si scontra con i meccanismi di protezione dell’organismo ospite:

Per aggirare tali ostacoli, quindi, gli scienziati prima aggiungono i geni estranei ai virus, o ad elementi simili ai virus che sono comunemente usati dai batteri per lo scambio dei geni; questi cosiddetti “vettori di trasferimento dei geni” vengono usati per introdurre i geni estranei all’interno delle cellule destinatarie selezionate, dove i vettori, insieme con i geni che vi sono uniti, si inseriscono all’interno del DNA delle cellule… L’uso dei vettori per inserire i geni dall’organismo donatore a quello ricevente è una delle ragioni per cui il processo dell’ingegneria genetica è intrinsecamente pericoloso. (1)

Come se non bastasse, l’intera impalcatura teorica dell’ingegneria genetica si fonda sul cosiddetto dogma centrale, ossia la relazione diretta un gene-una proteina:

DNA → RNA → proteina

Questa visione meccanicistica, basata sull’idea che le caratteristiche cellulari siano una semplice risultante della somma dei geni, è stata messa in seria discussione dalla ricerca genetica contemporanea.
Per quanto riguarda i presunti vantaggi produttivi, gli studi al riguardo descrivono situazioni contraddittorie. In una ricerca del 2014 (3), incentrata sul confronto tra il sistema agricolo statunitense e quello europeo – rispettivamente con e senza colture geneticamente modificate – il vecchio continente esce vincitore sia per resa per ettaro, sia per uso inferiore di pesticidi e fertilizzanti; tuttavia, altre analisi esaltano le virtù produttive e ambientali degli OGM. Paradossalmente, un soggetto con molti interessi in gioco – Monsanto – potrebbe aiutarci a fare chiarezza. Così si è espresso nel 2009 Brad Mitchell, all’epoca director of public affairs della corporation statunitense, nel corso di un’intervista:

The main uses of GM crops are to make them insect tolerant and herbicide tolerant. They don’t inherently increase the yield. They protect the yield… But in developing countries without good weed and pest controls, that’s where you see the dramatic yield increases.(4)

La ‘nuova’ rivoluzione quindi, parimenti a quanto successo con la ‘vecchia’, mostrerebbe i suoi pregi nel breve periodo e laddove vada a sostituirsi a pratiche in ritardo di venti o trent’anni rispetto all’agronomia occidentale. In effetti, la ISAAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications), analizzando gli effetti globali delle sementi OGM tra il 1996 e il 2010, ne ha decantato i vantaggi in termini di aumento delle rese nonché di risparmio di fertilizzanti e pesticidi, ma ha anche specificato che il 90% dei beneficiari sono agricoltori di paesi in via di sviluppo.(5) Si spiegherebbero così i relativi insuccessi di tali colture in un sistema agricolo maturo come quello statunitense, già vittima tra il 2008 e il 2011 dell’invasione di super-infestanti resistenti agli erbicidi e di altre prevedibili reazioni naturali all’uso degli OGM. (6)
Anche ignorando tali criticità, resta comunque da capire l’apporto delle sementi OGM per la soluzione del problema alimentare, visto che la denutrizione attualmente non è dovuta a carenza produttiva, ma a problemi economici nell’approvvigionamento del cibo. Siccome le spese per ricerca e sviluppo di una semente transgenica si aggirano tra i 100 e 200 milioni di dollari (7), introdurre sul mercato grandi quantità di cibo molto costoso non gioverebbe in alcun modo. Gli elevati oneri di produzione spiegano l’accanimento con cui le aziende del settore difendono a oltranza i brevetti (fino a rendere sterili le sementi per impedire ai contadini di riprodurle autonomamente) oppure vincolino la forniture all’acquisto di fertilizzanti e altri ritrovatici chimici. Se già con la rivoluzione verde la dipendenza da input esterni per gli agricoltori era molto elevata, con gli OGM si perde qualsiasi autonomia.
Si arriva poi al problema più spinoso. Gli OGM promettono rese migliori e capacità di adattamento ai terreni degradati dell’erosione, ma qual è il paradigma alimentare in cui se ne immagina l’utilizzo? Quello contraddistinto da filiera lunga, meccanizzazione e chimica di sintesi, quindi da alti consumi energetici, lo stesso che ha caratterizzato la rivoluzione verde e che si è rivelato profondamente insostenibile, situazione destinata a peggiorare con l’avvento del picco del petrolio. Sorge il sospetto che OGM e nucleare siano accomunati dal medesimo destino: quello di deludere le tante aspettative riposte in loro.

(1) Capra, Luisi 2014, 555

(2) Ibidem

(3) Heinemann, Massaro, Coray, Agapito-Tenfen, Wen 2014

(4) “Lo scopo principale delle sementi geneticamente modificate è di renderle tolleranti a insetti ed erbicidi. Esse non incrementano di per sé il raccolto. Lo proteggono… Ma nei paesi in via di sviluppo senza adeguati controlli sulle erbe infestanti e sui parassiti, è lì che si vedono incrementi consistenti dei raccolti”.

(5) Ciccarese 2013

(6) Moore 2015

(7) Onorato, Colombo 2009

Fonte immaggine in evidenza: Wikimedia Commons

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