L’unico collante dell’Occidente

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Per un attimo, ammetto di essere stato colto anch’io dal raptus di ‘dover dire qualcosa’ sui gravissimi fatti di Parigi, ma per fortuna sono rinsavito. Che bisogno c’è di ‘dire qualcosa’? Quali informazioni aggiuntive sull’episodio potrei offrire, a parte dietrologie più o meno sensate? E sarebbe tanto sorprendente sapere che condanno senza mezzi termini questi vili attentati invitando allo stesso tempo a non scadere nel qualunquismo e nelle semplificazioni mediatiche? Non credo proprio, quindi risparmio l’inutile buon senso.

Sento piuttosto la necessità di comunicare una sensazione che, passeggiando per strada e solcando i sentieri digitali del Web, trova sempre più conferme. Il mondo occidentale, da almeno una trentina d’anni a questa parte, sembra ricompattarsi solo al momento di piangere i ‘suoi’ morti, per poi tornare nello smarrimento generale. Chiusa per sempre l’epopea post-bellica del progresso per tutti, con il dibattito politico egemonizzato dalle diverse varianti dal pensiero unico e una società il cui unico scopo dovrebbe essere di esultare per qualche variazione decimale del PIL e del tasso di disoccupazione, l’unico orizzonte comune rimasto all’Occidente è rappresentato dalle commemorazioni delle vittime degli attentati, con o senza incitamenti all’odio e invocazioni ai distinguo del caso. Una civiltà unita dallo slogan dell'”attacco ai nostri valori”, in cui però riscopriamo improvvisamente di credere solo quando qualcuno ammazza in nome dell’Islam o di qualcosa che ci suona particolarmente esotico.

Purtroppo, se partiamo dall’assunto che i valori che contraddistinguono l’Occidente siano libertà, democrazia e uguaglianza, l’operato dei terroristi è del tutto superfluo, perché ci ha pensato l’Occidente stesso a incrinarli. A partire da una libertà egemonizzata dalle pretese del mercato, passando per una democrazia stagnante e apatica che si pretenderebbe di rianimare con riforme di tendenza accentratrice e autoritaria, finendo con una diseguaglianza che ha raggiunto livelli esorbitanti. L’Unione Europea – con il suo verticismo tecnocratico, il suo dogmatismo economico e la totale mancanza di solidarietà tra i popoli che la compongono – è la caricatura vivente di secolari ideali dell’Occidente. Insomma, l’ISIS è impareggiabile nel tagliare gole o creare panico dal nulla, ma c’è chi già da tempo ha contribuito a far montare la disillusione, e c’entra davvero poco con l’Islam o qualsiasi organizzazione criminale.

La ‘difesa dei nostri valori’, il collante che tiene unito l’Occidente, di cui ci riempiamo tanto la bocca nel dolore, alla fine si riduce alla richiesta di un’esistenza tranquilla dove non si debba rischiare di essere uccisi brutalmente da fanatici, persino durante attività ricreative come cenare a un ristorante, assistere a una partita di calcio o a un concerto rock. Un diritto sicuramente sacrosanto ma che, forse vale la pena di ricordarlo, di per sé non rappresenta un progetto politico. Elevare tali aspirazioni piccolo-borghesi a pilastro fondante di una civiltà significa condannarsi, nella migliore delle ipotesi, a subire un potere paternalista nel nome della sicurezza, capace magari di invitare la popolazione a tornare a far shopping all’indomani del più devastante attacco subito sul suo territorio, ad esempio. Ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con gli ideali, è solamente l’apologia di uno stile di vita elevata a ragion di stato.

Se davvero volessimo ripartire dai ‘nostri’ valori,non potremmo ignorare almeno due spunti. Il primo è che il progetto politico della modernità, che ebbe origine proprio due secoli e mezzo fa in Francia, era libertà-uguaglianza-fraternità. Posso essere fazioso, tuttavia mi sembra un programma di cui non sento più parlare da tempo in Occidente. Il secondo invece deriva dalla riflessione di Cornelius Castoriadis, secondo cui ciò che differenza l’Occidente dal resto delle culture sarebbe la capacità di criticare costruttivamente le proprie istituzioni, prescindendo dalla tradizione e da altri conservatorismi. Sarò ugualmente prevenuto, ma dalle cerimonie di cordoglio ufficiale non percepisco nulla del genere, ma solo continui slogan all’insegna del “restiamo uniti/non ci sconfiggeranno/vinceremo noi”, cioé un armamentario retorico a cui, mutatis mutandis, anche il famigerato califfo ricorrerà per spronare i suoi adepti.

Forse la risposta migliore al terrorismo – o a noi stessi? – sarebbe di fare mente locale su queste considerazioni. Per poi tornare ancora felicemente a cenare nei ristoranti, assistere a una partita di calcio o a un concerto rock, ma senza farne una ragione di vita o un baluardo di civiltà.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

4 Commenti

  1. Complimenti per aver saputo dire qualcosa di sensato e di non scontato in un momento in cui il dibattito si spalma sui luoghi comuni. Rimbalzerò senz’altro questo articolo ai miei contatti.
    Gli unici due punti su cui non sono del tutto concorde sono quello relativo al verticismo dell’eurocrazia ed il richiamo ai valori fondanti della rivoluzione francese.
    Per quel che riguarda il primo punto, è vero che l’eurocrazia ha i difetti che dici, ma è anche vero che il vero organo decisionale è l’ Eurogruppo che non è nemmeno un’istituzione europea. E’ semplicemente il club dei governi che hanno l’€ e che decidono per tutti in base a convenienze nazionali o di partito. Le istituzioni veramente europee sono poco più che decorazioni. Il pallino è rimasto e sempre più sta tornando nelle mani dei governi degli stati principali, non dell’eurocrazia.
    Sul secondo punto, l’unica osservazione che mi sentirei di fare è che “Liberté, Egalité Fraterinté” non ha mai funzionato gran che. A suo tempo fu la scaturigine del termine stesso di “terrorismo” nella sua accezione peggiore. Cioè quando è il governo stesso e non un’organizzazione criminale che usa sistematicamente il terrore come strumento politico. Certo non furono Robespierre e soci ad inventare il metodo, ma fu la prima volta in cui fu usato in chiave moderna, cioè sfruttando oltre al boia anche il giornalista in un sistema organico e sinergico.
    Comunque grazie per questa boccata di buon senso.

    • Ciao Jacopo, felice di sapere che l’articolo ti sia piaciuto, rispondo volentieri alle tue osservazioni. Sulla UE, è possibile che il percorso di disintegrazione stia assumendo i contorni da te descritti. Mi sento solo di dire che la genesi della UE (quindi post CEE) ha ricalcato perfettamente i dettami di think thank come la Trilaterale e la visione neoliberale della democrazia. L’egemonia tedesca mi sembra di lungo corso, già i parametri di Maastricht erano impostati in gran parte su quelli della Germania. Comunque sia, penso che siamo d’accordo sul fatto che la matrice della UE abbia poco a che fare con l’Occidente inteso come quella ‘buona idea’ di cui parlava Gandhi.
      Qui arriviamo al secondo punto della questione, ben più interessante. Non vorrei aver dato l’impressione di credere nell’esistenza di un certo periodo storico in cui il programma libertà-uguaglianza-fraternità sia stato veramente implementato: in questo caso la mia risposta è un secco NO. Però – e qui entriamo in un discorso che chi si interessa SOLO di limiti dello sviluppo tende troppo spesso a sottovalutare, quando tira fuori dispotismi illuminati ecologici e idiozie simili – il potere, con buona pace di Mao, non nasce dalla canna del fucile, ma nella capacità di creare significati nell’immaginario collettivo (eventualmente in grado far prendere i fucili alla gente). Tutti i poteri cercano giustificazione su di un mito fondante, in Occidente la base è (sarebbe) la triade della rivoluzione. A questo punto, secondo me, bisogna fare i seguenti passi:

      – chiederci se ci riconosciamo in tale mito fondante (personalmente, sì)
      – capire che è un mito e non una legge naturale
      – comprendere lo scarto tra idealità e realtà e sforzarsi di capire quanto, ragionevolmente, il reale potrebbe avvicinarsi all’ideale.

      Sostanzialmente, penso che la logica del potere oscilli in un continuum che ha per estremi distopia e utopia, e che la tensione dialettica potere/sottoposti al potere crei di volta in volta dei compromessi verso l’uno o l’altro estremo, senza mai raggiungerli pienamente. Quindi, per tornare a noi: non conosco società che storicamente abbiano mai raggiunto l’estremo ‘utopia’, ma mi sembra di averne visto alcune che, rispetto a quella attuale, fossero un pochino più spinte verso quella direzione (poi, vedi la società socialdemocratica/keynesiana, erano insostenibili per altre ragioni: ma questo è un altro discorso).

      • …”creare significati nell’immaginario collettivo”..
        Penso che questa espressione che hai usato esprima il problema esistente nell’attuale periodo storico (contraddistinto dall’enorme livello di conoscenze e capacità tecnologiche raggiunte): creare nuovi valori con cui riempire la vita quotidiana, creare nuovi sogni in cui vivere (al posto di quelli superati, insoddisfacenti e insostenibili attualmente esistenti!)

        Armando

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