Muri, esondazioni, oblio

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La storia ci racconta di tanti muri, come quello realizzato dai sovietici per confinare Berlino Est, costruiti nel vano tentativo di ritardare l’inevitabile oppure di ‘metterci una pezza’, come si suole dire, a un problema la cui soluzione necessiterebbe decisioni drastiche e poco gradite. Quello realizzato dal comune di Faenza in Via Cimatti per tentare vanamente di arginare lo straripamento del fiume Lamone appartiene un po’ a entrambe le categorie.

Sarebbe vile e cinico fare stupide ironie di fronte alla tragedia, così come unirsi alla moltitudine di improvvisati esperti del territorio che sui social network sta sparando sentenze comodamente seduta sul divano. Chi si è ritrovato all’ultimo momento la patata bollente di salvare il salvabile probabilmente non poteva escogitare soluzioni migliori, quindi è inutile farne un capro espiatorio.

Del resto, l’alluvione dello scorso anno, al pari di tanti eventi simili, è stata trattata come un fatto accidentale, quasi fosse una piaga inviata da un dio collerico e crudele, per poi finire nell’oblio collettivo. Invece il global warming, con i suoi fenomeni metereologici estremi, non si placa con alcun sacrificio, mentre alla cementificazione e alla mal gestione del territorio non si ovvia con ‘occhio non vede cuore non duole’.

Tutto ciò si somma a problemi di vecchia data, come abitazioni o interi quartieri realizzati in luoghi a forte rischio idrogeologico o fiumi canalizzati attraverso argini oramai incompatibili con i livelli di piena attuali. Per evitare soluzioni tampone come il muro di Faenza, occorrerebbero misure strutturali quali ridurre le aree impermeabilizzate (in parole povere: rimuovere edifici, strade e parcheggi laddove non fanno altro che esacerbare il disastro) e restituire almeno parzialmente un alveo naturale ai corsi d’acqua, misura complementare alla prima.

Non si tratta di una prospettiva molto allettante per una popolazione giustamente stanca ed arrabbiata, meno che mai per i candidati alle elezioni regionali di novembre, dove spiccheranno un leader della destra che liquida il problema ecologico a mera ideologia e farà della difesa della ‘motor valley’ emiliana un cavallo di battaglia e uno di sinistra che ha reso la città di cui è stato sindaco, Ravenna, una delle primatiste in Italia per consumo di suolo, oltre a eleggerla sede di un rigassificatore e di un impianto per la cattura e il sequestro della CO2.

Mi auguro che a loro si sia aggiunto qualcuno di più ragionevole e meno compromesso, meritevole quantomeno di ricevere una croce sulla scheda elettorale. Ma non escludo che, sciacallaggi rituali a parte, il tema dell’alluvione da qui a due mesi non sia più così centrale nel dibattito politico.

Se anche le due persone attualmente disperse a Bagnacavallo fossero decedute, non sarebbe in fondo un tributo di sangue accettabile? Vale la pena di disfare tutto? Non ci sono fenomeni meno spettacolari sul piano mediatico ma che causano molto più vittime? E’ il caso quindi di scandalizzarsi tanto?

In fondo, per dirla alla Ennio Flaiano, forse siamo ancora a un punto per cui “la situazione è grave ma non seria” e possiamo archiviare preoccupazioni e isterie alzando altri muri e mettendo pezze qua e là. Se le cose peggiorano ulteriormente, avremo tempo di pensarci, il prossimo anno o alle prossime elezioni.

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