Mangiare Bio(il)logico

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Ciao a tutti,
un articolo apparso su DFSN ha fatto riemergere considerazioni che ho sempre trovato fondamentali riguardo il mercato del biologico e che ho anche sperimentato in prima persona avendo aperto un negozio(e poi chiuso) circa 15 anni fa.Allora il discorso era ancora diverso da adesso e se prima c’era ancora qualcuno che ci considerava degli alieni,o un’alta percentuale di clientela era depressa(e come si fa ad non esserlo in questo mondo!),o ancora,c’erano dei prodotti quasi”punitivi” e tristemente edibili,oggi il negozio bio è la normalità,o comunque,è possibile trovarne uno dal piccolo paese alla grande città,senza considerare che la grande distribuzione ha capito che il settore è redditizio e cerca di attirare la fascia di “consumatori etici “a se.Questo ha creato una degenerazione dell’idea stessa del bio-logico,ovvero del prodotto che segue una logica di vita.Il problema è sempre lo stesso,ed è inutile stare lì a trovare soluzioni se non abbattiamo il totem del mercato e le aziende si comportano come quelle classiche dell’industria alimentare.Dovrebbe esistere un nuovo metro di misura per certificare ,o meglio,scegliere, le aziende che vogliono operare in questo settore.
1)quelle che decidono di fare il patto con il diavolo facendosi quotare in borsa non rientrano nell’eticonomia ed in più, perniciosamente non avvertono la clientela,sapendo in primis che è una scelta contro quello in cui un tempo credevano;
2)le aziende che propongono zucchine con mille kilometri sulle spalle non possono essere considerate bio;
2bis)le stesse aziende che fanno pubblicità in televisione,non tanto per il mezzo in se,ma se ci ragioniamo bene ,per i costi che ricadono sul prodotto,non possono essere bio;
3)come si può considerare ecologico un prodotto che ha la confezione che non può essere riciclata o che deve essere smaltita nell’indiferenziata o che proviene da carta di nuova produzione con inchiostri chimici?questo è un problema non secondario,ma di enorme importanza ;
4)senso del limite, aziende troppo grandi perdono il valore artigianale,alla base di un certo tipo di produzione;
5)mi ripeto,trasparenza,un esempio:biscotti dell’equosolidale prodotti nello stesso stabilimento che fa i prodotti bio per la coop,stessi ingredienti con i primi che costano decisamente di più dei secondi,nel biologico non esiste il consumatore,ma esistono le persone e queste devono essere rispettate e non prese in giro.
6)coerenza nella vendita,e qui un altro esempio,c’è una catena di supermercati bio(????) che chiede a chi vuole entrare nel loro franchising(?????????) che i locali per il negozio da aprire si trovino su una strada altamente trafficata (???????????????????????????)
7)che i prodotti non alimentari rientrino nei canoni della sostenibilità e non dell’obsolescenza(borsa prodotta con materiale di riciclo,venduta cara in un negozio equosolidale,rotta dopo un mese con poche scuse dal negozio e menefreghismo del produttore )
A questo si deve aggiungere il costo per avere le certificazioni che non è per niente indifferente e fa si che piccoli produttori vengano esclusi in partenza dalla possibilità di vivere del proprio lavoro in modo diretto,ma debbano appoggiarsi a terzi.E’ per questo che la nuova frontiera del mangiar bio è quella di creare gruppi di acquisto in rete dove il contadino è un produttore-consumatore e lo scambio diventa nuova moneta e l’utopico KM0 diventa un realizzabile “KM1”.L’usare i normali,che poi normali non sono,canali di vendita e distribuzione può cambiare la forma ma non la sostanza.Poi,certo ,che sono meglio mille “Dispense degli Elfi”che un fast food,ma che questi non diventino tanti ”McElfo”.

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8 Commenti

  1. assolutamente d’accordo, infatti io ho spostato già da tempo i miei acquisti dal retail biologico alla cooperativa agricola di zona. Grazie di questo prezioso articolo.

  2. Il consumo non sostenibile è tutto quello che viene fagocitato dalla dicotomia prodotto -consumatore, qualsiasi cosa, che sia biologico o no o riciclato o no.. Quello che bisogna riportare è l’ equilibrio tra valore materiale, oggi in eccesso, e valore immateriale invece carente, questo si fa facendo un prodotto senza produrre niente. Solo la riabilitazione dei cicli produttivi e gli usi delle cose ci permetterà di rivalorizzare la nostra economia, di creare vera ricchezza. La visualizzazione stessa dell’idea di benessere deve passare da verticale/ gerarchico a orizzontale/organico.

  3. La triste involuzione che quasi tutte le buone idee subiscono quando le logiche del mercato le traducono invariabilmente in profitto (come ad esempio la produzione dell’energia solare, che necessita urgentemente di essere frenata, pena il deturpamento totale del nostro paesaggio).

  4. sono perfettamente d’accordo con emanuele.
    il biologico certificato ormai è solo un business.
    la soluzione è la certificazione dal basso: si va direttamente dal piccolo produttore e si vede come lavora. ci si accorda sul prodotto sul prezzo.

    • ciao kelios!con piacere vedo che abbiamo tante idee comuni….sono d’accordo con la creazione di G.a.s.,anche perché è proprio piacevole “fare la spesa” in gruppo,e alla fine questo diventa secondario perché conoscendosi si sviluppano tante idee e gli impegni diventano situazioni quasi ludiche(lo sto sperimentando….)

  5. facciamo una piccola equazione:
    -il costo dei prodotti bio è maggiore di quelli convenzionali.
    -i costi di produzione bio sono minori di quelli convenzionali, non si usano sostanze che costano un occhio della testa il che significa anche meno macchinari e meno manodopera. ovviamente la resa è percentualmente inferiore, ma molto meno inferiore dei costi di produzione.

    quindi come mai il bio costa piu del convenzionale?
    c’è il costo della certificazione (pratica ovviamente contraria alla decrescita), e il guadagno di tutti gli elementi della lunga filiera

    questo comporta che ogni vero produttore tradizionale in transizione o bio, se ha una mente mediamente aperta sarà felicissimo di dedicare qualche pertica per produrre prodotti bio cerificati dal basso (ovvero da chi compra) vendendoli ad un prezzo pari a quello dei prodotti convenzionali presso la grande distribuzione.

    poi c’è sempre la soluzione dei gruppi di autoproduzione e acqisto solidale i gaas… ma non voglio tediare tutti un’altra volta..

  6. Concordo su tutto..in particolare il punto 3..faccio un esempio: 1 marca che fa monoporzioni pronte in scatoletta di plastica rifasciata nel cartone..scandaloso e massimamente incoerente (nel caso interessasse veramente l’ambiente..ma ho dei dubbi!) sulla differenza di prezzo tra uguali prodotti venduti alla coop e all’equo forse c’è un motivo plausibile..indagherò meglio..

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