Maledetta aspettativa

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Assai raramente scrivo pezzi che riguardano me stesso, in quanto non mi sono mai sentito una persona esemplare e ho sempre visto la mia attività sul Web simile a quella di un giornalista, di certo mi sento lontano anni luce dalla figura del guru. Se ora faccio un’eccezione è perché penso che le mie sensazioni possano essere condivise da altri che, analogamente a me, utilizzano la Rete per pubblicare e diffondere contenuti.

E’ da più di un mese che non pubblicavo su DFSN e non mi era mai capitato un periodo così lungo di ‘astinenza’. In realtà non sono stato inattivo alla tastiera: se qualcuno di voi disponesse delle prerogative di admin della nostra piattaforma, troverebbe tutta una serie di articoli abbozzati dal sottoscritto e rimasti inconclusi, alcuni appena iniziati altri invece quasi del tutto concepiti ma abbandonati a un passo dalla pubblicazione .

Mi sono interrogato a più riprese sulle ragioni di un simile comportamento, del tutto nuovo per me, e ho trovato alcune giustificazioni a livello professionale, familiare, ecc. reali e non derubricabili a semplici alibi. Riflettendo più a fondo e con sincerità, tuttavia, mi sono accorto del vero motivo del ‘blocco creativo’, per molti versi paradossale.

Gli ultimi mesi di DFSN sono stati decisamente ottimi: gli analytics del sito registrano un sensibile aumento di pubblico, il gruppo Facebook ha superato i 5000 utenti e il canale Youtube ha visto un’impennata imprevista di visualizzazioni (addirittura abbiamo collezionato degli haters! Chiaro segnale di successo); anche a livello strettamente personale la mia situazione mediatica è positiva, con la pagina Facebook di Insostenibile. Le ragioni profonde della decrescita che ha sfondato il muro dei mille follower. Allora? Perché tali risultati dovrebbero avere intaccato in qualche modo la mia capacità di scrivere?

Non senza molto sconcerto, mi sono finalmente accorto della vera causa dell’impasse: nonostante la mia attività in Rete sia del tutto volontaria e non retribuita, mi sono scoperto schiavo dei feedback, atteggiamento che per altro ho sempre stigmatizzato e condannato. Se fino all’altro ieri mi proponevo semplicemente di comporre articoli a mio giudizio validi e utili, inconsciamente mi si era insinuato il tarlo di dover raggiungere determinati riscontri di pubblico. Andando a rivedere i pezzi lasciati in bozza, ho scoperto infatti che il vero motivo dell’accantonamento era la paura di non soddisfare certe aspettative. Ad esempio, uno come me che si è sempre fatto poche preoccupazioni di crearsi ‘nemici virtuali’, si è dimostrato riluttante a proseguire un pezzo critico nei confronti di Elon Musk, temendo le reazioni sdegnate dei tanti fanboy del proprietario di Tesla presenti nella galassia ambientalista; un altro articolo, che a mio parere affrontava un tema molto interessante, l’ho ritenuto troppo lungo, ‘tecnico’ e potenzialmente noioso (bella attestazione di stima per il proprio pubblico, eh?).

Beffardamente, ci ha pensato Facebook ha riportarmi con i piedi per terra facendomi forse ritrovare la retta via. Ieri mattina collegandomi al mio account ho scoperto che mi è stata disabilitata per una settimana la possibilità di condividere post sui gruppi causa ‘rilevamento attività anomala’. Dato che, da privato cittadino, mi limito a qualche post ogni tanto e a chattare con amici, l’algoritmo del social network deve aver sospettato di spam la mia attività di condivisione dei contenuti di DFSN di Insostenibile. Si tratta di un’accusa ridicola e infatti ho inviato subito la contronotifica di reclamo, tuttavia il provvedimento può essere utile per ridimensionare sul nascere qualsiasi potenziale hybris.

Morale della favola? Probabilmente, i creatori di contenuti che come me agiscono senza ritorno economico e per un pubblico limitato dovrebbero sfruttare fino in fondo il privilegio di potersi concentrare sulla qualità dei contenuti, non dovendo vendere un prodotto ci possiamo emancipare dalle aspettative sui risultati, accontentandoci del legittimo diritto di non subire insulti, hackeraggi o altre forme sleali di boicottaggio. E forse si dovrebbe accettare una lezione ancora più difficile da mandar giù: prima o poi, potrebbe arrivare il momento in cui una persona non è più in grado di dare un contributo effettivo al dibattito, con il rischio di diventare ripetitivi e di proseguire solo per routine. Dopo quasi 150 articoli su DFSN e tre ebook, non posso escludere che sia suonata la campana della mia attività di autore. Ovviamente non si tratterebbe di una ‘morte digitale’ perché ci sono tante modalità con cui posso ancora rendermi utile: gestione delle piattaforme telematiche, arruolamento di nuove leve, traduzione di articoli, revisione di bozze, creazione di eventi, ecc.

In tutta sincerità, credo di avere ancora qualcosa di buono da dire, per cui continuerò a scrivere; sicuramente ragionerò su come rendere i testi più fruibili, rifiutando però qualsiasi prigionia da feedback, né più né meno di come comportavo fino a poco tempo fa. Male che vada si ripeterà quanto già successo – si amplierà il mio patrimonio di conoscenze e conoscerò persone fuori dalla norma – che non mi sembra certo un risultato da buttare via, a prescindere dalle tante o poche visualizzazioni.

5 Commenti

  1. Se posso azzardare un consiglio, ti conviene restare autentico e “graffiante” quando ci vuole, sia negli articoli che nelle risposte, ed evitare il ‘politicamente corretto’ come la peste. Altrimenti non serve.
    E anche mantenere uno stile divulgativo come hai sempre fatto, se poi esce un pezzo più difficile e tecnico non credo che spegnerà l’interesse verso il blog. Si può proporre un argomento inerente alla decrescita, per e-mail o qui di seguito?

    • Ti ringrazio Giuliano, QUESTO è il genere di feedback di cui c’è sempre bisogno per capire se la propria attività sul Web ha un verso o meno. Scrivi pure qua pubblicamente che cosa vuoi proporre, così rimane pubblico e attira altri interessamenti.

  2. Una riflessione sulla scuola, con riferimento alla decrescita: forse ci sarebbe più interesse intorno ai temi della decrescita se già in classe , oltre a materie umanistiche volte alla formazione dell’individuo, ci fossero materie che parlano ai ragazzi del sistema ecologico, economico e sociale cui gli individui appartengono. Cosa di cui fino a una cinquantina di anni fa non si sentiva il bisogno. Oggi la crescita e la tecnologia hanno creato un’epoca per molti versi “lontana” dalla storia, piegare la natura e il territorio alle esigenze umane non era mai stato controproducente, oggi si. C’è bisogno di una cultura meno antropocentrica da insegnare. Allo stesso tempo bisogna far apprezzare ai ragazzi i vantaggi del progresso, che abbiamo dimenticato: non parlare solo dei grandi personaggi storici , ma di come viveva il volgo quando l’età media era 40-50 anni e si facevano 4 figli per crescerne due, appena due o trecento anni fa. Francamente, non so cosa ne pensa Giussani come professore (che alle superiori e’ un po’ andare in trincea, onore ai prof.) ma a me fa pena pensare agli adolelescenti con la testa china sul Rocci di greco (se ricordo bene) , con il futuro inquietante he gli sta arrivando addosso, mentre si occupano solo di grandi autori del passato, tutti presentati come fondamentali e imprescindibili. E da ex studente scarso del classico, mi permetto lo stesso di dire che secondo me non è così. Portare più contemporaneità e più realtà in classe, farebbe bene, senza contestare il valore della cultura. Spiegare cosa è accaduto nella crisi del 2009 , da dove viene la moneta che usiamo, perché ci sono più alluvioni e cosa rischiamo, e quali progressi del ventesimo secolo dobbiamo difendere.

  3. Penso che chi produca contenuti sia sospeso costantemente fra ricerca del consenso da parte del suo target ideale e del proprio spirito critico. La ricetta è probabilmente scrivere per assecondare ora l’uno ora l’altro. Una crisi creativa, quindi, assai costruttiva.

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