Makerland, ovvero Come Fare Bene ?

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1973

Abbiamo scritto recentemente che il “fare” e` cio` che qualifica gli esseri evoluti rispetto a quelli piu` primitivi o a quelli che sono ormai degradati. Il “fare” puo` essere visualizzato come l’apice, l’apogeo, della parabola evolutiva di ogni essere vivente, il “non fare” invece caratterizza ovviamente i momenti di inizio e fine.

Abbiamo anche scritto a proposito dell’impossibilita` di ottenere un qualsiasi vantaggio energetico globale durante una qualunque transazione o trasformazione, come sancito dalla conservazione dell’energia e dalla crescita entropica. Ovvero, nulla si crea o si distrugge ma in ogni trasformazione o interazione si perde qualcosa di utile e l’energia disponibile alla fine risulta sempre meno utilizzabile di quella presente all’inizio.

Foucaults-pendulum-2281664Se quindi, fino a ieri si poteva vivere da ignoranti nell’illusione di creare un vantaggio per il futuro, oggi si dovra` ragionevolmente cercare di minimizzare lo svantaggio globale introdotto dalle nostre azioni. Lungi dal creare depressione, tale consapevolezza dovrebbe stimolare la sfida ad utilizzare le conoscenze scientifiche e tecniche per ottenere un miglioramento della qualita` della vita nell’ambito dei limiti imposti dalla natura.

Risulta pertanto chiaro che l’individuo evoluto, essendo quello che “fa” nel migliore dei modi (o nel meno peggio degli stessi) perche` si e` migliorato rispetto al passato, deve essere quello che “fa” con il minimo spreco che si concretizza nella minima distruzione dell’esistente.

Ma, se tale principio risultasse troppo vago, potrebbe rimanere il dubbio sul cosa si debba e possa Fare.

Si possono quindi osservare alcuni esempi al limite per chiarire il ragionamento.

E` abbastanza ovvio che passare l’esistenza a scavare buche nella terra per poi riempirle sarebbe uno spreco, anche se si potrebbe considerare una forma del “fare”, ancorche` tra le piu` semplici e meno tecnologicamente avanzate.

All’altro estremo della tecnologia, forse meno ovvio e` che il “fare” una bomba atomica, o qualunque altra arma sofisticata e  capace di distruggere il mondo intero rappresenta un altro spreco solenne in quanto il suo utilizzo porterebbe allo spreco dell’Umanita` intera.

Manhattan project 1Atomic_bombing_of_Japan

Tra tali due esempi si possono collocare tutte le attivita` umane del “fare” che andranno valutate per capire di qual tipo si tratti. Ovvero se siano attivita` distruttive di spreco, da evitare, o attivita` piu` o meno virtuose da favorire.

Si prenda ora ad esempio un singolo individuo dotato di varie capacita` innate.

Il non uso di alcune di tali capacita` corrisponde ad uno spreco sicuro come risorse inutilizzate.

Al contrario, la massimizzazione dell’utilizzo di tali capacita` offre la speranza di poterle usare per produrre qualcosa di utile. Rimane il dubbio se si debba prediligere una capacita` e trascurarne delle altre per massimizzarne il risultato invece di disperdere le proprie energie in una miriade di attivita` inconcludenti. Ed e` su tale argomento che la divisione del lavoro ha fatto leva per secoli in modo da costringere la maggior parte degli individui a fare una cosa sola come ad esempio avvitare bulloni alla catena di montaggio o sviluppare la concentrazione di materiale radioattivo per fare le bombe atomiche. Ma se l’operaio in fabbrica o lo scienziato in laboratorio venissero investiti di una responsabilita` piu` ampia nell’ambito di una societa` creativa e non distruttiva, le loro innate capacita` creative potrebbero produrre molte piu` cose interessanti e utili, riducendo lo spreco delle loro vite e delle risorse che utilizzano.

Ecco che, il “fare” piu` efficiente per l’individuo e` quello che vede l’impiego creativo, equilibrato e bilanciato di tutte le sue risorse, mentali e manuali allo stesso tempo.

Insomma, chi “fa” bene, e` colui che, nell’efficienza del suo lavoro creativo, utilizza la mente e la mano in ugual misura. Al contrario, chi “fa” male e, ad esempio, passa la vita a pestare tasti al computer o ad avvitare bulloni avra` certamente sprecato svariate capacita` innate e avra` quindi contribuito al degrado umano e allo spreco di energie piu` di quanto l’eventuale prodotto uscito dal suo lavoro abbia creato benefici all’umanita`.

Venendo al mondo dei “makers”, che sembra essere una nuova tendenza del “fare”, si potrebbe superficialmente vederlo come una buona cosa. Invece, come si e` detto in alcuni precedenti articoli, esso va studiato attentamente per capirne il vero valore.

Alla luce di quanto si e` ragionato, risulta che anche il maker non si sottrae alla necessita` di massimizzare l’uso di tutte le proprie capacita`, minimizzando allo stesso tempo le risorse impegnate per l’ottenimento dei risultati che si prefigge. Ed ovviamente tali risultati non dovranno mai essere di tipo distruttivo come nel caso di quelli che ambiscono a costruire pistole.

Ma purtroppo, gia` il nuovo stereotipo del “maker” che si sta diffondendo come colui che crea con le stampanti 3D, indica la perdita di capacita` creative in paragone con le precedenti generazioni di coloro che lavoravano con uno spettro molto piu` ampio di tecnologie e materiali.

Infatti, il giocare con una stampante 3D sedendo al computer per produrre oggetti piu` o meno monolitici in plastica sembra essere una utilizzazione molto parziale delle capacita` manuali della persona. E l’idea che le capacita` mentali nella creazione delle forme da stampare vengano amplificate grazie all’uso di un computer, di internet o di modelli scaricabili dalla “nuvola” rimane un’illusione alimentata dall’ignoranza del vero “fare”.

Infatti, ad esempio l’uso di machine a controllo numerico tradizionali, ancorche` asservite al computer, consente e richiede un uso piu` elevato della manualita` connessa al ragionamento richiesto dalla creazione della tattica costruttiva. In tal caso, infatti, le apparentemente ridotte liberta` di movimento di fresa e tornio tradizionali, vengono compensate dall’ingegno dell’inteletto che crea le forme come intersezioni ed inviluppi di forme geometriche di base, immaginate nella mente prima che modellate dal computer, senza perdere in originalita` del risultato finale, anzi…

In altre parole, l’apparente liberta` d’azione offerta dalle stampanti 3D, in realta` toglie al “maker” l’uso di numerose capacita` di coordinazione manuale – mentale con conseguente perdita di tali conoscenze ed impoverimento dei prodotti.

Passando ad un livello di artigianato ancora piu` pregiato, non credo che nessuno vorra` discutere la bellezza e potenziale superior qualita` di un prodotto fatto interamente a mano dall’artigiano al suo banco di lavoro. Ad esempio vorrei sapere chi porterebbe con orgoglio delle scarpe in plastica stampate al computer rispetto a delle calzature in vera pelle tagliate e cucite da un calzolaio. Per non parlare di uno strumento musicale in legno fatto a mano rispetto ad uno di plastica…

artigianoSi faccia pero` attenzione, nessuno dice che il lavoro del calzolaio debba essere antiquato e povero, anzi, un moderno calzolaio potra` comunque aiutarsi nel lavoro di taglio della tomaia con un utensile adeguato, ad esempio un raggio laser onde evitarsi I calli alle mani, sempre che, l’uso del laser sia giustificato in nome del bilancio energetico e della sostenibilita` ambientale. Ma rimane il ragionevole dubbio che l’utensile a taglio laser possa essere congeniale nel momento creativo rispetto alla manipolazione di un coltello o forbice che sono usati da generazioni e probabilmente si sposano meglio di un pennello di luce con il flusso creativo mente-mano che il nostro cervello eredita dai genitori e possiede ormai fisiologicamente. E poi difficilmente un laser da taglio potra` trovar posto in un laboratorio volto al risparmio energetico ed alla eco-sostenibilita`. Senza contare il rischio di bucarsi un ditto in un attimo anziche` di farsi lentamente venire i calli di un onesto lavoro.

A questo pounto, vorrei concludere questa nota offrendo un criterio di scelta tra il “fare bene” ed il “fare non bene”.

“Se il lavoro creativo non comporta la formazione di qualche callo e` molto probabile che non si tratti di vera creativita`”.

Del “fare male” parleremo nel prossimo articolo.

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Non credo nelle definizioni, ma dovendone scrivere una mi posso definire un inventore appassionato di autosufficienza. Ho studiato ingegneria meccanica, servito come ufficiale di Marina e fatto varie esperienze lavorative, dalla multinazionale al piccolo ufficio di progettazione. Poi ho deciso di diventare imprenditore nel campo della ricerca e sviluppo, realizzando sistemi di propulsione per nanosatelliti, sistemi ottici e nanosatelliti completi che permettono di ottenere immagini della terra a costi migliaia di volte inferiori a quelli dei satelliti normalmente usati dai governi e dalla grande industria. Negli ultimi anni mi sono dedicato allo studio di come le moderne tecnologie possono essere d'aiuto in una societa` sostenibile ed a misura d'uomo e ritengo di aver trovato la soluzione a patto di trasformare l'organizzazione del lavoro in modo da rivalutare la creativita` e l'efficienza dell'individuo in tutte le sue capacita` rispetto alla massimizzazione del profitto monetario.

2 Commenti

  1. Il vero artista è un grande artigiano.
    Il ritorno alle arti- mestieri sarebbe una grande risorsa per tutti noi.
    Ciò che distingue i paesi evoluti da quelli non evoluti è la cultura come sapere artigianale: la manualità.
    Purtroppo anche in Italia si sta perdendo.
    Ci vorrebbe una campagna di rivalutazione presso i giovani dei lavori artigianali, questo sarebbe un vero rilancio del lavoro.
    Grazie D

  2. L’esempio delle scarpe non mi è piaciuto molto. Non indosserei con orgoglio né delle scarpe di plastica né delle scarpe in pelle (sono vegano e non mi piace affatto che degli animali vengano uccisi per per la loro pelle).

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