L’altra notte, in un febbricitante dormiveglia, mi perseguitavano negli incubi i volti di Bersani, Grillo, Berlusconi e dei potenziali presidenti della Repubblica.
E’ stato tremendo, ero agitata, tenevo comizi, coglievo segnali di furtivi accordi, sudavo come invischiata in un concitato combattimento.
Poi mi sono svegliata, ho acceso la tv e ho sentito che un mio coetaneo di una città vicina s’é suicidato per aver perso il lavoro. Il corpo dell’uomo, che si é impiccato, é stato rinvenuto dalla moglie incinta di sei mesi.
La realtà supera gli incubi.
Questo é uno degli aspetti sociologici drammatici dello sviluppo che finora abbiamo perseguito: oggi ci identifichiamo col nostro lavoro a tal punto che, nel momento in cui esso ci viene negato, la nostra vita diventa inutile.
La società malata ci spinge a considerare noi stessi solo in funzione del nostro ruolo sociale. Ma un uomo senza lavoro non é un uomo fallito! E’ fallito un uomo arido di affetto, non un disoccupato.
E’ la dignità umana ad essere irrinunciabile, ma la dignità non é data dal lavoro, e in ogni caso non solo e non da qualunque lavoro.
Sono convinta che anche chi ha scritto la nostra amata Costituzione (penso agli articoli 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e 4 “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”) avesse in mente non necessariamente il lavoro retribuito, ma qualsiasi occupazione che porta del bene alla collettività.
La dignità é data dal fare qualcosa per gli altri, dal rispetto che ci portiamo a vicenda, dalle relazioni umane che sappiamo costruire, dagli affetti che ci circondano e che chi si uccide non ha saputo cogliere, o verso i quali ha provato vergogna.
La decrescita é anche una possibile via d’uscita dalla gabbia che ci siamo costruiti intorno: un decrescente sa di essere infinitamente di piu’ del proprio lavoro, di quanto guadagna o del suo ruolo sociale. Un decrescente sa che la sua dignità e la sua degna sopravvivenza sono dati da nient’altro che dall’armonia con la natura.
Siate forti, uomini, donne, giovani, la crisi vi pieghi ma non vi spezzi.
Sono tempi durissimi ma hai ragione noi non siamo il nostro lavoro, anche perche quello non cel ho piu. Al dila del problemi economici da superare ogni giorno, mi salva la mia rete di famiglia e di amici che mi ricorda che sono un uomo lo stesso anche senza lavoro. Grazie ciao.
“La società malata ci spinge a considerare noi stessi solo in funzione del nostro ruolo sociale. Ma un uomo senza lavoro non é un uomo fallito! E’ fallito un uomo arido di affetto, non un disoccupato.
E’ la dignità umana ad essere irrinunciabile”
Gli ammortizzatori sociali (per compensare le situaazioni di disoccupazione, malattia, invalidità o anche i periodi di formazione) devono pur essere pagati da un surplus fornito da coloro che lavorano, o scommettendo su un debito. Il surplus è principalmente energetico e, negli ultimi 200 anni, è andato all’esponenziale.
Molta energia a poco prezzo ha ingigantito il processo di capitalizzazione dell’economia che ha consumato molti più materiali. K, E, M hanno “sottomesso” L(avoro), rendendo l’attività produttiva e sociale sempre più una esecuzione di operazioni elementari e non più fonte di valore aggiunto. Sempre più sottraendo surplus al lavoro e mantenendo la remunerazione a livello di sussistenza.
La costanza dei salari da fame (oggi vigenti dal I al IV mondo) si spiega bene con il restringersi del surplus energetico degli ultimi anni. Il calo del ritorno energetico (EROEI) porta a minore beneficio per il capitale, il quale oltre a decentralizzare le fabbriche (la globalizzazione, in sintesi, è risparmio su stipendi e materie prime) deve mantenere alti profitti agli investitori finanziari in un contesto di costi crescenti di energia per produzione e trasporto e materiali.
sul tema una presentazione http://www.slideshare.net/giancarlofiorito/energy-crisis-and-the-economy