Educarsi a pensare in modo sostenibile: nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Ragionare i consumi. Viaggiare leggeri. Imparare a godere delle piccole cose, vivere meglio il proprio tempo, cercare di trovare e seguire il proprio ritmo.
Forse é tutto questo vedere e parlare di crisi, forse sono le letture di economia sostenibile e decrescita che mi hanno accompagnato negli ultimi anni (da Amartya Sen a Maurizio Pallante e ritorno, con molte altre tappe nel mezzo), ma in questo momento sono presissima da questi pensieri e da come posso, nel mio piccolo di individuoincastratonelsistema, metterli in pratica almeno un poco.
E allora.
Per decenni, forse secoli, abbiamo teso ad allargarci, a prendere spazio. Ora io tendo a restringermi.
Sono abituata a case grandi. Pensavo che il nostro futuro di famiglia in crescita sarebbe stato trasferirci in una grande casa.
Ora, invece, mi ritrovo a chiedermi che senso abbia possedere case più grandi. Che senso ha?
Serve per avere spazio. Spazio per metterci cosa? Spazio per metterci …COSE.
Allora mi chiedo se servono, queste tante cose per cui serve spazio. Servono? Per quasi tutte mi rispondo che no, non servono. Possiamo, la mia famiglia ed io, tranquillamente farne a meno.
Facio un esempio. Nel tentativo di riordinare la mia parte di armadio, ho scoperto che ben un terzo era occupato da una pila dei cosiddetti indumenti “da mettere in casa” (se sei una donna, hai capito cosa intendo; se sei un uomo: mi riferisco ai vestiti smessi o alle tute informi che si indossano per fare i lavori di casa. Come dici?? Quali lavori di casa??).
Beh, siamo ragionevoli. Non é che per le pulizie settimanali io abbia bisogno di più di un paio di tute informi. Cosi’ ho tenuto solo le due che meglio si abbinano al colore del mollettone per i capelli.
Insomma, dopo aver deciso che la nostra piccola casa va benissimo, sto cercando di svuotarla delle cose inutili. Tengo solo le cose che veramente servono, o che veramente adoro. Non potrei disfarmi di un ricordo di un viaggio, o della prima tutina indossata dai miei figli: son cose che non hanno un uso, é vero, ma fan bene al cuore.
Divido le cose in due gruppi: quelle assolutamente da buttare, e allora recupero attentamente le parti che possono servire (dell’abbigliamento, ad esempio, i bottoni) e differenzio con accortezza i rifiuti; quelle che possono avere una seconda vita, e allora preparo degli scatoloni da regalare ad alcune associazioni locali di cui conosco e sostengo le finalità.
Mi é capitato anche di vendere degli oggetti ancora nuovi su internet, ad esempio il forno a microonde e la macchinetta del caffé, nel momento in cui ho scoperto che avremmo potuto benissimo farne a meno. Altre cose, soprattutto attrezzatura e giochi da bambini piccoli, le ho regalate a famiglie come noi, oppure all’asilo nido del quartiere.
Perché tutta questa mania di eliminare cose? Lo dicevo all’inizio: bisogna viaggiare leggeri!
E poi per metterne dentro altre, chiaro, perché sempre donna sono.
Ma lo faccio con criterio. Molto criterio.
Il criterio del riuso.
“Esce” il mobile moderno che non mi piace piu’ e lo sostituisco con un cassettone della nonna recuperato in cantina, riportato a nuova vita con una mano di colore.
Per lo shopping faccio un giro al negozietto dell’usato il cui ricavato va in beneficenza a sostegno di una casa di accoglienza per donne in difficoltà. Scambio con mia sorella. Organizzo swap parties con le amiche.
Raccolgo i tappi delle bottiglie di plastica e i cilindri di cartone della carta igienica per creare giochi con i miei bambini.
In cucina, riduco al massimo gli sprechi. Riutilizzo persino gli “scarti” delle verdure, ad esempio i gambi dei carciofi o dei broccoli.
Non voglio vivere per consumare, io non sono gli oggetti che posso mostrare. Non mi serve una casa grande, una bella macchina, non mi servono abiti firmati, unghie ricostruite, seni rifatti. Mi serve il necessario, e cio’ che fa bene al cuore.
Abbiamo figli piccoli cui organizziamo compleanni affittando locali da riempire con decine di amichetti. Bambini dell’asilo che si riferiscono alla borsa (Vuitton) della mamma come alla “Vuitton” o, parlando del proprio giubbotto, se ne escono con un “prendo il Moncler”.
Stiamo veramente perdendo il baricentro, se un bambino di quattro anni non chiama “borsa” una borsa e “giacca” una giacca (cit. Elsa).
Quello che voglio dire è che mi sto appassionando a fare la mia parte.
Quindi, oltre a svuotare casa, sto anche progettando degli incontri su un’educazione alla cittadinanza consapevole rivolti ai ragazzini delle scuole elementari, nei quali introdurre i temi della decrescita… meglio iniziare da subito. Ma questa é un’altra pagina.
(immagine da cafferitazza.com, l’originale recita: thé ristretto, for the purist)
ciao, da quando sono nati i miei figli (il più grande ha 4 anni) anch’io sempre più “mi sto appassionando a fare la mia parte” il che mi dà una gran soddisfazione, anche se dai più vengo presa per una pazza estremista. Ti dirò: solo un assaggino di questa soddisfazione vorrei farlo provare a chi mi dà risposte come:”ahah, e cosa pensi…di salvare il mondo facendo quello o quell’altro? sei una goccia nel mare…” beh! che dire? davvero un bel ragionamento, solo che se tutti facessero la loro parte potremmo veramente cambiare le cose…ma per questo ci vuole troppo impegno eh? e anche un pò di intelligenza oserei dire…
Buon restringimento!! 😉
Mi viene in mente un cartellone comparso durante Occupy Wall Street: “Sorry for the inconvenience. We are trying to change the world”.
Un’inversione di tendenza é necessaria, i pazzi sono quelli che non lo capiscono…
mi sto molto appassionando ai temi della decrescita, e mi ritrovo appieno in quel che dici, aggiungo solo un aspetto che per me è essenziale e vorrei chiederti se sei d’accordo..la visione della decrescita è giusta, è una cultura che può salvare l’uomo sul lungo tempo..però credo che nella mia vita ci sarà qualcosa su cui si debba porre sempre una deroga a questo stile di vita:le passioni..per quanto mi riguarda è la musica..e su questo non farò mai troppi ‘tagli’ o ‘sacrifici’..credo che alla fine ‘decrescita’ voglia dire soprattutto rinunciare a tutto ciò che non ci rende felici nel profondo ma ci dà soddisfazioni illusorie..come dice un seguace di don milani ‘dal ben avere al buon vivere’
Decrescere, nell’accezione positiva che vogliamo cogliere, significa innanzi tutto comprendere quali nella tua vita sono le “merci” che non sono “beni” (cfr. Maurizio Pallante, La Decrescita Felice). E’ il contrario della bulimia consumistica. Invece non é bulimia investire in cio’ che fa stare bene!
bell’articolo esprime bene l’entusiasmo di riprendere in mano la propria vita e le proprie responsabilità! quello che davvero trovo difficile è “condividere” questo vissuto.
Molti (la maggioranza) vanno avanti e non vogliono fermarsi, mi sembrano a volte presi dalla bramosia del tossico che Deve avere quella cosa a tutti i costi!
ogni giorno siamo di piu’, non smettere di condividere!