Libertà di parola, grazie!

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Fonte Foto: http://keratinology.style.it/tag/soste-al-supermercato/

Libertà è una parola popolare e vincente, ci piace e ci rassicura. Già da qui dovremmo accorgerci che qualcosa che non va, in questo, c’è. Nella storia della cultura occidentale, chi si è accostato a tale concetto è anche pervenuto a conclusioni (se di conclusioni si può parlare) ben complesse e problematiche. Uno tra tanti, Søren Kierkegaard, connetteva la libertà, dunque la responsabilità di scelta tra bene e male, con l’angoscia. L’angoscia, dice il filosofo, è “la vertigine della libertà”, la vertigine che nasce in chi deve guardare un abisso. Prospettiva che, mi pare, nulla abbia a che vedere con la nostra cultura contemporanea; eppure essa si propone all’insegna della libertà, tanto che ne vediamo il manifesto affisso in ogni ambito: economico, innanzitutto, ma anche politico, morale, biologico. Politicamente la libertà (a parte il fatto che la vediamo sventolare sulle bandiere di arcinoti partiti) è la caratteristica essenziale del nostro sistema democratico; senza la possibilità di scegliere in segretezza e senza forzature a chi affidare il potere tra una pluralità di alternative, non esiste effettiva democrazia. La democrazia è fondata sulla libertà e la libertà deve difendere, e così fanno gli articoli 19, 20 e 21 della nostra Costituzione, in tutela della libertà di culto e religione, nonché di pensiero o espressione. Come non parlare poi della liberazione dei costumi, iniziata nel ’68 con la delegittimazione del pater familias borghese e culminata oggi con quella che lo psicanalista Massimo Recalcati chiama “evaporazione del padre”. E ancora libertà biologica, espressa massimamente nella possibilità che oggi si offre – e si persegue – per superare i limiti biologici che vincolano la nostra autodeterminazione; esempi chiari fra i tanti sono la fecondazione assistita, la chirurgia estetica ecc.                        Libertà da ogni parte, quindi. Ma in concreto che cosa significa? E perché essa appare, a quanto mi sembra, un concetto così rassicurante? Una banalissima immagine con cui penso si possa rappresentare la libertà come oggi si propone è, per alleggerire i toni, quella di un grandissimo scaffale del supermercato in cui c’è spazio per una vastissima scelta di shampoo per capelli. Siamo nella fortunatissima condizione di poter scegliere il tipo di shampoo più adatto alle nostre esigenze, alle nostre particolarità, all’identità dei nostri capelli: c’è lo shampoo ANTI FORFORA per CAPELLI GRASSI, quello PROTETTI e LISCI, quello CORPO e VOLUME, quello per CAPELLI LUNGHI, quello per CAPELLI SPENTI, quello per CAPELLI COLORATI, quello per CAPELLI SCURI, quello per CAPELLI BIONDI, quello per CAPELLI NORMALI (che cosa voglia dire poi..) ecc. ecc.

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Dinnanzi a tutta questa libertà di scelta, altro che vertigini ci dovrebbero prendere, stando a quanto dice il nostro Kierkegaard! O forse che tanto rischiosa non è questa scelta, e neanche tanto libera? Innanzitutto il rischio non c’è mai, come garantiscono le etichette. (Ma chi le ha scritte,poi? Chi le controlla? Chi è in grado di leggerle?) Inoltre qualcosa che manca in effetti c’è…ed è, signori e signori, l’alternativa allo shampoo!! Eh già, perché i modi per lavarsi i capelli non sono solo multinazionale dipendenti! Stupiti? Io lo ero quando circa due mesi fa ho provato ad eliminare completamente lo shampoo utilizzando una ricetta a base di farina di ceci e acqua. Verranno puliti i capelli? Mi chiedevo, scettica e preoccupata. Non fa la schiuma, rimarranno sporchi! Pensavo le prime volte, guardando la graziosa confezione dello shampoo che stavo provando a rinnegare. Ebbene, dopo un mese di farina di ceci i capelli sono splendidi e più belli di prima e io, intanto, ho preso coscienza del condizionamento mentale a cui siamo sottoposti a partire dalle cose più piccole e insignificanti. Liberi? Sì, di scegliere solo all’interno di ciò che il mercato ci propone. Mi pare che il recente spot della Ford riassuma bene questo concetto: “Qualunque sia la tua idea di famiglia c’è una famiglia di auto progettate per te.” In altre parole, puoi rompere qualsiasi limite, puoi determinarti come meglio credi perché il mercato offre una risposta ad ogni tuo desiderio. O, meglio, purché la risposta tu la possa trovare dentro al mercato.

Ben strana, questa libertà. Eppure la chiamano così.  Con questo articolo vorrei solo lanciare un invito, ossia di dubitare delle parole, che sono sacchi vuoti riempibili con i più vari contenuti. Partire da esse è fondamentale perché racchiudono tutto il nostro modo di pensare: potremmo stare ore parlando della stessa cosa chiamandola con modi diversi o a parlare di cose diverse chiamandole con lo stesso nome. E anche una proposta di decrescita credo non possa prescindere da ciò, dal ripartire proprio dalle parole, dallo smascherarne il significato che esse oggi assumono in concreto ed, eventualmente, dal crearne uno nuovo. Niente di diverso da ciò che è già stato fatto a proposito del “benessere”, del “progresso” e dei diversi significati che queste parole possono assumere. Liberiamo le parole, insomma, chissà che un po’ più liberi non lo diventeremo per davvero.

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Sono nata e vivo a Carpi (Mo). Sono laureata in Italianistica e sono insegnante di lettere presso la scuola secondaria di primo grado. Oltre ai libri, alla poesia, alla musica e alla montagna, amo molto i temi della pace e del dialogo interreligioso e interculturale.

6 Commenti

  1. Ottimo articolo Giulia,

    Escape from Freedom, Fuga dalla Liberta`, scrisse Erich Fromm negli anni quaranta, disturbato tra l’altro dagli eventi della Germania Nazista. http://en.wikipedia.org/wiki/Escape_from_Freedom.
    Espose i vari tipi di personalita` e specialmente il rapporto tra i caratteri autoritari: il persecutore che ha bisogno del perseguitato e viceversa cosicche` vivono in simbiosi entrambi incapaci di raggiungere quella liberta` di cui sono terrorizzati… sembra che oggi lo siamo un po tutti: chi veramente vorrebbe quello scaffale del supermercato completamente vuoto ? o peggio… niente supermercato !
    Poi secondo lui eravamo forse piu` liberi nel medioevo quando non c’era la pressione a competere, ad arrivare, a far carriera, profitto, accumulo di danaro e cose, perche` uno nasceva calzolaio e se faceva bene il suo lavoro rimaneva calzolaio tutta la vita e cio` gli dava sicurezza di casa e cibo. Tesi interessante.
    E oggi ?
    Non solo lo sciampo e` un problema.
    Ma siamo liberi di non dover comprare lo smartofono ultimo modello ?
    E quando facciamo la nostra scelta democratica nella cabina elettorale, abbiamo avuto tutte le informazioni necessarie per fare la nostra scelta in modo libero ?
    E finalmente la domanda che dovrebbe preoccuparci di piu`:
    siamo liberi di scegliere la Decrescita ?

  2. …tutto si può dire sulle odierne civiltà occidentale, tranne che manchi la libertà. C’è libertà di parola, di agire, di muoversi…..di informazione (non storcere il naso…la rete ci ha dato anche questo!) che poi gli individui non sanno che farsene di questa libertà o ne hanno paura e amano conformarsi alla massa per stare più sicuri che si può fare?!
    Già grazie che viviamo in un’epoca in cui c’è la libertà materiale…pretendere che IL SISTEMA entri nelle nostre teste per darci una svegliata è un pò troppo….LA PARTECIPAZIONE POLITICA NELLA SOCIETA’ CONSUMISTICA SI HA ATTRAVERSO I CONSUMI

    • Hahaha, ottima analisi Diego! Forse è proprio questo che intendeva dire Giulia, troppa libertà porta alle “vertigini”, e allora ecco servito un mercato che riempie questo vuoto con le sue proposte. L’ analogia sta nel fatto purtroppo, che anche gli ideologismi hanno sempre cercato di riempire questo vuoto. “La partecipazione politica nella società consumistica si ha attraverso i consumi”, così come “la partecipazione al fascismo stava nell’ adesione al partito fascista”. Lo dici anche tu che alla gente non interessa o ha paura di questa libertà; pazienza allora se fra dieci modelli di auto a benzina c’è forse l’ alternativa elettrica, o fra dieci tipologie di shampoo c’è quella casalinga low cost e biologica. Facendo così però si salta un pezzo: la nostra “libertà materiale” si basa sullo sfruttamento delle risorse altrui, il tuo discorso è perfetto se non si tiene conto che il nostro è un modello economico sbagliato,che vive alle spalle di altri. Soluzione? L’ ha scritta Giulia dandoci un’ alternativa, e in questo hai ragione, la rete ci da davvero libertà d’ informazione, però purtroppo qui siamo in tre e su facebook 300 milioni…la pubblicità (dello shampoo e non), è propaganda e ideologia allo stesso tempo, solo che non ce ne accorgiamo.

  3. Ciao, mi sembra opportuno citare il mitico Mauro Corona sul tema della libertà, condivido il suo pensiero in quanto anche per me la libertà significa bastarsi… “Ci sono tantissime libertà e a volte siamo noi che le imprigioniamo. Lo sto facendo anch’io in qualche modo, perché la libertà è inversamente proporzionale alla ricerca della notorietà che vuoi. La libertà è una parola difficile. Libertà di scrivere quello che si vuole senza finire dentro, come succede nelle dittature. Libertà è anche poter scegliere di fare una scalata invece di un’intervista.
    Ogni giorno con le nostre scelte in qualche modo limitiamo la nostra libertà.
    Uno dei miei ultimi libri, Come sasso nella corrente, l’ho dedicato agli infelici, quindi a tutta l’umanità, e credo che l’uomo non sarà mai felice finché desidererà quello che non ha. Non ci bastiamo. L’essere umano vive nella dipendenza, è schiavo di qualcosa che è lui stesso. L’uomo non può trovare la felicità se non si libera delle schiavitù che lui stesso ha scelto. Questa è la base di tutto. Felicità per me significa tranquillità, uso sereno e naturale delle cose, allegra accettazione. Non è felice chi ha di più, è felice chi ha di meno ma è soddisfatto di sé. Non è vero che nessun uomo è un’isola. Lo è, dopo si può espandere, ma per espandersi, per dare amore, per essere generoso, per essere altruista deve prima essere un’isola. L’ho scoperto tardi, ma per fortuna ci sono arrivato. Bisogna bastarsi, solo allora possiamo fare del bene agli altri. Se dipendi da qualcosa, se non ti basti, sei vulnerabile e non farai mai niente di buono. Chi è forte si libera di tutto, si libera delle cose, da san Francesco in poi è sempre stato così, e anche prima di san Francesco. Invece noi siamo troppo legati alle cose, perfino ai ricordi. Vi sono mamme che conservano e mettono via le carte della cioccolata che ha scartato il figlio piccolo. Non si può vivere in simili schiavitù. È la completezza del bastarti che fa sì che poi dai via il resto. Non è un atto di egoismo, è buon senso. Io mi basto, e mi accontento, per cui se la morosa mi pianta sopravvivo, non le sparo perché mi ha piantato. La teoria del bastarsi ti rende invulnerabile, scanzonato e generoso con tutti.”

  4. Definirei la libertà come “qualcosa che di cui ti accorgi quando manca”. Non sono d’accordo nel definire libertà la mera “facoltà” di scegliere le merci al supermercato. Questa è la vera mistificazione: facoltà fatta passare per libertà. Vi invito comunque a leggere e seguire le vicende di quel giovane (Devis Bonanni) che in Friuli sta cercando di vivere dei frutti della terra da lui stesso coltivata: un caso affascinante che ci racconta che, inseguire la libertà totale, comporta la rinuncia alla facoltà di scegliere. Devis ha rinunciato all’auto, alle vacanze, ai cibi pronti e a tanto altro. Bello ma… quasi impossibile.

    • Sono d’accordo nel senso che è una mistificazione far passare una “estrema varietà di scelta” come segno di libertà, ed era proprio questo che intendevo con l’aneddoto (che è un aneddoto e non il problema) dello shampoo. E mi sembra che sia proprio questo il tranello dell’oggi che parla tanto di libertà, quando in realtà scelte veramente alternative sono impedite e scoraggiate (anche il modello di “giovane alternativo” ormai è più che altro un clichè) e le uniche alternative tra cui poter scegliere sono quelle già preimpostate dal mercato (in senso economico, non nel senso di grande magazzino). Chi di noi può stare senza cellulare, senza internet…? Che così sia sempre stato, “da che mondo è mondo”, non mi sembra un’alibi sufficiente per evitare di prendere coscienza di questa condizione, ammesso che sia condivisibile.

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