Lettera sulla decrescita

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Cari amici della Decrescita, mi rivolgo a voi come essere vivente sulla terra. Vorrei condividere con tutti alcune riflessioni perché credo che, se non riusciremo a concentrare l’attenzione su alcuni meccanismi che regolano le nostre vite e l’esistenza su questo pianeta, non potremo trovare una via in grado di salvarci da una eventuale distruzione.
Sono d’accordo su moltissimi punti toccati dal nostro fratello di vita Serge Latouche nei suoi libri ma credo che non sia stato sottolineato abbastanza il ruolo centrale di due caratteristiche che collegano tutta la nostra esistenza. Come già voi sapete bene, viviamo in un mondo finito, con risorse limitate e quindi non possiamo assolutamente continuare a camminare sulla via che abbiamo intrapreso. Non servono studi scientifici per capire che insistere a depredare e inquinare il luogo che ci ospita, equivale a togliere le possibilità per il futuro di avere a disposizione il necessario per vivere. Ecco quindi che per pensare assieme a come comportarci guardando con una certa lungimiranza al domani, dovremmo tenere a mente alcune questioni fondamentali: viviamo sulla terra e quindi siamo tutti soggetti a delle regole che il mondo nel suo funzionamento ci impone.

«Tutto è collegato» e quello che facciamo al pianeta avrà degli effetti sul nostro vivere.
Quando utilizziamo processi, tecniche e lavorazioni che non si accordano con la natura siamo di fronte all’allargamento degli effetti di quello che facciamo e delle nostre potenzialità distruttive. Sono invece le nostre caratteristiche di esseri umani e della natura che ci ospita ad insegnarci ciò che si accorda con noi e l’ambiente che ci circonda.
L’altra questione su cui vi chiedo di concentrarvi è la complessità, sia del mondo che di noi esseri viventi. Se teniamo presenti anche solamente queste due condizioni che ci accomunano – nessuno escluso – avremo già capito sia le cause che le conseguenze di quello che stiamo vivendo oggi. Credo che non ci si sia concentrati abbastanza su questi punti fondamentali continuando ad alimentare quindi una fede nella tecnologia che potrà salvarci dagli errori che abbiamo commesso e dal gettarci nuovamente in balia dei nostri stessi limiti. L’unico riparo che abbiamo per non distruggere ancora la terra è la natura e tutto quello che funziona seguendone le regole. I popoli che per centinaia d’anni hanno vissuto (e sono morti) secondo queste leggi non scritte sono per noi esempio, la natura stessa è nostra maestra. Perché mi piacerebbe che si puntasse l’attenzione su questo punto centrale? Perché quando agiamo al di fuori di quei meccanismi a cui tutti siamo sottoposti ci troviamo in balia di una complessità di conseguenze che non sappiamo gestire e che sfuggono totalmente al nostro bassissimo e quasi inesistente controllo.
Nessuno di noi può dire di poter gestire un mondo intero anche perché solamente per tentare di portare avanti una iniziativa simile, si continuerebbero ad utilizzare gli strumenti che ci hanno messo nella condizione in cui ci troviamo oggi e che sono la fonte di tutte le distruzioni di cui ormai quotidianamente abbiamo notizia.
Questo è uno dei punti che non possiamo dimenticare. Serge nei suoi libri tocca diverse tematiche con cui mi trova d’accordo ma che, se non viste da una certa angolazione, potrebbero rischiare di portarci nuovamente fuori strada. Va benissimo restare sul locale, assolutamente perfetto tornare a ricreare le comunità e a ricostruire quindi i legami perduti e le culture “vicine” come fonte di vita ma tutto questo dovrebbe essere dovuto al fatto che siamo esseri viventi sulla terra e, se non ci affidiamo alle sue regole, ci perdiamo nell’immensa complessità delle conseguenze che si generano e che non siamo lontanamente in grado di concepire o tanto meno di coordinare tra loro.

La prima fonte di complessità è il luogo in cui viviamo. Questo tipo di complessità è quella che possiamo sopportare perché non è affidata alle nostre mani. La terra funziona bene quando i suoi meccanismi sono lasciati andare avanti senza gli stravolgimenti che le infliggiamo. Invece qual’è l’errore più grave che noi esseri viventi abbiamo commesso? Abbiamo creduto di poter controllare e comandare a nostro piacimento la vita su questo pianeta. In realtà, nessuno di noi esseri umani è in grado di concepire tutte le conseguenze del suo operato, soprattutto quando si utilizzano tecnologie che non sono conformi a quello che già c’è sulla sfera terrestre. Nel suo libro “La megamacchina” Serge Latouche dedica un capitolo importantissimo proprio all’aumento dei problemi dovuti al progresso tecnico. Quando si arriva alle “condizioni e ragioni della impossibilità di previsione” si tocca il punto centrale della complessità e della nostra incapacità di poterla controllare: “C’è una sproporzione fantastica tra la finitezza delle nostre capacità e la dismisura dei contesti che i responsabili e i cittadini dovrebbero poter assumere quotidianamente”.
Vediamo quindi che quando agiamo al di fuori delle regole della terra, creiamo i requisiti per la sua distruzione che prima non erano possibili. Non si tratta di essere dei tecnofobi ma solamente di constatare che i mezzi di cui abbiamo sopra accennato, sono quelli che consentono e creano non solo lo squilibrio e le situazioni che permettono l’avviamento e la prosecuzione del processo di distruzione, ma anche l’aumento di complessità ingestibile.
Tra le altre cose, non dimentichiamoci che, anche se volessimo e riuscissimo a vivere in un mondo da noi totalmente regolato (pena la mancanza di risorse per tutti), sarebbe difficile far accettare agli esseri umani tanta responsabilità comune e una vita simile a quella delle api dove ognuno è, per forza di cose, limitato nell’agire su dei binari artificialmente (e non naturalmente) imposti.

Ecco che se teniamo conto della nostra naturale incapacità di tenere a bada la complessità, date le nostre stesse caratteristiche fisiche, capiamo anche che “..è ragionevole scommettere sulla incapacità dell’organizzazione sociale di assumersi il compito di realizzare il migliore dei mondi, di spingerlo al limite e anche di farlo funzionare”. Più che “ragionevole scommettere” si potrebbe dire che è naturale ammettere questa situazione viste le nostre capacità innegabilmente limitate di poter gestire e controllare la complessità.
Perché tutto questo? Perché il pianeta funziona già nel modo in cui è stato creato e allontanarcene è solo l’ennesima illusione. Sempre dallo stesso libro troviamo che:”La scienza e la tecnica non sono delle figure del Male, ma l’arroganza che minaccia lo scienziato occidentale, la sete illimitata di ricchezza e la volontà sfrenata di potenza che motivano gli sponsors e i committenti e che colonizzano la tecnoscienza sono i demoni di oggi e la fonte di tutti i pericoli”. Credo che questa riflessione possa essere nuovamente fuorviante: la scienza e la tecnica, almeno per come sono oggi concepite, sono (con alcune distinzioni che non è il caso di ricordare qui) il risultato di un agire al di fuori delle regole della natura, quella natura che Serge Latouche giustamente ricorda che é e basta. Allo stesso modo tutti i nostri discorsi e le nostre teorie sul mondo rischiano di portarci nella stessa direzione seguita fino ad oggi se non ci ricordiamo che il pianeta che ci ospita è e basta e che noi siamo esseri viventi su di esso per cui dobbiamo rispettarne il funzionamento, anche a scapito delle fatiche e dei pericoli che tutto ciò comporta. Mi meravigliano le considerazioni finali del libro in cui si dice che: “..in teoria è possibile prevenire la maggior parte delle catastrofi e limitare i guasti mediante una prevenzione giudiziosa o una gestione intelligente degli incidenti”, e ancora che “Resta il fatto che tutto ciò presuppone istituzioni solide e un quadro stabile; in breve un ordine sociale nazionale e internazionale ben saldo con una società civile forte”. Mi stupiscono veramente queste considerazioni perché deviano dalla premesse toccate nel resto dei trattati del libro.

Se abbiamo capito che non siamo in grado di prevedere quello che accadrà quando utilizziamo i mezzi della scienza e della tecnica che ci portano lontani dalla natura e da noi stessi lasciandoci in balia di infinite conseguenze a cascata che sono indefinibili e incalcolabili, come potremmo ottenere un ordine sociale nazionale e addirittura internazionale se per raggiungerli e mantenerli dovremo alimentare quello stesso sistema che ci porta alla distruzione? Tanto per fare un esempio, riuscirebbero degli esseri umani a spostarsi abbastanza velocemente da un luogo all’altro del pianeta facendo conto solamente sulle proprie doti oppure mediante gli animali, per coordinare un qualcosa che è al di sopra delle loro capacità? La risposta è no: dovremmo altrimenti utilizzare ancora gli stessi mezzi che ci hanno portato dove siamo. Ricordiamoci che, quando per esempio si parla di megamacchina o di altri concetti, siamo sempre di fronte non alla realtà ma a modi di considerare il mondo che ci circonda. Tutti quei discorsi che ci allontanano dal capire le caratteristiche della natura in cui siamo immersi e i nostri precisi limiti, penso che ci portino ad aumentare ancora la confusione e l’incapacità di rapportarci al “tutto” che ci circonda. Quello che invece, ancora una volta, torna prepotentemente alla ribalda e che dovrebbe farci tornare con i piedi sulla terra, non sono le teorie sui modi di vivere che abbiamo costruito ma il fatto che viviamo su un pianeta che funziona seguendo precise leggi a cui tutti siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no. La complessità del mondo e la nostra incapacità di gestirla non possono far altro che aiutarci a capire che non dovremmo avere la superbia di considerarci padroni di nulla, nemmeno della nostra vita che è in mano (per chi è credente) a Chi ce l’ha donata.

Uno dei problemi enormi che abbiamo messo in campo sono poi il grave problema etico che noi stessi abbiamo creato: rinunceremmo alle tecnologie che inquinano o distruggono il pianeta se servono a salvare la vita di qualcuno ma che utilizzano processi che danneggiano il pianeta e quindi la vita delle generazioni future? In questo caso ci troviamo di fronte ad un punto cruciale. Mentre dalla notte dei tempi era il nostro patrimonio genetico e diversi fattori ambientali a decidere quanto sarebbe durata la nostra esistenza, oggi abbiamo messo in campo una serie di soluzioni che ci preservano dai pericoli. Con quali conseguenze? Lascio a voi la riflessione tenendo conto che torniamo al punto di partenza: tutto è collegato.

Consiglio vivamente di leggere, per completare la riflessione, il discorso di Russell Means, tenuto nel 1980 in occasione del Black Hills International Survival Gathering nel sud Dakota, dal titolo: “Perché l’America viva l’Europa deve morire”. Non è un invito allo scontro tra “nazioni”, ve lo anticipo. Il discorso di Russell Means lo trovate in lingua inglese riportato sul suo sito www.russellmeans.com nella sezione “speeches” oppure in italiano sul libro “Il cerchio senza fine”, di Enzo Braschi.
Di questo discorso non condivido alcune cose ma penso sia uno spunto molto interessante per tentare di capire qualcuno che vede la nostra culturacon occhi diversi. Russell Means incentra la sua riflessione basandosi sul sapere che gli arriva dal suo popolo. Quello che con questa piccola riflessione ho cercato di fare, è di mettere di fronte agli occhi di tutti gli esseri umani, quali sono le caratteristiche fisiche a cui nessuno può sfuggire e che per forza dovremmo ammettere di non poter superare. La complessità che non sappiamo gestire e, il fatto che su questa terra la nostra vita è collegata e interconnessa con tutto quello che vi accade, dovrebbero innanzitutto farci aprire gli occhi su quello che stiamo facendo e sugli ulteriori possibili inganni derivanti dal voler fare andare la terra come vogliamo noi e non come essa stessa è stata “progettata”.

Un abbraccio.
Elia Frigo – Un essere vivente sulla terra.

Le citazioni riportate si riferiscono al libro “La megamacchina” di Serge Latouche.
(Fonte immagine: http://pegasoviaggi.files.wordpress.com/2011/11/foresta20amazzonica_46333.jpg)

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