L’economia non ha morale

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1925

guerraCon la pubblicazione de “La ricchezza delle Nazioni”, avvenuta nel 1776 ad opera di Adam Smith, si sono poste le basi per la definitiva emancipazione dell’economia –  ovvero del mondo degli affari –  da morale e politica, due mondi che hanno sempre cercato, in un qualche modo, di arginarne il campo d’azione (dalle considerazioni di Aristotele alle leggi delle corporazioni medievali o la morale cristiana di Tommaso d’Aquino). Ma nei due secoli e mezzo che ci dividono dall’opera più importante di Smith, abbiamo assistito all’innegabile trionfo dell’economia e della sua logica su morale e politica. Crescita illimitata della produzione materiale, consumismo e razionalità economica – ovvero il perenne calcolo dei costi e dei benefici monetari di ogni attività e pensiero umano –, sono diventati i valori imperanti della nostra società (ma anche l’ormai tramontata visione marxista del mondo non metteva comunque in discussione il dogma dell’illimitatezza consumistica) al punto che nessuno può più farne a meno.

L’uomo moderno è costretto a vivere in una perenne frustrazione “esistenziale” perché incapace di esprimere i propri valori e la propria visione del mondo se non attraverso lo spettro economico (ogni pensiero o sogno deve comunque essere ricondotto alla produzione di un qualche bene o servizio che sia vendibile, ovvero che “abbia mercato”, che sia convertibile in denaro). Tutto – dalla necessità di soddisfare i bisogni più elementari, come nutrirsi o riposarsi fino alla costruzione della propria identità – deve infatti in ultima analisi fare i conti con il denaro o con la produzione, il lavoro e il mercato, in poche parole con l’economia (che tende ad annientare ogni dimensione umana che non le sia funzionale, come sta succedendo nei paesi in via di sviluppo, dove non c’è più spazio per le antiche tradizioni, se non come vuoti contenitori da rivendere alle orde di turisti con le tasche piene di dollari).

Ma ciò che più inquieta è la continua spinta del sistema economico verso una maggiore efficienza e quindi un ulteriore aumento della produttività, perché queste sono le inesorabili logiche del capitale (che deve necessariamente ricercare il più alto profitto possibile) e di tutto l’ambaradan economico (che non può assolutamente permettersi che la produzione di merci smetta di crescere, pena l’impossibilità di ripagare la montagna  di debiti che continuiamo ad accumulare per far ripartire la crescita). Ma una maggiore efficienza del sistema economico significa anche, in ultima analisi, che si sta richiedendo l’ennesimo sforzo al sistema nervoso dell’uomo moderno che, per reggere il passo con i sempre più incalzanti ritmi di una società ormai spinta verso il parossismo tenco-consumistico, è obbligato a sacrificare la propria dose di umanità e quindi anche “irrazionalità economica” in favore dell’efficienza e dell’ordine. Nel giro di qualche decennio abbiamo assistito alla trasformazione del genere umano in una massa di robot alimentati a Prozac.

Ma proprio ora che stiamo iniziando a sentire gli effetti della globalizzazione sulla nostra pelle e quindi della spietata concorrenza dei cosiddetti “paesi emergenti” – e in particolar modo dei cinesi, che meglio di noi sanno interpretare i nuovi valori economici – è forse giunto il momento di ripensare questo modello schizofrenico per riportare l’uomo e non più l’economia al centro del mondo.

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Laureato in Economia, ho avuto diverse esperienze lavorative (tra cui Ambasciata d'Italia a Buenos Aires, Monte dei Paschi, Freeandpartners, Nestle). "Verso la fine dell'economia - apice e collasso del consumismo" è il mio nuovo libro, edito da Fuoco-Edizioni. http://economiafinita.com

1 commento

  1. Tutte belle parole. Intanto vuoi vederci un libro o volete sostegno economico…..
    Il calcolo costi benefici è nella natura non solo umana. È è alla base della natura….

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