Lavorare meno, lavorare tutti

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Lavorare meno, lavorare tutti è un vecchio slogan sindacale. L’obbiettivo della settimana lavorativa di 35 ore non è più in agenda, ma l’idea è tornata di grande attualità con i contratti di solidarietà che riducendo l’orario di lavoro individuale permettono di abbassare le produzioni procrastinando nel tempo misure quali cassa integrazione e mobilità.

Il 28 maggio scorso nell’ambito del 4 Congresso Nazionale della Federazione Energia Moda Chimica e Affini della CISL ad Assisi, cui ho partecipato in qualità di delegato, ho fatto nel corso dei lavori del comparto moda il seguente intervento:

“Permettetemi di iniziare il mio intervento leggendovi una poesia di Eugenio Montale:

 Forse un mattino andando in un’aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come su uno schermo, s’accamperanno di gitto

alberi case colli per l’inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

 Ho voluto leggervi questa poesia perché esprime bene il mio personale sconcerto. Lo sconcerto che ho provato in questi ultimi anni nel capire che le rappresentazioni economiche del mondo che avevo studiato e che quasi tutti ancora continuano a proporci sono fuorvianti.

Questo sistema economico, questo modello di sviluppo ha raggiunto il limite della sua crescita: pena la distruzione del pianeta. E’ dunque necessario cambiare i nostri consumi sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi e di conseguenza cambiare il modello produttivo.

E’ particolarmente difficile declinare ciò nel comparto moda, ma ignorare l’ineluttabilità del cambiamento può avere conseguenze drammatiche.

Non voglio farla troppo lunga: vi invito a leggere Pasolini, Illich, Latouche.

Da quest’ultimo pensatore prendo una proposta importante: scambiare gli incrementi di produttività con la diminuzione del tempo individuale di lavoro e l’aumento dei posti di lavoro.

Aggiungo che la nostra organizzazione ha le capacità per farsi promotrice di iniziative quali casse di mutuo soccorso, banche del tempo, monete complementari. Cominciamo a pensarci”.

Nel dibattito, ahimé, molti hanno ancora parlato di sviluppo sostenibile, di ripresa economica, di una vaga problematica ambientale. Qualcuno però ha anche affermato che non si può parlare di crisi, bensì di svolta epocale e che il ritorno alla situazione ex-ante non è pensabile o che la compatibilità ambientale deve divenire un prerequisito cogente in ogni scelta di cosa e come produrre nei nostri settori industriali.

L’idea di lavorare meno poi è stata non solo ripresa nel dibattito, ma anche riproposta sotto diverse angolature da altri interventi. Manca ancora la coscienza dell’importanza del passaggio non solo in termini solidaristici, ma come passo verso una nuova organizzazione sociale, che vada finalmente verso la grande promessa mancata dell’era delle macchine di dare più tempo alle persone sgravando il tempo di lavoro senza ridurre il benessere.

Sappiamo che questa promessa è stata invece inghiottita dalla follia consumistica della crescita per darci un benessere effimero e soprattutto non sostenibile.

Il cammino da fare per arrivare a dare gambe, anche nel sindacato, a un percorso virtuoso è ancora lungo, ma alcune idee si stanno facendo strada e ogni passo nella direzione giusta è il benvenuto.

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Laurea in scienze agrarie, dottorato di ricerca in economia del sistema agroalimentare, sta avviando un'attività agricola autonoma. Scrittore dilettante pubblica racconti e poesie nel suo blog (http://debolisegnali.blogspot.it/). Fortemente orientato a decrescere felicemente.

4 Commenti

  1. Bisogna ragionare sul fenomeno lavoro in maniera strutturale. E’ evidente che gli incrementi di produttività (il progresso tecnologico) consentono – a parità di forza lavoro – di produrre di più; o, se preferite, a parità di produzione (offerta) di impiegare meno forza lavoro. Il limite con una produttività all’infinito e che con un secondo di lavoro si puo’ produrre tutto ciò che serve; ma se si lavora due secondi per far lavorare qualcun’altro si producono merci in eccesso che non servono e inquinano, oltre a consumare risorse naturali spesso non rinnovabili. “Lavorare meno, lavorare tutti” deve tornare a essere una nostra lotta; ma bisognerebbe spiegare (in primis ai sindacati) che non andrebbe relazionato ad una scala temporale settimanale (un paio di ore in più o in meno). Anche l’approccio di certa sinistra di difendere una età pensionabile ridotta (quanti ne conosco che con la vita che si allunga, sono capaci e hanno voglia di lavorare magari anche a 70 anni). La soluzione proponibile per diminuire la disoccupazione e redistribuire il lavoro (e i redditi) puo’ essere l’Anno sabbatico”; 1 ogni 10 per abbattere il 10% di disoccupazione (a stipendio ridotto .. coi contributi versati ). Si libererebbero subito posti di lavoro per giovani…i meno giovani godrebbero ogni tanto di un anno di pensione anticipata (parzialmente retribuita)….per poter studiare, viaggare, dipingere, qualsiasi cosa… con una salute migliore di quando si è più avanti con gli anni … Creare una società nella quale si vivrà meglio lavorando e consumando di meno é anche il pressupposto per affrontare il problema della disoccupazione.

  2. A ben riflettere, “lavorare meno, lavorare tutti” va bene solo in ambito sindacale, quando si tratta di produzione e di salari, ma anche in questo ambito dovrebbe essere corretto in: “lavorare meno, lavorare tutti, guadagnare tutti di meno”. L’errore che è stato fatto è proprio quello di non aver programmato un limite ai redditi. Se non si introduce il “guadagnare tutti meno”, cioè il dividere i proventi della produzione, si finisce (come si è finito) con l’innescare una spirale inflattiva, facendo inoltre crescere i consumi in un mondo che non è il pozzo di San Patrizio. Coloro che non capiscono perchè è indispensabile programmare dei limiti dovrebbero riflettere sul fatto che siamo (per ora) in 7 miliardi e che dobbiamo lottare per l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, ma non possiamo certo lottare perchè, in nome dell’uguaglianza, tutti i 7 miliardi di esseri umani possiedano e consumino quanto possiede e consuma il cittadino italiano medio (e men che meno il sig. Berlusconi Silvio). Non si tratta di essere comunisti (anzi, entro il limite programmato, ben vengano le differenze giustificate da maggiori sacrifici o maggiore impegno). Si tratta di non essere folli. Lo so che non piace a nessuno sentirsi dire che il cittadino italiano medio sta troppo bene, ma per chi ritiene che i privilegi dell’italiano medio debbano essere conservati, inibendoli ai nove decimi della popolazione mondiale per evitare la catastrofe ecologica, sono disponibili sul mercato nero armi biologiche, armi chimiche, bombe atomiche e altro materiale vario.

  3. Lavorare meno guadagnando uguale significherebbe redistribuire la ricchezza e cambiare il tipo di consumi, diminuendo il consumo dei più ricchi e aumentando quelli dei meno, l’impatto non è di facile valutazione.
    Oggi però anche in ambito sindacale è chiaro che la riduzione dei tempi di lavoro è concepibile solo con una diminuzione dei redditi. Come diminuire poi i tempi è una questione apertissima. L’ideale sarebbe di farlo in modo funzionale alle esigenze degli individui, dei lavoratori per permettere loro una vita migliore. Si può pensare a lavorare mezza giornata a testa, a giorni alternii, ma anche una settimana a testa o un mese a testa. L’importante è relaizzare il decremento delle produzioni, la diminuzione dei redditi monetari e l’aumento del tempo libero.

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