A qualcuno apparirà strano che possa esistere una qualche connessione fra il famoso filosofo cinese del sesto secolo a.C. e un tema contemporaneo come la decrescita, nato in critica a un modello economico-culturale figlio degli sviluppi più recenti dell’industrialismo.
In realtà i temi trattati da Lao Tzu nel Daodejing, l’unica opera attribuitagli [1], sono più attuali che mai, e rappresentano forse uno dei lasciti più preziosi a cui l’uomo moderno occidentale possa attingere nella ricerca di una via di fuga dallo stress da scelta di una società dove tutto è in vendita e ogni cosa è possibile [2].
Nel suo libro, Lao Tzu non ci suggerisce di perseguire una vita da eremiti rifuggendo tutto e tutti, quanto invece di “tenersi nel giusto mezzo” [3].
Partendo dalla considerazione che più cose si hanno -prodotti materiali ma anche conoscenza- più se ne possono perdere e meno se ne possono guadagnare, egli si domanda fra “guadagno o perdita, quale è peggio?”; infatti “quanto maggiore è la parsimonia tanto maggiore è la spesa, più grandi sono i tesori, più grande è la perdita”. Esercitando la moderazione, al contrario, “colui che sa soddisfarsi non sarà confuso” [4]. Allo stesso modo “colui che possiede poco acquista, colui che possiede molto è indotto in errore” (5).
Se è vero che la sua natura spinge l’uomo a desiderare sempre di più nonostante ciò non accresca la sua felicità, una società dove questa brama si istituzionalizzi produrrà necessariamente una cultura che devia le priorità degli individui verso ideali di possesso. Eppure “non c’è disgrazia più grande che il desiderio di ottenere. Poiché sapere che abbastanza è abbastanza significa avere sempre a sufficienza” [6]. Per questa ragione “il saggio evita ciò che è eccessivo” [7].
E’ possibile che tutto questo paia follia poiché folle è il sogno che stiamo tutti vivendo: l’incubo della crescita per la crescita; Un consumismo che è innanzitutto un consumo di noi stessi. Del resto “non esiste una condizione normale, il normale diventa di nuovo bizzarro […] ma in verità gli uomini sono per lungo tempo accecati” [8]. Ed è con spiazzante semplicità che Lao Tzu ci confida, in uno degli ultimi paragrafi della sua opera, che “le parole rette sembrano paradossali” [9]. La decrescita è una di queste.
note:
1) La tradizione gli attribuisce anche la paternità di un’altra opera, lo Huahujing, il quale tuttavia è considerato da molti storici un apocrifo. La stessa esistenza dell’uomo Lao Tzu è dubbia (il nome Lao Tzu significa semplicemente “vecchio maestro” e il suo vero nome non è noto).
2) Per un approfondimento sull’instabilità esistenziale dell’uomo-consumatore occidentale e le dinamiche strutturali e soggettive inerenti vedi ad es. il recente saggio di C. Giaccardi e M. Magatti “La globalizzazione non è un destino. Mutamenti strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea” e in particolare i cap. 4 e 5.
3) Daodejing, cap. 5
4) Daodejing, cap. 44
5) Daodejing, cap. 22
6) Daodejing, cap. 46
7) Daodejing, cap. 29
8) Daodejing, cap. 58
9) Daodejing, cap. 78
La traduzione a cui faccio riferimento è a cura di Anna Devoto, dalla traduzione francese di J. J. L. Duyvendak, il quale a sua volta ha condotto la traduzione sull’originale cinese.
Fonte foto TOM@HK