La voce del passato durante le vacanze

Un passato che si avvicina sempre più!

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Ogni estate io e la mia compagna trascorriamo alcune settimane di vacanze nel mio paese di nascita in Lucania. Abitiamo nella mia vecchia casa di famiglia che ormai viene utilizzata solamente da noi in questa occasione.
Negli anni passati ho utilizzato questi periodi per fare delle ricerche (oltre che andare al mare, visitare i parenti e altro). Alcune di queste ricerche le ho proposte sul blog di Decrescita felice social network come http://www.decrescita.com/news/il-problema-dellacqua/ , e http://www.decrescita.com/news/recente-passato-prossimo-futuro/ .
Quest’anno non ho fatto una ricerca specifica ma le tante cose che mi capitavano sotto gli occhi mi facevano andare indietro nel tempo alla ricerca del loro significato e della importanza che potrebbero avere in una realtà improntata alla decrescita (che è la realtà a cui probabilmente andremo incontro). L’attuale modo di vita non è più sostenibile e prima o poi i nodi verranno al pettine (esaurimento dei combustibili fossili facili da ottenere e cambiamenti climatico-ambientali): sarà necessario un ritorno alle radici, cioè un ritorno a modi di vita precedenti l’era dei combustibili fossili abbondanti e a buon mercato, a modi di vita in cui la maggior parte di quanto necessario per vivere provenga dal territorio circostante!

I “gallinari”
I “gallinari” sono i pollai che quasi ogni famiglia possedeva.
Il “gallinaro” come struttura era situato nel vano del muro frontale della casa. I muri infatti erano molto spessi (il muro frontale della mia casa è spesso 70 cm) ed erano quindi in grado di contenere un piccolo vano in grado di ospitare alcune galline.
Molti “gallinari” sono stati eliminati o, raramente, trasformati in piccoli vani dove mettere il secchio dei rifiuti o altro. In ogni caso, anche se sono rimasti come struttura, non sono stati più utilizzati per tenere le galline dalla fine degli anni ’50: ricordo che in quegli anni passavano i vigili per le strade che dicevano che non si potevano più tenere le galline all’interno del paese.
Ricordo che anche la mia famiglia aveva un “gallinaro” (che in seguito è stato eliminato). Ospitava 3-4 galline. Le uova fatte dalle galline avrebbero sicuramente dato un certo contributo all’apporto proteico in una alimentazione che allora era molto povera (in un’altra ricerca fatta in passato ho descritto l’apporto proteico che nelle zone rurali veniva dato dalle “piccionaie”). Le galline a loro volta erano alimentate con i resti dell’alimentazione umana e con la “canigliata”, un impasto di crusca e acqua.
Ricordo però che raramente ho mangiato delle uova. Il motivo è che mia madre (come probabilmente le altre famiglie) utilizzava le uova come merce di scambio per darle ai venditori ambulanti che andavano per le strade del paese e vendevano il sapone, la “medicina” (varecchina) e altro relativo all’igiene.

P1020967 Foto 1 Lo sportello in basso a destra è del “gallinaro”. Lo sportello più in alto a sinistra è l’accesso esterno della cisterna (vano sottorraneo dove si raccoglieva l’acqua piovana). Lo sportello del “gallinaro” veniva aperto per potere effettuare le pulizie e prelevare le uova mentre per l’entrata e uscita delle galline veniva tenuto aperto solamente lo sportellino in basso.

P1020427 Foto 2 Un altro “gallinaro”; sulla destra, dopo la porta, c’è lo sportello esterno della cisterna

Una visita a Tursi
Un giorno con la mia compagna vado a trovare un amico a Tursi, un paese distante alcune decine di km. E’ un amico che abita a Bologna (dove l’ho conosciuto) e che è originario di Tursi, dove ogni estate si reca per alcune settimane.
Questo amico ci conduce alla “Rabatana”, il vecchio quartiere arabo (l’amico ci dice che il “toponimo” significa “tana degli arabi”) un vecchio quartiere situato nella parte più alta di Tursi e che negli ultimi anni è stato soggetto a un forte intervento di recupero.
Nella serata in cui visitiamo il quartiere si svolgono diverse attività artistiche e culturali. In alcuni locali sono preparati delle pietanze tradizionali del paese. Ciò che colpisce è che le pietanze (che la mia compagna ha mangiato e ha trovato molto gustose) sono fatte con ingredienti poveri (i comuni ortaggi, dalle cipolle ai peperoni e melanzane, ecc.).
In un altro locale sono presentati antichi strumenti e macchine per la lavorazione del cotone, della canapa e di altre fibre oltre che bellissimi capi di biancheria come tovaglie, asciugamani, lenzuoli, vestaglie, ecc. fatti con le suddette macchine e risalenti anche a un secolo fa.

P1020947 Foto 3 Una vecchia macchina tessile azionata a mano

P1020948 Foto 4 Un vecchio telaio per il ricamo

P1020949 Foto 5

P1020955 Foto 6

Le foto 5 e 6 espongono i bellissimi capi di biancheria fatti in passato con le vecchie macchine e attrezzi esposte dalle altre foto

Una visita a Matera
Ogni anno andiamo a fare una visita a Matera: è una città troppo affascinante per non visitarla almeno una volta all’anno!
Con la mia compagna dicevo che sarebbe opportuno, quando si visitano delle città o altri posti, fare delle visite guidate, altrimenti del posto si capisce poco o niente.
Cogliamo l’occasione per visitare il “Palombaro lungo”, una grandiosa opera idraulica posta proprio sotto la piazza centrale di Matera (nelle visite degli anni precedenti c’era letteralmente sfuggita!)
Quello dell’approvvigionamento dell’acqua sarà uno dei grandi problemi che affliggeranno l’umanità in futuro. Forse non ce ne accorgiamo ma l’acqua che beviamo è impregnata di petrolio e di altri combustibili fossili: infatti per rendere disponibile l’acqua è necessario che piova e nevichi ma poi è necessario captarla, trasportarla e distribuirla; ciò richiede la costruzione di dighe, acquedotti, serbatoi, impianti di sollevamento idrico e altre strutture ancora oltre che un continuo lavoro di manutenzione; ciò significa, per concludere, enorme consumo di energia e quindi di petrolio e altri combustibili fossili!
Per questo motivo sono sempre stato interessato a questo problema nelle ricerche che ho fatto nel mio paese e nel territorio circostante.

E’ bene adesso entrare nel merito della struttura visitata trascrivendo quanto scritto nella locandina esposta nelle vicinanze:
“Sotto questa piazza, invisibile i inimmaginabile, c’è il Palombaro Lungo: una fra le più imponenti cisterne per la raccolta dell’acqua mai realizzate. Scavato con la sola forza delle braccia in diverse fasi fin dal XVI secolo, nella sua attuale dimensione ha una capacità di 5 milioni di litri d’acqua, una profondità di 16 metri ed una lunghezza di 50 metri. Le sue pareti rocciose sono completamente rivestite di coccio pesto, uno speciale intonaco a base di terracotta che le rende impermeabili. Fu trovato ancora pieno di acqua nel 1991. Oggi invece potete visitare questo capolavoro dell’antica ingegneria idraulica grazie ad agevoli passerelle con tour guidati che partono ad orari fissi nei giorni di apertura e su prenotazione nei giorni di chiusura.”

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Un’altra locandina dà ulteriori informazioni sul “Palombaro Lungo”, sulla sua nascita e sulle caratteristiche tecniche.
Trascrivo il contenuto di questa seconda locandina.
“A seguito della urbanizzazione della zona del Piano, iniziata verso la fine del XVI secolo e conclusasi con la realizzazione dell’asse urbano Sette-Ottocentesco di via Ridola, via del Corso, Piazza V. Veneto e via XX Settembre, si presenta la necessità di approvvigionamento idrico della area a servizio dei residenti. Variata anche la tipologia edilizia rispetto ai Rioni Sassi, costituita da unità minime di residenze, ognuna provvista di cisterne di raccolta delle acque piovane, con la costruzione di fabbricati a più piani, si realizza un sistema idrico pubblico costituito da più contenitori di acqua.
Non dimenticando le due cisterne esistenti nelle immediate vicinanze del luogo ove sorgeva la Fontana pubblica, ai piedi della collina del Castello, nella piazza V. Veneto si provvede ad attuare un ampio serbatoio utilizzando cisterne e cavità già esistenti che danno vita al cosiddetto “Palombaro Lungo” il quale si ampia sempre più in funzione dell’aumento della popolazione residente: l’ultimo ampliamento documentato risale al 1870.
La particolare articolazione planimetrica e volumetrica scaturisce dalla aggregazione, sia in orizzontale che in verticale, di cavità ipogee e cisterne preesistenti. Nel punto più profondo ha una altezza di circa quindici metri ed è stato stimato che, al massimo livello, potesse contenere circa cinquemila metri cubi di acqua.

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Tutta la superficie delle pareti, sulle quali sono evidenti tutti i livelli raggiunti dall’acqua, è intonacata col classico intonaco coccio-pesto. Non si è riusciti a capire in che modo fosse alimentato ed è ancora alimentato: all’infuori della raccolta dell’acqua di una piccola porzione del vicinato, non sono state rintracciate ulteriori bocche di adduzione. Si è constatato, però, in questi ultimi anni, che l’acqua della falda naturale che, nonostante le numerose deviazioni subite, continua ancora oggi ad essere attiva, anche se non confluisce direttamente nel Palombaro, sgorga in un locale attiguo ad esso, è assorbita dalla roccia e fuoriesce nella cisterna attraverso le pareti e il fondo.
Nella zona di ingresso si possono osservare i fori, nella superficie rocciosa di copertura, che corrispondono ai pozzi presenti in piazza attraverso cui l’acqua veniva prelevata con i classici secchi in alluminio.”

La visita all’interno del “Palombaro Lungo”
Siamo nel tardo pomeriggio e, come già detto, con la mia compagna decidiamo di visitare il “Palombaro Lungo”. C’è molta gente interessata alla visita e a stento riusciamo a fare i biglietti per partecipare alla visita dell’ora successiva, l’ultima della giornata. Alcune persone interessate sono invitate alle visite per il giorno dopo.

P1030017 Foto 9 Uno scorcio dell’imponente struttura di raccolta dell’acqua; nella parte in basso si notano le passerelle utilizzate per le visite guidate

La visita dura circa mezz’ora. Sono stupito dalla grandiosità dell’opera. La guida spiega preliminarmente il nome dato a questa struttura: “Palombaro” deriva dal latino ‘plumbum’, piombo, che era il materiale con cui i Romani costruivano le condutture, le valvole e altri componenti degli strutture idrauliche. La guida continua la presentazione descrivendo la nascita e le caratteristiche di questa struttura, dando ulteriori indicazioni oltre quelle contenute nelle due locandine riportate. Viene detto che le fonti che alimentavano e alimentano la struttura sono l’acqua piovana e l’acqua di falda.
La guida indica con una torcia elettrica i punti sulla volta della struttura in cui c’erano le aperture per prelevare l’acqua con dei secchi. Indica nella parte più alta della struttura il livello raggiunto dall’acqua nel 1991, l’anno in cui si entrò nel “Palombaro Lungo” dopo decenni di abbandono.
La guida dice che la struttura è stata utilizzata fino al 1927, l’anno in cui arrivò l’acqua dell’acquedotto.
Intervengo in merito all’ultima cosa detta dalla guida per dire che al mio paese di nascita (che fa parte della provincia di Matera) i lavori per la costruzione del serbatoio dell’acquedotto furono ultimati nel 1934 e che l’acqua arrivò concretamente alla popolazione nel 1936 ma da una intervista fatta a uno studioso che ha scritto un saggio sulla storia del mio paese è risultato che al mio paese l’apporto di acqua derivata dall’acquedotto era decisamente insufficiente per il fabbisogno della popolazione per cui si continuò ad approvvigionarsi ancora dell’acqua raccolta dalle cisterne e da quelle delle sorgenti. Concludo l’intervento dicendo che probabilmente anche a Matera andò nello stesso modo per cui anche dopo il 1927, l’anno in cui arrivò l’acqua dell’acquedotto, si continuò ad approvvigionarsi di acqua attingendola dal “Palombaro Lungo”.

Fonte foto
Tutte le foto sono state fatte da me

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Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

1 commento

  1. A un certo punto nell’articolo sta scritto:
    “Forse non ce ne accorgiamo ma l’acqua che beviamo è impregnata di petrolio e di altri combustibili fossili: infatti per rendere disponibile l’acqua è necessario che piova e nevichi ma poi è necessario captarla, trasportarla e distribuirla; ciò richiede la costruzione di dighe, acquedotti, serbatoi, impianti di sollevamento idrico e altre strutture ancora oltre che un continuo lavoro di manutenzione; ciò significa, per concludere, enorme consumo di energia e quindi di petrolio e altri combustibili fossili!”
    L’espressione è imprecisa nel senso che l’acqua che beviamo è una piccolissima parte dell’acqua che utilizziamo: la maggior parte dell’acqua viene utilizzata in agricoltura, nell’allevamento e nelle varie altre attività produttive. Inoltre dell’acqua utilizzata per usi civili la maggior parte serve per l’igiene della casa e della persona, per la cottura dei cibi, ecc. e quindi sono una piccolissima parte viene usata per bere.
    Per una ulteriore e maggiore precisione bisogna dire che buona parte dell’acqua usata per bere è acqua minerale…ma questo è un altro argomento!!
    Vi saluto cordialmente
    Armando

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