La storia in una canzone

L'arrabbiata

4
5795

Introduzione
A questo articolo originariamente avevo dato il titolo “L’arrabbiata” per diversi motivi: perché faceva il verso alla canzone “L’avvelenata“ di Francesco Guccini, perché era rivolto a un’altra canzone di questo cantautore che si intitola “Il pensionato” e perché era dedicato con rabbia (per motivi personali) allo stesso Francesco Guccini. Poi invece ho deciso che sarebbe stato più corretto dargli il titolo “La storia in una canzone” conservando “L’arrabbiata” come sottotitolo.
Il motivo di questo titolo deriva dal fatto che ho visto in quella canzone di Guccini aspetti importanti della storia che si stava delineando negli anni settanta del XX secolo, in quel decennio che considero una età assiale nella storia moderna e che segna quindi uno spartiacque con quanto avvenuto fino a quel momento (si veda a tale proposito il mio http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/ ).
Il motivo del sottotitolo deriva invece, come si accennava nelle prime righe, a motivi personali.

Foto 1 da www.youtube.com
Foto 1 Francesco Guccini

Trattazione

Il boom economico in Italia
In Italia, dopo le privazioni che sicuramente ci furono durante gli anni della seconda guerra mondiale, negli anni cinquanta e sessanta ci fu il boom economico. Le condizioni di vita cambiarono sicuramente in meglio. Cambiarono in meglio in tutta Italia, anche se il miglioramento delle condizioni di vita del Mezzogiorno e delle Isole si basava anche sulle rimesse degli emigrati, cioè dei risparmi che gli emigrati inviavano alle loro famiglie.
Gli acquedotti e l’energia elettrica arrivarono in sempre più posti e nelle case entrarono cucine a gas, frigoriferi, lavatrici e televisori. Migliorarono le condizioni igienico-sanitarie e si diffuse l’istruzione scolastica pubblica. Diversamente da quando avviene adesso (almeno in alcune parti di Italia) se un bambino non frequentava la scuola dell’obbligo a casa arrivavano i carabinieri per “sanare” la situazione.
Le cose sicuramente cambiarono in meglio nel Nord Italia, nella Regione Emilia Romagna e a Bologna in particolare.
Secondo una canzone di Francesco Guccini che si intitola “Il pensionato” sembra che le cose non fossero così come ho detto.

Il pensionato
Francesco Guccini dedica la canzone “Il pensionato” a un pensionato che effettivamente viveva nell’appartamento a fianco del suo.
Questo è il testo della canzone
“Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare,
l’ odore quasi povero di roba da mangiare,
lo vedo nella luce che anch’ io mi ricordo bene
di lampadina fioca, quella da trenta candele,
fra mobili che non hanno mai visto altri splendori,
giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori,
fra i suoni usati e strani dei suoi riti quotidiani:
mangiare, sgomberare, poi lavare piatti e mani.

Lo sento quando torno stanco e tardi alla mattina
aprire la persiana, tirare la tendina
e mentre sto fumando ancora un’altra sigaretta,
andar piano, in pantofole, verso il giorno che lo aspetta
e poi lo incontro ancora quando viene l’ ora mia,
mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia:
“Buon giorno, professore. Come sta la sua signora?
E i gatti? E questo tempo che non si rimette ancora…”

Mi dice cento volte fra la rete dei giardini
di una sua gatta morta, di una lite coi vicini
e mi racconta piano, col suo tono un po’ sommesso,
di quando lui e Bologna eran più giovani di adesso…

Io ascolto e i miei pensieri corron dietro alla sua vita,
a tutti i volti visti dalla lampadina antica,
a quell’ odore solito di polvere e di muffa,
a tutte le minestre riscaldate sulla stufa,
a quel tic-tac di sveglia che enfatizza ogni secondo,
a come da quel posto si può mai vedere il mondo,
a un’ esistenza andata in tanti giorni uguali e duri,
a come anche la storia sia passata fra quei muri…

Io ascolto e non capisco e tutto attorno mi stupisce
la vita, com’è fatta e come uno la gestisce
e i mille modi e i tempi, poi le possibilità,
le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità
e ancora mi domando se sia stato mai felice,
se un dubbio l’ ebbe mai, se solo oggi si assopisce,
se un dubbio l’ abbia avuto poche volte oppure spesso,
se è stato sufficiente sopravvivere a se stesso…

Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
a conti fatti, la sua solitudine o la mia…

Diremo forse un giorno: “Ma se stava così bene…”
Avrà il marmo con l’ angelo che spezza le catene
coi soldi risparmiati un po’ perchè non si sa mai,
un po’ per abitudine: “eh, son sempre pronti i guai” .
Vedremo visi nuovi, voci dai sorrisi spenti:
“Piacere”, “E’ mio”, “Son lieto”, “Eravate suoi parenti?”
E a poco a poco andrà via dalla nostra mente piena:
soltanto un’ impressione che ricorderemo appena…”

Foto 2 www.forexinfo.it
Foto 2 Pensionati

Analisi della canzone
Ovviamente nell’analizzare questa canzone mi riferisco solamente ad alcuni contenuti della stessa canzone: mi riferisco per la precisione alle condizioni materiali di vita in cui, secondo Guccini, viveva il pensionato.
Mi riferisco a quando Guccini parla di
“l’ odore quasi povero di roba da mangiare”
oppure quando dice
“lo vedo nella luce che anch’ io mi ricordo bene
di una lampadina fioca, quella da trenta candele,”
oppure ancora quando dice “a quell’ odore solito di polvere e di muffa” ,
oppure, e per terminare, quando dice, “a tutte le minestre riscaldate sulla stufa” e di “un’ esistenza andata in tanti giorni uguali e duri”
Considerazioni
I motivi per cui viene redatto questo articolo, come si capisce da quanto già detto nell’introduzione, sono due: il principale è che nella canzone di Francesco Guccini vedo un riflesso e una reazione alle direzioni principali che poi prenderà la storia. In questa canzone si intravvede il sorgere della separazione fra le sorti delle vecchie generazioni e quelle delle nuove generazioni, della separazione fra regioni settentrionali e regioni meridionali dell’Italia e della separazione fra nord e sud del mondo.
Il secondo motivo alla redazione di questo articolo è di tipo personale: questa canzone mi ha fatto rabbia e con questo articolo esprimo anche i motivi di questa rabbia.

Foto 3 bastacasta.altervista.org
Foto 3 Pensionati in fuga all’estero

Confronto fra me e il pensionato
Inizio col trattare del secondo motivo di questo articolo.
Sono venuto per la prima volta a Bologna più o meno in quel periodo a cui si riferisce la canzone (la canzone dovrebbe essere stata scritta nel 1976 e io sono venuto a Bologna per la prima volta quattro anni dopo, per la precisione alla fine di maggio del 1980). Il motivo per cui provo rabbia è dovuto al semplice fatto che ritengo che siano false quelle considerazioni che Guccini faceva sulle condizioni di vita del pensionato e che sotto c’era tutt’altro motivo.
Vorrei fare un confronto fra la situazione del pensionato e la mia.
Per prima cosa però bisognerebbe stabilire di quale importo fosse la pensione di questo pensionato.
Non è facile stabilire questo valore perché bisognerebbe sapere la sua storia lavorativa. Aveva lavorato come dipendente oppure come lavoratore autonomo? Aveva lavorato come dipendente nel settore pubblico oppure nel settore privato?
In ogni caso, rispetto all’attuale situazione, negli anni settanta del secolo scorso i requisiti di accesso al pensionamento erano più favorevoli sia in termini di età che di contribuzione (in alcuni settori del pubblico impiego si poteva andare in pensione addirittura solamente dopo 15-20 anni di lavoro). Inoltre il sistema di calcolo della pensione era più favorevole (si applicava il sistema retributivo e non quello contributivo). A ciò bisogna aggiungere che a Bologna c’era piena occupazione e l’economia era in forte sviluppo per cui si può concludere che, qualunque fosse stata la situazione lavorativa-contributiva di questo pensionato, la pensione che percepiva non era paragonabile (nel senso che era migliore, sia nell’importo che nelle condizioni per accedervi), a quella che, a parità di condizioni, si sarebbe percepita nei periodi successivi agli anni settanta e che si percepirà in futuro. A ciò bisogna aggiungere che questo pensionato se durante la vita attiva fosse stato lavoratore dipendente avrebbe potuto fare il doppio lavoro (il secondo lavoro sarebbe stato in nero) oppure se fosse stato lavoratore autonomo avrebbe fatto molto lavoro in nero, evadendo gli obblighi fiscali e previdenziali. Quello di fare lavoro nero in aggiunta a un lavoro regolare oppure di continuare a lavorare una volta in pensione era molto diffuso in quei tempi (adesso invece, in molti casi, soprattutto fra i giovani, si fa solamente lavoro nero o si è disoccupati). In questo caso i maggiori guadagni conseguiti si sarebbero trasformati in maggiori consumi e in risparmi che poi sarebbero affluiti in sottoscrizione di titoli o nell’acquisto di un’altra o più altre case (magari da affittare in nero a studenti o immigrati).
Probabilmente il pensionato non pagava l’affitto perché proprietario della casa in cui viveva (altrimenti Guccini lo avrebbe messo ben in risalto, magari dedicandogli una decina di strofe, trasformando la canzone in un pianto greco!).

La mia situazione era diversa.
In quei tempi ero studente iscritto all’Università di Roma (ero fuori corso). Dato che mi sono dovuto sempre mantenere da solo e dato che a Roma era difficilissimo trovare lavoro, ogni estate dovevo andare a lavorare da qualche parte e con i soldi che guadagnavo sostenere le spese sia per il periodo in questione che per il resto dell’anno.
Arrivai a Bologna alla fine di maggio del 1980. Già due giorni dopo l’arrivo iniziai a lavorare. Lavorai come operaio in edilizia (che è il lavoro che ho fatto quasi sempre), l’orario di lavoro era di circa nove ore al giorno in media e a volte si lavorava anche di sabato. Il lavoro svolto era in nero e le condizioni di lavoro, soprattutto in relazione alla sicurezza, lasciavano molto a desiderare.
Ovviamente dovetti trovare un posto letto (che ovviamente pagavo così come pagavo il posto letto che conservavo a Roma).
Per quando riguarda le condizioni in cui vivevo sia in quel periodo che per il resto dell’anno a Roma non ho ricordo di “odore quasi povero di roba da mangiare”, non ricordo di “minestre riscaldate sulla stufa”, non ho ricordo di una “lampadina fioca, quella da trenta candele”. Soprattutto non ricordo di “un’esistenza andata in tanti giorni uguali e duri” perché si cambiava spesso cantiere, anche se lavorare nei cantieri per circa nove ore al giorno, sotto il sole d’estate, era duro. Il sabato (nel caso non lavorassi) e la domenica mi riposavo oltre a svolgere altre incombenze come lavare la biancheria, aggiustare qualcosa e altre cosette
Ricordo che avevo una normale alimentazione, che la lampadina che accendevo non era di trenta candele, che non riscaldavo la minestra sulla stufa e che non sentivo odore di polvere e di muffa.
Francesco Guccini dice ancora a proposito del suo pensionato: “ fra mobili che non hanno mai visto altri splendori, giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori…” e poi “…quell’ odore solito di polvere e di muffa…).
Ho pensato che il pensionato, visto che aveva molto tempo libero, avrebbe potuto “dare la polvere” (espressione che in bolognese significa “togliere la polvere”), buttare via le cose ammuffite e poi dare una lucidata ai mobili. Invece il pensionato impiegava il tempo a dire a Guccini “… cento volte fra la rete dei giardini di una sua gatta morta, di una lite coi vicini…”

Foto 4 Da charlesremington.altervista.org
Foto 4 Vignetta

Inoltre, concludendo il confronto fa me e il pensionato di Guccini, io ero anche fortunato.
Ricordo che da qualche anno facevo le vaccinazioni perché ero allergico ai pollini. Facevo le vaccinazioni secondo un piano che veniva redatto dal dall’istituto di allergologia del policlinico universitario Umberto I di Roma. Nel periodo nell’estate del 1980 in cui lavorai per la prima volta a Bologna andavo ogni settimana oppure ogni due settimane (la mattina della domenica oppure del sabato nel caso in questo giorno non lavorassi) a fare le vaccinazioni in un ambulatorio situato nella stazione di Bologna. Ci andavo, come ho detto, la mattina di sabato (nel caso non lavorassi) o la domenica. Dopo l’iniezione sottocutanea del vaccino facevo un giro per la stazione prima di rientrare a casa. Sarei dovuto andare probabilmente anche il sabato 2 agosto (che non lavorai) o la domenica 3 agosto: invece non ci andai perché il piano di vaccinazioni prevedeva un periodo di interruzione per l’estate e mi pare che lo interruppi già da alcune settimane.
La mia vita è composta di cose belle e di cose brutte (che mi sono successe in seguito) ma se penso alla canzone di Guccini mi sento fortunato, diversamente dal suo pensionato.

Piove sul bagnato
Dopo essermi laureato mi traferii definitivamente a Bologna. I primi tempi lavorai in edilizia o facevo lavori stagionali in fabbrica ma dopo iniziai a insegnare nelle scuole superiori di Bologna e provincia.
Ciò che mi colpi nei colleghi di lavoro furono le loro continue lamentale sulle loro condizioni di vita. Erano persone che lavoravano nel campo della scuola (come me, anche se io ero supplente e loro erano di ruolo), il coniuge lavorava pure, erano proprietari della loro casa (mentre io pagavo l’affitto), avevano un figlio oppure due (ma qualcuno non ne aveva nemmeno uno), molti avevano una seconda casa in montagna o al mare (ne sentivo parlare da loro), facevano dei viaggi (ne sentivo parlare da loro): queste erano le condizioni di vita più diffuse. Nonostante questo si lamentavano spesso. Ricordo che una volta mi vennero brividi di vergogna quando sentii dire da una collega che la sera non avrebbe avuto niente da mangiare.
Non riuscivo a capire i motivi di questo continuo lamentarsi e mi sentivo fortemente in imbarazzo!
Ma la voglia di piangere miseria (come fa Guccini nella canzone “Il pensionato”) è continuata. Ricordo che un certo Gianfranco Funari (un conduttore televisivo che sapere leggere bene la pancia della gente) diceva sempre nei suoi spettacoli “a gente ‘gna fa” (la gente non ce la fa). Era un tormentone!
Ma quali erano i motivi di queste continue lamentele?
In seguito si faranno delle ipotesi sulle motivazioni di queste lamentele (che è il tema principale dell’articolo) ma qui si vuole anche dire che i giornalisti televisivi si sono impossessati di questa esigenza della gente. Diceva Marshall McLuhan che il medium è il massaggio, nel senso che il medium (il riferimento era alla televisione) massaggia il telespettatore, lo rincuora, lo conforta, lo consola.
I conduttori televisivi si sono impossessati di questa esigenza e la usano da traino per i blocchi pubblicitari (si ricorda che i mass media sono finanziati dalla pubblicità [i mass media pubblici sono finanziati anche dal canone anche se poi non c’è molta differenza fra il pubblico e il privato]): contemporaneamente dicono che “a gente gna fa” oppure “la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese” e cercano di instillare nella mente della gente di avere degli immensi bisogni e di dover consumare in continuazione, anche ricorrendo, come faceva Gianfranco Funari, a scene come quella quasi di sbattere la mortadella in faccia alla telecamera (mi pare che uno degli sponsor del programma di Funari fosse una marca di mortadella).
Lo stesso Gianfranco Funari voleva che i centri commerciali fossero aperti anche la notte perché, disse una volta, “se uno alle tre di notte ha bisogno di un paia di mutande può andare a comprarlo”. Su quest’ultima affermazione si potrebbe fare l’appunto che se uno alle tre di notte ha bisogno di un paio di mutante potrebbe andare a prenderlo nel cassetto dove ripone la biancheria, perché sicuramente avrà un certo numero di mutande e che quando si accumula un carta quantità di biancheria sporca si provvede a lavarla (ma la pubblicità non ha una logica se non quella di incrementare i consumi). Inoltre se “a gente ‘gna faceva” perché questa esigenza che i centri commerciali fossero aperti anche di notte!?
Le cose in seguito non sono cambiate (i pensionati, così come la raccontano i giornalisti, continuano a piangere miseria) e per farsi una idea delle condizioni in cui vivono i pensionati ultimamente si può leggere un articolo al seguente link:
http://247.libero.it/focus/34578310/1/la-nuova-vita-dei-pensionati-lontani-dalle-tasse-a-tenerife/
Personalmente ho sempre dei dubbi sul modo in cui i giornalisti descrivono la situazione… comunque l’articolo è quello al link riportato sopra!

Ricordo che un altro conduttore televisivo (si dovrebbero chiamare supporter pubblicitari: cioè professionisti che creano le condizioni per fare da traino ai blocchi pubblicitari), Giovanni Floris, nel programma Ballarò diceva in continuazione “la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese”. Ha sempre detto così, indipendentemente dall’esistenza di crisi economiche: lo diceva per es. negli anni 2005-2006, quando in Italia si vendevano circa 2,5 milioni di autovetture all’anno, più che in qualsiasi altro paese dell’Europa (adesso, dopo la crisi iniziata nel 2008, si vendono poco più della metà di quelle autovetture).
La gente deve credere di essere sempre affamata (di ogni cosa!) in modo da essere sempre disposta ad acquistare e consumare.
Ovviamente ciò non toglie che ci siano fasce della popolazione che trovino difficoltà, come i giovani che non trovano lavoro e pensionati con pensioni molto basse, gente che non trova casa, immigrati e gente Rom che vivono di espedienti, ecc.
Termino con altre due cose che riguardano però sempre i pensionati. Da qualche anno sento i supporter pubblicitari (giornalisti e intellettuali vari) che i centri commerciali di inverno si popolano di persone anziane (di pensionati) che in questo modo stanno al caldo, perché nelle loro case non possono permettersi il riscaldamento.
Quando di inverno vado a fare la spesa nei centri commerciali faccio attenzione: cerco di vedere se effettivamente nelle gallerie ci siano persone anziane che si trattengono.
Non ho mai visto persone anziane trattenersi nelle gallerie! Del resto nelle gallerie dei centri commerciali non ci sono posti dove sedersi (o ce ne sono pochissimi) per cui questi pensionati, nel caso fossero stati presenti, sarebbero dovuti stare per delle ore in piedi (al caldo… ma in piedi!).

La motivazione fondamentale
E’ bene tornare al tema principale di questo lavoro e quindi ricercare la motivazione della descrizione che Guccini fa delle condizioni di vita del pensionato e delle lamentele dei miei colleghi di lavoro nel periodo in cui insegnavo.
Ritengo necessario però fare una ulteriore considerazione sulla canzone “Il pensionato”.
A un certo punto nella canzone si dice “…i miei pensieri corron dietro alla sua vita…” “…a come da quel posto si può mai vedere il mondo…” e “…a come anche la storia sia passata fra quei muri…”
Il pensionato viveva nella storia, vedeva, ascoltava, capiva e decideva, ma soprattutto Guccini viveva nella storia, vedeva, ascoltava, capiva e decideva: Guccini potrebbe considerarsi in questo caso come l’ideologo del pensionato a cui è dedicata quella canzone.
Gli anni settanta nel mondo e in Italia
Siamo negli anni settanta del XX secolo, in quel decennio (con gli anni immediatamente precedenti e successivi) che considero una età assiale nella storia moderna (rimando di nuovo al mio http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/ ).
Siamo in quel decennio in cui (nel 1971 per la precisione) è pubblicato The Entropy Law and the Economic Process, la principale opera di Nicholas Georgescu-Roegen e (nel 1972 per la precisione) è pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo (dal libro The limits to growth, I limiti dello sviluppo, di Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e Williams Behrens III.
Dice Mauro Bonaiuti in un suo articolo che “Se, come credo, le economie capitalistiche avanzate sono entrate già da quaranta anni (quindi dagli anni settanta del XX secolo!!, n.d.r.) in una fase di rendimenti decrescenti questo non dipende solo dalla riduzione nella produttività degli investimenti delle multinazionali. Siamo di fronte ad un fenomeno di ben più vasta portata che comprende la riduzione della produttività dell’energia (EROEI), dell’estrazione mineraria, dell’innovazione, delle rese agricole, dell’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione (sanità, ricerca, istruzione), oltre che di una sostanziale riduzione della produttività legata al passaggio da un’economia industriale a una fondata sostanzialmente sui servizi. E soprattutto, ……., si tratta di un fenomeno evolutivo e dunque incrementale.” (1)

Più sopra è stato detto che nella canzone “Il pensionato” di Guccini si vede un riflesso e una reazione alle direzioni principali che poi prenderà la storia: si intravvede quindi anche un riflesso e una reazione alla separazione fra nord e sud del mondo.
Ma come avviene che il mondo si divide in due e ogni parte segue un percorso diverso e si trova in condizioni diverse? Dice ancora Mauro Bonaiuti: “Per quanto il quadro sia indubbiamente complesso e condizionato dalla diversità delle condizioni storiche e politiche di ciascun paese, credo sia possibile rinvenire dietro le apparenti diversità l’operare di una dinamica sistemica di fondo: il processo di crescita e di accumulazione, come abbiamo visto, ha natura autoaccrescitiva. I maggiori investimenti che i paesi occidentali hanno realizzato a partire dagli albori del processo di industrializzazione hanno generato un accelerato progresso tecnologico che ha dato luogo sia ad incrementi di produttività che a continue innovazioni, (creazione di nuovi prodotti e servizi). I forti profitti così realizzati sono stati reinvestiti alimentando ulteriori incrementi di produttività e continue innovazioni di prodotto. Data la natura competitiva dei mercati internazionali è evidente che chi non è riuscito a restare al passo con l’innovazione ed il progresso tecnologico si è trovato di fronte, oltre alla distruzione delle economie tradizionali – ad un gap tecnologico sempre più difficile da colmare. E’ ormai chiaro che, nei paesi più avanzati, la produttività ha raggiunto livelli tali che una minoranza è in grado di produrre tutto ciò di cui abbisognano le economie mondiali. Gli altri, i “naufraghi” dello sviluppo (intesi sia come individui che come interi stati nazione), sono incapaci di prendere parte a questo gioco e destinati a restare a guardare, accontentandosi delle briciole che cadono dalla grande tavola del consumismo globale.
Certo non si vuole negare che, a fianco di questa dinamica autoaccrescitiva, siano presenti anche processi di natura riequilibrativa, di “sgocciolamento” della ricchezza (tricle dawn effect). Questi processi sono in grado di spiegare come ricchezza e benessere materiale, partendo dai paesi più ricchi, si diffondano verso una serie di aree e paesi che dispongono di un livello tecnologico intermedio e che si trovano generalmente in prossimità delle aree più sviluppate. Queste aree verranno così a beneficiare degli investimenti e dei maggiori tassi di crescita del “centro”. La presenza del tricle dawn effect, tuttavia, non mette a nostro avviso in discussione la natura autoaccrescitiva del processo di crescita e accumulazione in quanto tale, che costituisce, per storia e dimensioni, il processo primario. Se questa è la dinamica di fondo che ha segnato sino ad oggi la parabola dello sviluppo, non stupisce il trovarsi di fronte ad una economia-mondo polarizzata, in cui i contrasti tra il centro e la periferia risultano sempre più marcati (S. Amin, 2002, I. Wellerstein, 1997; S. Latouche, 1993), dove la crescita, anziché risolvere, alimenta il dramma della povertà e dell’esclusione.” (2)

Foto 5 eagainst.com
Foto 5 Raccolta delle foglie di coca

Sono queste condizioni che portano al seguente fenomeno: il nord del mondo e il sud del mondo si diversificano e seguono percorsi diversi, anche se non è possibile una separazione netta e definitiva. Da una parte ci sono Paesi dove ci sono le piazze finanziarie, i centri direzionali, i centri di ricerca e le produzioni di punta o di gamma alta; dall’altra parte ci sono Paesi dove avviene la produzione di massa e standardizzata, con lavori non qualificati e svolti in condizioni inumane (ma alle volte ci sono solamente stentate agricoltura e pastorizia e un po’ di artigianato); in alcuni Paesi di questo secondo gruppo sono disposte le piantagioni di coca, di papavero e canapa, e le connesse produzioni di cocaina, eroina e marjuana e hascisc. Queste condizioni non bisogna vederle come devianze rispetto alla regola dello sviluppo: nella storia lo sviluppo si è espresso in questo modo non lineare e nello stesso tempo interconnesso. (3)

Foto 6 Produzione e traffici di droghe da www.treccani.it
Foto 6 Produzione e traffici di droghe

Adesso vediamo cosa è successo in Italia negli anni settanta. Come si vedrà alcune cose sono simili a quelle avvenute in altre parti del mondo sviluppato mentre altre sono specifiche del nostro Paese.
Negli anni settanta iniziava la separazione delle condizioni delle generazioni mature dalle condizioni delle nuove generazioni: le condizioni lavorative dei giovani iniziano a essere sempre più diverse da quelle dei loro padri, sia dal punto di vista retributivo che normativo; ormai è una certezza che gli attuali giovani oltre che ad andare più tardi in pensione percepiranno delle pensioni molto più basse [qualcuno dice addirittura che non percepiranno nessuna pensione]); le condizioni della parte più sviluppata dell’Italia (nord e parte del centro) si separava dal resto del Paese (non era più vero che lo sviluppo fosse come una marea, che facesse alzare tutte le imbarcazioni, sia quelle piccole che quelle grandi). Negli anni settanta, dopo decenni di forte emigrazione, si assiste a un forte ridimensionamento del fenomeno e a un pareggio fra rientri e uscite e l’Italia inizia a trasformarsi in Paese di immigrazione. Nel 1979 Umberto Bossi fonda la Lega Lombarda che vuole la separazione del Centro-nord dal Centro-sud (una volte assottigliate fortemente le rimesse di milioni di emigrati meridionali [che insieme agli aiuti per il Piano Marshall ed altre condizioni hanno reso possibile il miracolo economico italiano] non c’era motivo che l’Italia fosse ancora unita visto che il Mezzogiorno si stava trasformando da produttore in assorbitore di risorse).Verso la fine del decennio e agli inizi del successivo ci fu una esplosione della criminalità organizzata, perfino in aree dove prima non c’era mai stata, come la “banda della Magliana” a Roma e la “Sacra corona unita” in Puglia. Gli anni settanta e parte degli anni ottanta furono caratterizzati dall’imponente fenomeno dei sequestri di persona. (4)
Anche la vita di tutti i giorni modificava le proprie abitudini: ricordo che l’insegnante di Metodologia e tecnica della ricerca sociale (siamo a metà degli anni settanta) disse che era difficile fare interviste porta a porta in seguito all’esplosione di furti e truffe degli ultimi anni, perché la gente con difficoltà apriva la porta.

Foto 7 aprnews.net
Foto 7 Sequestri di persona

Per farsi una idea più precisa del fenomeno dei sequestri di persona in Italia si veda un articolo di Repubblica al seguente link : http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/06/17/in-diciassette-anni-600-sequestri.html

La storia non procede in modo lineare: ci sono balzi in avanti, passi indietro, suddivisioni, esclusioni e inclusioni. Nonostante questa complessità il segno dello sviluppo che ha riguardato il mondo negli ultimi secoli (ma per molti aspetti è così da sempre) è caratterizzato dalla separazione e dalla esclusione. Agli inizi del ‘900 diceva Arturo Labriola, intellettuale socialista meridionale, a proposito del rapporto che ormai si era consolidato in Italia dopo l’unificazione e che aveva portato all’ulteriore sviluppo del Nord Italia e alla perdita di ogni prospettiva di sviluppo per il Mezzogiorno: “Oggi non si può realizzare l’impossibile. Il grande centro produttore e commerciale è al Nord. Chi si illudesse o di poterlo spostare o di poterlo emulare, si proporrebbe una problema impossibile. Il vantaggio che ha sul mezzogiorno il settentrione è ormai troppo grande. Se veramente il settentrione reputasse temibile una trasformazione industriale del mezzogiorno, esso avrebbe centomila mezzi per mandarla in aria e supporre che lo debba trasformare proprio esso, è supporre che il ricco abbia interesse a farsi spogliare delle sue ricchezze. Sono dispute che si lasciano all’oratoria elettorale. Quando in un paese si è formato un centro industriale, le forze elementari e spontanee dell’economia tendono ad accrescerlo. Ed è, oltreché naturale, anche estremamente utile”. (5)

Foto 8 umberto bossi e roberto maroni da www.dagospia.com-bobo-159897[1]
Foto 8 Bossi e Maroni

Nella canzone “Il pensionato” di Francesco Guccini vedo tutte queste cose e la reazione del pensionato (da come ne parla il suo ideologo Guccini) è di difendere le sue condizioni, piangendo miseria e mettendo le mani avanti, così nessuno avrebbe avanzato delle pretese verso di lui. La stessa motivazione la vedevo nei colleghi insegnanti che si lamentavano in continuazione e negli slogan di molti conduttori televisivi. A tale proposito bisogna dire che questo cantautore si stupiva che i suoi fan fossero soprattutto 16-17enni e non invece persone mature.

1) ”Ecco la fine della crescita ovvero: tecnocrazia stadio supremo del capitalismo” di Mauro Bonaiuti, pubblicato giovedì 23 gennaio 2014 sul blog Maintream
2) Mauro Bonaiuti, Decrescita e politica – Per una società autonoma, equa e sostenibile
3) Questi temi sono stati affrontati anche da altri autori come Alberto Sciortino. Si vedano le seguenti due citazioni.
“Dapprima con la coercizione politica, nell’epoca del dominio imperiale diretto, poi con la crescente complessità e onerosità delle nuove applicazioni tecniche alla produzione, la tecnica ha finito per costituire un fattore di accrescimento del divario fra ‘centro’ e ‘periferia’ del mondo, tra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati. La globalizzazione dei progressi tecnici ha quindi i suoi limiti, che sono politici ed economici e non certo ‘naturali’, e che giocheranno un ruolo ancora più netto nel XX secolo”.
“Non è un fatto casuale o dovuto a chissà quali misteriosi fattori climatici o etnici la costituzione di zone con compiti economici specifici: da una parte le piazze finanziarie e i centri direzionali, dall’altra le zone di produzione massificata a tecnologia standardizzata, come in Corea o Taiwan o ad alta intensità di lavoro non qualificato, come in Indonesia o in America Centrale……Allo stesso modo, osservare secondo questa luce il rientro nell’economia di mercato dei paesi ‘ex socialisti’ fa assumere un rilievo diverso alla crescente diffusione al loro interno delle sacche di economie illegali e criminali, fino a chiedersi se non sia proprio questo – come del resto avviene per la Colombia, alcune isole caribiche e Myanmar (Birmania) – il ruolo assegnato dalla globalizzazione a queste regioni: garantire il riciclaggio e il reinvestimento dei capitali criminali. E’ infatti miope, di fronte alla loro estensione quantitativa, continuare a considerare queste dinamiche delle semplici devianze, forse bisogna invece inserirle a pieno titolo tra i percorsi possibili delle attuali forme di accumulazione e di investimento.”
Alberto Sciortino, Prima della globalizzazione – La genesi del mercato globale e le origini del sottosviluppo 1400-1914 Edizioni Associate, Roma, 2004, la prima citazione è a pag. 548 mentre la seconda è a pag. 550
4) Ritengo che altri fenomeni che hanno caratterizzato l’Italia in quel periodo, come il movimento politico-studentesco del ’77, il terrorismo e lo stragismo, abbiano altre motivazioni
5) Arturo Labriola, Storia di dieci anni 1899-1909, Feltrinelli, Milano 1975, pag. 112

Fonte foto.
Foto 1 da www.youtube.com
Foto 2 da www.forexinfo.it
Foto 3 da www.bastacasta.altervista.org
Foto 4 da www.charlesremington.altervista.org
Foto 5 da www.eagainst.com
Foto 6 da www.treccani.it
Foto 7 da www.aprnews.net
Foto 8 da www.dagospia.com

CONDIVIDI
Articolo precedenteil 17 aprile vota SI per dire no!
Articolo successivoOGM, lo spot in presa diretta
Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

4 Commenti

  1. Dal Corriere della sera on line del 04/04/2016 ( al link http://www.corriere.it/economia/16_aprile_03/presidente-dell-inps-boeri-serve-contributo-pensioni-piu-alte-18e84976-f98b-11e5-91c9-425ed3b43648.shtml )
    “L’Inps ha appena diffuso un dato che fotografa oggettivamente l’allegro passato per cui oggi paghiamo il conto: quasi mezzo milione di italiani dev’essere stato a suo tempo un baby-pensionato, se è vero che il relativo assegno lo riceve da più di 36 anni”
    Molti hanno contribuito a questa situazione: dai sindacati (che hanno difeso soprattutto i lavoratori garantiti) a Francesco Guccini (che dedicò una canzone a un pensionato) e tanti altri ancora.
    La deriva generazionale a cui assistiamo fa parte di un processo più ampio che …se qualcuno è interessato a questo argomento può leggersi l’articolo.
    Armando

  2. È triste vedere e leggere, come una delle più belle canzoni di Guccini venga analizzata e commentata in una chiave sociale/politica/economica e in modo “ignorante” (nel senso che ignora in modo assoluto il vero senso del testo!) Che è molto più profondo di quello che si legge qui.
    E se si è attenti il testo lo dice: “Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
    di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
    non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
    a conti fatti, la sua solitudine o la mia…” e chiaro che quello di Guccini non è un analisi finanziaria della pensione in Italia degli anni 70, ma bensì un chiedersi come sia giusto prendere e vivere la vita. Dove la lezione la riceve lo stesso Guccini da appunto “il pensionato”

  3. Claudio, chiedo scusa per il ritardo con cui rispondo al tuo commento (non ho avuto il collegamento internet nelle ultime settimane).
    Nell’articolo dico chiaramente:
    “Ovviamente nell’analizzare questa canzone mi riferisco solamente ad alcuni contenuti della stessa canzone: mi riferisco per la precisione alle condizioni materiali di vita in cui, secondo Guccini, viveva il pensionato.
    Mi riferisco a quando Guccini parla di
    “l’ odore quasi povero di roba da mangiare”
    oppure quando dice
    “lo vedo nella luce che anch’ io mi ricordo bene
    di una lampadina fioca, quella da trenta candele,”
    oppure ancora quando dice “a quell’ odore solito di polvere e di muffa” ,
    oppure, e per terminare, quando dice, “a tutte le minestre riscaldate sulla stufa” e di “un’ esistenza andata in tanti giorni uguali e duri”
    Claudio, nel tuo commento dici: “E se si è attenti il testo lo dice: “Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
    di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
    non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
    a conti fatti, la sua solitudine o la mia…” e chiaro che quello di Guccini non è un analisi finanziaria della pensione in Italia degli anni 70, ma bensì un chiedersi come sia giusto prendere e vivere la vita. Dove la lezione la riceve lo stesso Guccini da appunto “il pensionato”
    Claudio, penso che i versi di Guccini sopra riportati e a cui tu hai fatto riferimento si riferiscano ai versi immediatamente precedenti e cioè a questi:
    “Io ascolto e non capisco e tutto attorno mi stupisce
    la vita, com’è fatta e come uno la gestisce
    e i mille modi e i tempi, poi le possibilità,
    le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità
    e ancora mi domando se sia stato mai felice,
    se un dubbio l’ ebbe mai, se solo oggi si assopisce,
    se un dubbio l’ abbia avuto poche volte oppure spesso,
    se è stato sufficiente sopravvivere a se stesso…
    Poi, immediatamente dopo, ci sono i versi a cui tu ha fatto riferimento e cioè:
    ” Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
    di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
    non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
    a conti fatti, la sua solitudine o la mia…”
    Cordiali saluti
    Armando

  4. Sig. Armando credo che il senso di questa canzone sia semplicemente il confronto che fa(ceva) un giovane tra la sua vita e quella di un anziano, che conduce (e molto probabilme ha condotto) un’esistenza semplice.
    Il pensionato era tal Paolo Mignani, di professione calzolaio, artigiano quindi, si trovano in rete diversi aneddoti raccontati a voce anche dallo stesso Guccini.
    Via Paolo Fabbri è nel rione Cirenaica di Bologna, zona popolare (quantomeno ai tempi), la sua è quindi una misera casetta, non certo una villetta a schiera.

    E’ pur vero che molti anziani pur di non spendere fanno una vita misera, andando al creatore con soldi sotto il materasso o conti correnti ricolmi, comportandosi così per paura di venire derubati o di non avere più di che campare, ma non credo sia questo il caso.

    Tralasciando speculazioni economico politiche, ritengo Sig. Armando che si sia arrabbiato per nula, o quantomeno per poco, credo che la canzone non voglia essere altro che quello che è nella realtà, un semplice affresco in musica.

    Da come anche lo stesso Guccini ne ha parlato, era rimasto colpito dalla vita di un uomo che sostanzialmente strascina avanti le sue giornate senza quasi più uno scopo, aspettando ormai che giunga la sua ora.
    Ne esce il ritratto di una persona melancolica, vedovo se non forse addirittura celibe, vissuto in una casa dall’arredo non certo lussuoso, la sua vita non è fatta di molto a parte forse fare la spesa, andare a prendere il giornale, cucinare, mangiare e coricarsi, le sue attività hanno cadenza regolare e quotidiana, quasi da essere ormai dei piccoli riti.

    La seconda strofa è anche un’allegoria della vita degli uomini, una che sorge e una che tramonta, uno si corica mentre l’altro si sveglia e viceversa.

    La terza suggerisce che il Mignani sia anche affetto da demenza senile, visto che ripete cento volte che la sua gatta è morta, o che ha litigato coi vicini, fa tenerezza quindi, non foss’altro per il fatto che vive in un mondo che ormai non è più il suo, e lo racconta quasi sconsolato, sembra quasi di sentirlo dire “ai miei tempi…”

    Nella quarta e nella quinta Guccini ragiona su questo, rendendosi conto di come la sua vita sia molto più ricca di cose rispetto al pensionato, s’interroga e si meraviglia di quanto alla fine ci affanniamo (oggi poi più che mai) per riempire la nostra esistenza di azioni, oggetti, esperienze, alla ricerca di una soddisfazione che spesso poi è temporanea,
    e soprattutto (di quando siamo ad un passo dalla dipartita) cosa abbia veramente avuto valore o per cosa abbia avuto un significato vivere.

    Si domanda se una vita così vuota e ancorata nel passato (rispetto alla sua che vive il presente) abbia mai potuto renderlo felice, se mai se ne sia posto la domanda, se quindi si sia accontentato di viversi addosso (o se è solo un comportamento attuale), se abbia mai messo il naso al di là anche solo della provincia (passando le sue giornate in quel buco di casa).

    Poi conclude paragonando le loro due solitudini esistenziali, incapace di dire chi dei due campi meglio.
    Guccini non è la prima volta che ritrae persone umili nelle sue canzoni (Il Frate, Per quando è tardi, L’Ubriaco, Amerigo, Keaton…), e questa non fa eccezzione.

    Cordialmente

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.