La società della decrescita felice

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“Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare indefinitamente in un mondo finito è un folle, o un economista”, così la pensava l’economista statunitense Kennet Boulding. Quella che può apparire una riflessione logica e del tutto inopinabile, sembra non essere la linea di pensiero che ha caratterizzato lo sviluppo economico appartenente alla società della crescita. Il concetto di sviluppo, che nella sua evoluzione storica ha prodotto diversi modelli ideali, è stato sempre in stretto rapporto con il fattore economico. Si è realizzata una visione mitica del concetto, in grado di soddisfare i desideri e le aspirazioni di tutti, un processo che permette agli esseri umani di sviluppare la propria personalità. È sotto gli occhi di tutti che lo sviluppo di cui si parla non si è mai realizzato in nessun paese, anzi in molti casi ha contribuito ad ampliare la forbice esistente tra i Paesi del Nord e i Paesi del Sud, facendo si che i primi pianificassero progetti di aiuto allo sviluppo che rispondevano a logiche vagamente umanitarie, con il fine ultimo di alleggerire le problematiche economiche derivanti da crisi monetarie ed energetiche degli stessi Paesi Sviluppati. Lo sviluppo realmente esistente può essere definito come un processo che porta a mercificare i rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. La fortuna di questo concetto è dovuta alla sua applicazione nel secondo dopoguerra e all’impetuoso progresso del diciannovesimo secolo. Lo sviluppo non si è mai sganciato dalla (errata) convinzione che il benessere di un Paese passa dalla crescita del suo Prodotto Interno Lordo. Sotto questo aspetto si da per scontato che un innalzamento di questo indicatore corrisponda ad un miglioramento delle condizioni di vita. Questa ricerca di miglioramento ha assunto anche un valore etico; accumulare il più possibile rappresenta una vera morale oggettiva: “lavora sempre più intensamente, produci sempre di più, consuma in definitivamente e tuttavia risparmia e investi senza limiti!”. La società della crescita ha legato il suo destino ad una organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata e non appena vi sarà un rallentamento avremo una crisi. Per sopravvivere il sistema ha bisogno di alcuni ingredienti come la pubblicità e l’obsolescenza dei prodotti.    Il primo elemento costituisce il secondo bilancio mondiale dopo gli armamenti, mentre il secondo elemento rappresenta l’arma cruciale del consumismo: tempi di vita degli oggetti più brevi e costi di riparazione eccessivi. Tutto questo contribuisce ad intasare le discariche con montagne di frigoriferi, lavastoviglie e altri elettrodomestici. L’impatto sull’ambiente risulta essere devastante, infatti vengono bruciate in pochi decenni risorse che il pianeta ha prodotto in milioni di anni. Oltre alle catastrofi naturali e ai cambiamenti climatici, presto ci troveremo di fronte alle guerre per il petrolio e ancora più importanti saranno quelle per l’acqua. A causare tutto questo sono gli stili di vita fondati sulla crescita illimitata che portano gli individui ad essere definiti tossicodipendenti della crescita. In questa situazione ciò che risulta necessario per risolvere i problemi è un cambio di rotta. Questa sterzata deve essere netta e può essere realizzata soltanto dalla società della decrescita. Innanzitutto bisogna abbandonare la concezione della crescita illimitata; altrettanto importante è il cambiamento degli stili di vita degli individui. Realizzare la decrescita felice è una necessità per salvare le nostre vite. Ma cos’è la decrescita felice? È un concetto multidimensionale che si fonda sull’idea di ridurre volontariamente la produzione di alcuni tipi di merci che non sono necessari oppure sono dannosi; ovvero che non sono dei beni. “La decrescita intende semplicemente ribaltare gli stili di vita e ripristinare l’uso razionale del cervello umano e l’uso razionale dell’energia. Si intende riscoprire il piacere del vivere sociale in maniera non più egoistica ma altruistica. Riscoprire il piacere dei cibi autoprodotti, della vita conviviale, dello stare insieme per affrontare i problemi della comunità locale avendo un approccio olistico e pragmatico dei temi affrontati. Decrescita significa riappropriarsi dei beni comuni e tutelarli. Significa bere acqua del rubinetto ma sicura, significa affidare la gestione della stessa a società realmente pubbliche fatte anche dai cittadini e non da una corporation SpA. Per tutti questi motivi la decrescita felice non è collocabile fra gli schieramenti politici attuali, siano essi di destra o di sinistra, per la banale ragione che i diritti non sono di una parte politica, ma di tutti. Mangiare cibi sani e di qualità, bere acqua pubblica e pulita, usare l’energia razionalmente, tutto questo ed altro sono pure scelte di buon senso, sono il frutto di azioni politiche che non hanno una bandiera politica.” Può sembrare una strada irrealizzabile o possibile solamente nelle nostre menti, ma non è così. Ci sono infatti diverse comunità in tutta Italia che già applicano i principi delle 8 R, ovvero una strategia pratica per poter realizzare la decrescita attraverso 8 parole chiave (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare e riciclare), teorizzati da Serge Latouche. La grande trasformazione per costruire la società della decrescita può essere rappresentata come l’articolazione di questi otto ambiziosi cambiamenti iterdipendenti che si rafforzano in maniera reciproca. Le azioni della decrescita come il risparmio energetico non vogliono farci tornare indietro nel tempo, ma sono ottenibili solamente attraverso lo sviluppo di tecnologie avanzate in grado di poter consumare, e quindi disperdere, meno energia. Ad esempio un edificio che ha bisogno di una minore quantità di energia contribuisce a ridurre il prodotto interno lordo. Tutte le innovazioni tecnologiche che riducono l’impronta ecologica, ovvero la quantità di superficie terrestre necessaria a ogni individuo per ricavare le risorse di cui ha bisogno, consentendo al contempo la loro rigenerazione, comportano una decrescita economica che contribuisce a migliorare la qualità degli ambienti e la vita degli esseri umani. Queste come le altre numerose azioni di buon senso saranno oggetto della nostra rubrica al fine di diffondere anche nella nostra regione miglioramenti della qualità della vita ottenibili solamente attraverso una diminuzione del pil; una decrescita felice. In una situazione del genere sarebbe molto utile riscoprire la saggezza della lumaca. Come ci insegna Ivan Illich, la lumaca costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e comincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. Una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande. Invece di contribuire al benessere dell’animale, lo graverebbe di un peso eccessivo. A quel punto, qualsiasi aumento della sua produttività servirebbe unicamente a rimediare alle difficoltà create da una dimensione del guscio superiore ai limiti fissati dalla sua finalità. Superato il punto limite dell’ingrandimento delle spire, i problemi della crescita eccessiva si moltiplicano in progressione geometrica, mentre la capacità biologica della lumaca può seguire soltanto, nel migliore dei casi, una progressione aritmetica.” Questo divorzio della lumaca dalla ragione geometrica ci mostra la via per pensare una società della decrescita, felice e conviviale.

Fonti: S. Latouche, «Giustizia senza limiti. La sfida dell’etica in una economia mondializzata», 2003
J.P. Besset, «La scelta difficile. Come salvarsi dal progresso senza essere reazionari», 2007.
M. Pallante, «La decrescita felice», 2005.
M. Pallante, «Che cos’è la decrescita».
P. Carpentieri, «Cos’è la decrescita». I. Illich, «Le Genre vernaculaire», 2005

2 Commenti

  1. Buonasera,
    ho letto con grande interesse l’articolo, parlare di sviluppo oggi è fondamentale, visto il periodo di crisi l’unica cosa da fare è guardare al futuro.

  2. concordo su quanto esposto, ma il problema rimane a monte, dove gli stati sono vincolati dal pil, dal debito pubblico e da tutti quei parametri diabolici che sono stati introdotti. Perciò o i popoli fanno una rivoluzione cambiando il sistema, oppure il cambiamento avverrà in maniera molto dolorosa per i popoli…

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