Sono una chiocciola. Una chiocciola vera, niente affatto virtuale. Potete anche definirmi una chioccioletta, ma appartengo alla sfera del reale. Non sono di quelle che vivacchiano piazzate proprio nel bel mezzo degli indirizzi di posta elettronica di voi umani telematicizzati. Quelle lì hanno venduto il loro spirito in cambio della popolarità globale. Spesso si pavoneggiano dietro lo pseudonimo molto trendy e british di “At”. Io sono reale e adesso che ha piovuto da poco potreste anche vedermi dal vivo. Se fate ben attenzione a dove mettete le vostre distratte estremità, potreste anche evitare di passarmi sopra. Evitereste così di distruggere la mia adorata casetta e con essa anche il suo contenuto vivente, ovvero me.
La mia conchiglia è per me una vera unità abitativa, siete voi a definirla con altri termini, io la chiamo casa e basta. Lì dentro ci passo la vita intera e non mi passerebbe mai per le antenne la tentazione di procurarmi un’abitazione più grande e confortevole. Quella è semmai un’aspirazione che lascio a voi e ai miei amici paguri. Ne conosco una coppia che ha girato a lungo alla ricerca di conchiglie vuote di prestigio dove sistemarsi e alla fine ne hanno trovate un paio niente male a due passi (non so per la verità cosa esattamente significhi questa espressione umana) da me.
Quando sono nata avevo già il mio guscio, come lo definireste voi umani, sul dorso. Io dico più realisticamente che sul dorso avevo già la mia casetta. Essa è cresciuta con me. Ho una ghiandolina – che forse ora avrebbe ora bisogno di un opportuno tagliando di controllo – che riesce a produrmi la giusta pozione magica in grado di ingrandire il mio involucro. Quando ce n’è bisogno, ho anche l’auto-produzione delle giuste sostanze per fare delle piccole riparazioni alle pareti esterne e interne. Come funziona tutto ciò? Ho fatto qualche studio di auto-conoscenza su questa mia particolare forma di crescita personale.
Sono riuscita a capire alcune cosette di base. La mia conchiglia, a quanto ne so, cresce in cerchi annuali che poco a poco si avvolgono a elica attorno a una sorta di bastoncino. Nel momento in cui la mia casetta raggiunge la taglia massima – in rapporto alle mie dimensioni – l’accrescimento si arresta. L’altro giorno, strisciando su di un variopinto pezzo della vostra carta, ho letto qualcosa che mi riguardava. Non so bene cosa significhi leggere ma fatto sta che per una sorta d’inspiegabile fenomeno sono riuscita a comprendere quegli strani segni che imbrattavano quel bel foglio bianco dove mi ero posata. So che voi umani chiamate quei segni scrittura. Ripeto, non so proprio come io faccia a capire il significato di quei segni, ma li capisco, prendo atto di ciò e ringrazio l’Universo per avermi dato questa facoltà che mi sembra abbastanza utile.
Su quel foglio un signore francese parlava di me, ne sono sicura. Per la verità, questo monsieur Latouche mi definiva lumaca, e le lumache noi chiocciolette le riteniamo delle sventurate senzatetto prive di guscio. Ma tant’è. I francesi poi hanno di solito un grosso concetto delle lumache, ma solo quando si tratta di farle finire nei menu dei loro ristoranti, escargots mi sembra che le chiamino. Ma questo deve essere un francese diverso, perché non sembrava parlare di me dal punto di vista alimentare. Mi segnalava anzi agli umani come esempio da seguire. Addirittura! Un esempio per gli umani!
La Francia è un Paese che pare sia vicino all’Italia dove vivo, ma “vicino” non è un concetto indicato per noi lumache. Per raggiungerlo da qui dove mi trovo, penso che ci vorrebbe qualche centinaio di generazioni discendenti dalla sottoscritta. La pagina su cui stavo strisciando diceva proprio così: «la lumaca costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e comincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. Una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande. La lumaca, evidentemente dimostra maggiore saggezza degli uomini, “capisce” che quell’eccessiva grandezza peggiorerebbe la qualità della sua esistenza e allora abbandona la ragione geometrica in favore di una progressione aritmetica». Bello, davvero.
Quel che sono riuscita a capire è molto interessante. Io sarei quindi più saggia degli umani. Un po’ ci avevo pensato a questo fatto qui, ma non ne ero così sicura. Gli umani – per quel che se ne vede da quaggiù – consumano troppo, buttano via troppo e si mangiano quasi tutta la natura circostante, non solo qualche fogliolina abbandonata come la sottoscritta. La loro “crescita” non riesce né vuole riuscire a fermarsi come faccio io con la mia casetta. “Sviluppo” lo chiamano loro, come ho letto da qualche parte. Un vero delirio, secondo me.
Essere convinti che sia possibile una crescita infinita sul pianeta Terra mi sembra irragionevole. La terra, che io ne sappia, è finita per definizione. Lo so io che sono chioccioletta e gli umani no? Strano. Gli umani anche sono strani e poi chissà perché, quando s’inviano tra loro tutti quei messaggi con i loro apparecchi luminosi, mettono sempre di mezzo noi chiocciole. Sì, è vero, si tratta di quelle virtuali con la puzza sotto il naso che si fanno chiamare “At”. Però sempre chiocciole rimangono.