La rivoluzione dei makers: convivialità o eteronomia? / 1

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L’ALBA DI UNA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA?

Le innovazioni tecnologiche si susseguono a ritmi sempre più frenetici, e quasi sempre vengono implementate dal grande business – assecondato dalla politica – senza riguardo degli sconvolgimenti sociali che possono provocare: la recente rivoluzione telematica ne è un chiaro esempio, un caso tra l’altro di una tecnologia nata per scopi di condivisione e democratizzazione del sapere subito riadattata alle esigenze del profitto. Ivan Illich divideva drasticamente gli strumenti tecnici in eteronomi (che umiliano e rendono dipendenti i suoi fruitori) e conviviali (capaci invece di valorizzare autonomia e creatività), ma non sempre è facile tracciare una linea di demarcazione.

Ne consegue quindi che, se non si vuole rimanere vittime della tecnologia, bisogna capire per tempo la portata delle innovazioni, le possibili conseguenze e le potenzialità latenti. Alcune tecnologie devono essere semplicemente rigettate, ma nella maggior parte dei casi si tratta di riutilizzarle per scopi diversi da quelli per cui vengono commercializzati (si pensi ai social media) oppure, come sosteneva Lewis Mumford, bisogna usare la macchina senza cadere nell’ideologia della macchina, che tende a deprivare di importanza il fattore umano.

Sulle pagine di DFSN intendo occuparmi di una tecnologia che mi era quasi completamente sconosciuta, e di cui ho appreso l’esistenza attraverso alcuni commenti in risposta ai miei articoli. Di fatto non è ancora molto conosciuta al grande pubblico, ma promette nel giro di alcuni anni di assurgere a un’importanza non inferiore a quella che Internet ha assunto a partire dalla fine degli anni Novanta: mi riferisco alle cosidette tecnologie di manifattura desktop, strumenti capaci di creare oggetti di ogni genere e che, se non proprio su di una scrivania, possono trovare collocazione nella cantina o nel garage di casa. I principali strumenti coinvolti sono:

stampanti 3D

. macchine CNC (computer numeric control – permettono di ricavare un oggetto da un blocco di materia informe)

– laser cutter

– scanner 3D (consente di ‘catturare la realtà’, scannerizzando un oggetto fisico in un progetto digitale)

I costi di queste tecnologie sono ancora abbastanza ragguardevoli – tra i cinquecento e i mille euro le macchine più economiche – ma è facile prevedere che, similmente a quanto accaduto per l’hardware informatico, anche questi nuovi strumenti nel giro di qualche anno subiranno un netto abbattimento dei prezzi. Del resto le competenze richieste per maneggiarle sono minime perché tutti questi strumenti sono interfacciati da software di uso desktop come il CAD, riducendo a zero le abilità manuali richieste e creando quindi una sorta di informatica ‘materiale’ dove i bit si trasformano come per magia in atomi. Già adesso esiste un certo numero di persone coinvolte in questa tecnologia, e si parla di movimento dei makers o dei fabbers, nuovi artigiani digitali del XXI secolo.

Per comprendere meglio il fenomeno e capirne le potenzialità latenti mi sono letto il libro di Chris Anderson Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale, la cui lettura non è stata facilissima: non perché l’autore utilizzi uno stile particolarmente complesso (è anzi gradevole e divulgativo), quanto perché Anderson, ex direttore della rivista futuristica Wired, tende a vedere il mondo attraverso l’ideologia del capitalismo nerd e yuppies della Silicon Valley, affascinata fino all’ossessione dal mito delle start-up, per usare un termine oggi molto di moda. In questa visione non solo Davide può sconfiggere Goliath, ma deve necessariamente farlo: non esiste che qualcuno possa ‘accontentarsi’, poniamo, di un reddito di venticinquemila dollari all’anno; bisogna necessariamente puntare a diventare un Steve Jobs o un Mark Zuckerberg. In questo modo però tutti i possibili risvolti emancipatori della tecnologia vanno perduti perché, non appena si torna a ragionare in termini di produzione di massa, riemergono gli spettri delle fabbriche del sudore e del dolore di Shenzhen, Guangdong, Tijuana, ossia il peggio dell’industria tradizionale; se nella manifattura punti ai grandi numeri, la paleotecnica si riprende immancabilmente la rivincita sulla neotecnica, anche quella più all’avanguardia. Tra l’altro, sono rimasto sconvolto nell’apprendere che la stampa della plastica a iniezione – quella appunto per i beni di consumo di massa – oramai è una questione privata cinese, persino gli Stati Uniti hanno dovuto abdicare in questo settore economicamente strategico.

Per tutte queste ragioni, non deve sorprendere che i principali prodotti segnalati da Anderson siano cose come droni volanti, armi moderne per gli omini della Lego, componenti per velivoli destinati a voli commerciali nello spazio e altre amenità simili. Se poi aggiungessi che l’autore spera addirittura nella creazione di minilaboratori commerciali per la manipolazione genetica, probabilmente la maggior parte dei decrescenti non vorrebbe più saperne nulla. Tuttavia, insisto nella necessità di appropriarsi delle potenzialità emancipatrici insite nelle tecnologie, e al riguardo Anderson può credere in ideologie discutibili ma non è certo stupido: alla fine del libro ammette esplicitamente che la diffusione capillare delle tecnologie dei makers potrebbe portare o a una fitta rete di imprese interconnesse con i consumatori attraverso il Web (una riproposizione della new economy in versione più ‘solida’, per intenderci) oppura a una economia dell’autosufficienza ispirata agli ideali del kibbutz e di Gandhi. Inutile aggiungere a quale modello punti lui e quale invece potrebbe colpire il nostro interesse.

La materia è talmente estesa e affascinante che, per la prima volta, ho deciso di non condensarla in un unico articolo ma di riportare in più puntate tutti gli elementi del libro che mi hanno colpito maggiormente, cercando di evidenziare rischi e potenzialità. Consiglio anche la visione di questo servizio, andato in onda nel corso di una puntata di Superquark e incentrato su queste nuove tecnologie.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

11 Commenti

  1. Con le stampanti 3D è purtroppo possibile fabbricare anche armi da fuoco. Inutile dire che questo fenomeno è potenzialmente molto pericoloso perché potrebbe portare ad un incremento sostanziale del possesso illegale di armi da fuoco, con tutte le conseguenze nefaste del caso.

    • Per fortuna, con le stampanti 3D (a meno che non siano quelle della NASA) si puo` stampare al massimo l’impugnatura della pistola o una canna finta.
      Infatti (a meno che non costino milioni di euro) sputano solamente plastica… e sfido a fare una canna di pistola di plastica, scoppiera` e si fondera` alla prima pallottola che prova a sparare. Sempre ammesso che il meccanismo del grilletto non si sfasci in un attimo durante la percussione del bossolo.
      In conclusione: le stampanti 3D rimangono un giocattolo in piu` sulla scrivania di chi non sa veramente come fare le cose ed una scusa per stampare articoli su Wired.

  2. L’articolo giustamente cita le macchine CNC che, potendosi collegare ad un personal computer facilitano il controllo dell’utensile da parte di un programma operante su un modello dell’oggetto da costruire (molti conoscono Autocad per esempio…).
    Ma in realta` il punto e` che le macchine utensili sono sempre esistite per chi le sa usare, e non e` difficile imparare a patto di voler sudare un po’ (o se si son fatte le scuole giuste). Ad esempio non molti sanno che perfino Newton si costrui` da solo il suo famoso telescopio, compresa la molatura dello specchio sferico, e certamente possedeva un tornio, ma di sicuro non aveva un computer.
    Infatti l’uso del computer non incrementa la creativita` ma, anzi, la riduce perche offre il fianco alla pigrizia umana, offre l’opportunita` a non cercare la soluzione piu` efficace che ha, invece, sempre spinto l’ingegno umano nella costruzione delle cose fino a creare la definizione della bellezza nell’armonia e semplicita` delle forme unitamente alla loro funzionalita`. Ebbene, l’uso indiscriminato del PC consente con troppa facilita` la costruzione di cose inutilmente complesse. Certo va usato quando serve, ma non va considerato come elemento essenziale per l’espressione della creativita` umana. Potrei portare mille esempi concreti…
    Lo stesso vale, ancor di piu` per le stampanti 3D. Qualunque cretinata puo, in teoria, venir prodotta automaticamente. E` questa creativita` ? No. Le stampanti 3D sono oggi degli oggetti che hanno un uso pratico nella prototipazione estetica che si faceva fino a poco tempo fa a mano. Cioe` hanno distrutto la manualita` e capacita` creativa di progettare oggetti compatibili con la costruzione manuale. Il tutto a discapito dell’umanita` del prodotto e del processo produttivo.
    Se ci si voglia convincere di quanto sopra, si pensi a quanta creativita` abbiano prodotto le stampanti 2D. Ben poca… Certo tutti imbrattiamo carta e sprechiamo fiumi di costosissime cartucce d’inchiostro, ma non facciamo opere d’arte. Al massimo stampiamo belle fotografie che poi dimentichiamo negli album.
    Chi compra un quadro o un’opera d’arte, raramente la vorra` stampata da una macchina. E chi veramente vuole conoscere il piacere di costruire, raramente rinuncera` all’uso delle proprie mani nel processo che porta l’idea dal cervello alla materia.
    Ecco perche` le stampanti 3D vanno benissimo ai figli della bolla economica dell’internet, quelli che non sanno piu` che apps pigliare per far soldi ed invece di venderci cartucce d’inchiostro, ci venderanno rotoli di plastica per farci stampare i rotoli portacartaigienica… o le pistole.

    • Caro Giulio, prima di tutto un ringranziamento per il tuo commento, che in gran parte (ovviamente citando rigorosamente il suo autore) finirà in una delle prossime puntate! I dubbi che avanzi sono legittimi.
      Solo permettimi di inquadrare meglio la questione (almeno dal mio punto di vista), anche perché se ho capito bene dal tuo blog sei un appassionato di artigianato vero che, comprensibilmente, resta un bel po’ sconcertato quando sente che questa roba viene chiamata ‘artigianato digitale’. Penso che la vera posta in gioco sia tra l’accettazione di un sistema di produzione industriale di massa basato sulle fabbriche del sudore e del suicidio cinesi e dei paesi a bassa manodopera e la possibilità (che non voglio dire che oggi sia già realmente praticabile) di un forte decentramento produttivo, senza che degeneri come dici tu nel solito status symbol dell’era desktop. Ricordo ancora, quando cominciavano a diffondersi i primi computer a interfaccia grafica, che molti hacker lamentavano come l’informatica di massa sarebbe stata l’equivalente di dare a gente senza patente una F1 per farla andare a 30 kmh; in effetti è andata così, ma non si può negare che si sono aperte anche molti spazi di libertà altrimenti impensabili. Allo stesso modo adesso ritengo che guardare questo fenomeno con gli occhi appassionati dell’artigiano tradizionale, per quanto sensato, potrebbe non essere il modo ideale di capirlo fino in fondo. Ti invito quindi a leggere le prossime puntate, precisando che sono ancora molto incerto e non posso essere definito un partigiano di queste tecnologie, per quanto mi interessino.

  3. Caro Igor,
    questo dialogo mi piace e sta entrando nel succo del discorso, aspetto con ansia le tue prossime puntate. Nel frattempo mi permetto di aggiungere qualche pensiero.
    Il fenomeno che stiamo guardando e` la trasformazione degli utensili dell’artigiano con l’aggiunta di una capacita` di calcolo inumana (nel senso che il cervello umano non la possiede) ed una capacita` di costruzione che permette forme praticamente impossibili da realizzare a mano ancorche` limitata per ora nella scelta dei materiali.
    Alle scuole medie (circa 30 anni fa) mi divertivo a sbalordire il professore di matematica usando un regolo calcolatore, oggetto gia` allora in via di estinzione. Non perche` ne volessi dimostrare la superiorita` rispetto alle calcolatrici tascabili che stavano nascendo allora, ma piuttosto per il piacere di un rapporto piu intimo con il calcolo stesso. Oggi sulla mia scrivania ci sono un tornio ed una fresa a 4 assi. Le ho da circa 5 anni dopo che un progettino mi ha aiutato a pagarle e continuo ad usarle con piacere per il mio lavoro. Sono entrambe collegate al computer, ma, specialmente al tornio, vado sempre “in modalita` manuale” perche` il rapporto mente-mano-manovella-utensile-materiale e` molto piu` diretto che non interponendo il computer e rimuovendo la mano. L’uso della mano e dell’orecchio, consente di sentire lo sforzo di taglio modulando la velocita` di avanzamento prodotta dalla mano sulla manovella. Il lavoro procede piu` svelto e piu` preciso che non se controllato dal computer.
    Il computer serve certamente per seguire contorni complessi o ripetitivi, ma la semplicita` imposta dal controllo manuale risulta sempre in economie di lavoro e materiale, a patto di un piccolo sforzo aggiuntivo del pensiero, cio` che ci fa umani.
    La mano si muove con continuita` per definizione fisiologica. In termini matematici si puo riscontrare nei profili generati a mano la continuita` dei profili, delle inclinazioni e delle curvature, fino ad ordini elevati di derivazione (d2y/dx2, ecc…). Da cio` scaturiscono bellezza e funzionalita`.
    Invece, affidandoci completamente al controllo del computer si possono anche ottenere superfici di qualunque forma che pero` perdono l’armonia a meno di non imporre le condizioni matematiche di continuita` che la mano sa ottenere quasi inconsapevomente.
    Posso portare l’esempio di un oggetto, l’orologio che ho al polso nella foto del mio profilo, alcune parti del quale sono fatte sul mio tornio usando una semplice attrezzatura autocostruita ottenendo delle doppie curvature toriche piacevoli al tatto ed alla vista… oppure si possono commissionare ad una ditta esterna che, per non perdere tempo a pensare, mette il tutto nel computer e genera il percorso utensile che puo` solamente essere esguito su una fresa CNC a 5 assi… con costi impossibili che si possono ammortizzare solo se si costruisce l’aggeggio in grande serie.
    Ed una stampante 3D non potrebbe certo produrre la stessa cosa in acciaio inox come faccio io al tornio… a meno di non essere quella della NASA che costa milioni di dollari.
    A proposito: l’articolo che parla delle parti di razzo fatte alla stampante 3D contiene svariate falsita` nel giudizio dei costi e tempi di lavoro… il tutto allo scopo di giustifcarne l’uso rispetto ad altre tecnologie piu` semplici e razionali… ma questa e` un’altra storia su cui scrivero` presto.
    Certo il mondo cambia, e noi con lui.
    Ma dal punto di vista della Decrescita ci dovremmo sempre chiedere quali di tali cambiamenti sono buoni e quali no. E quindi, ben venga l’uso del computer se rende il lavoro dell’artigiano piu` efficiente, ma non per rimuovere la manualita` dal processo e lasciar fare tutto alla macchina…
    E dal punto di vista di un moderno artigiano cosa si puo` dire ?
    Se il piacere e` nel fare, il computer non sara` mai un fine, ma un mezzo da usare con parsimonia… anche per tutto questo secolo… o fintanto che la sindrome del tunnel carpale prodotta dall’uso smodato del mouse ci togliera` la capacita` di usare le mani e le mutazioni genetiche indotte dal mancato uso delle dita ci ridurranno con moncherini ai polsi e ci dovremmo accontentare di comandare il tornio con le onde cerebrali mentre siamo immobilizzati in carozzelle con la dialisi e l’intravenosa automatica.

    • Penso che sia chiaro che tra quello che fai tu e quello che si realizza con questi strumenti intercorre la stessa differenza che c’è tra un assolo di chitarra di Hendrix e una musica campionata fatta con il sintetizzatore…. non a caso l’arti-gianato è un’arte, e come tale deve mantenere il valore aggiunto della sensibilità umana.
      Il problema di oggi non è l’artigianato ma l’industria e gli orribili effetti che la sua organizzazione attuale ha sulla società e l’ambiente. E’ chiaro che gente come Anderson, che vede in realtà come Foxconn solo un rivale commerciale e non un modello da eliminare, sia molto più interessato a presentare le tecnologie dei makers come artigianato 2.0 e simili.

      Del resto ricordiamoci che l’artigianato, essendo arte, ha per forza un carattere di nicchia come è sempre stato in ogni epoca storica anche pre-industriale. Il rischio dell’atrofizzazione fisica da eccesso di computer è sempre presente, anche se per giustizia bisogna aggiungere che gli strumenti dell’artigianato come fresa e tornio lasciano sempre aperta la possibilità di lasciarci qualche pezzo di arto. Ma forse è anche questo dose di rischio che esalta la perizia dell’artigiano.

  4. Buongiorno, vorrei solo congratularmi con voi per l’interessante articolo e per lo stimolante e civilissimo dibattito da esso generato.

  5. Salute a tutt*

    Mi permetto di intrufolarmi in questa bella discussione.

    In primo luogo vorrei chiarire alcuni punti.

    1) La stampa 3d consente ormai -e con poca spesa- di creare o riprodurre qualsiasi oggetto in quasi qualsiasi materiale. Stampare argilla per costruire abitazioni ecosostenibili si puo e stampare armi da fuoco in materiali plastici anche. Come sempre la differenza sta nell’uso che si fa.
    2) Il fenomeno della stampa 3d e’ sostanzialmente la riappropriazione dei mezzi di produzione da parte delle persone, e la reazione delle major non si fara’ attendere, come e’ gia’ avvenuto con la musica e la cosiddetta pirateria. Aspettiamoci la demonizzazione e la repressione piu o meno soft di questa opportunita’
    3) Non credo che si tratti di una resa della creativita’ di fronte alla macchina. Se una persona e’ creativa produrra qualcosa di nuovo e forse bello e magari anche utile, altrimenti scarichero’ il file cad o obj e riparero’ l’asse del cesso rotta, magari riciclando le bottiglie di shampo vuote.
    4) A parte l’ovvio vantaggio ecologico di inviare via internet i file da stampare (eliminando traffico e co2) ci ritroveremo di fronte allo “svantaggio” dei posti di lavoro persi nel settore della logistica e dei trasporti e degli intermediari di commercio. Svantaggio a mio parere ininfluente in un pianeta che ha gia superato la soglia della sostenibilita’ ecologica.
    5) Gli scenari del cambiamento climatico incipiente ci dovranno portare a scelte non suicide ripensando alla polimerizzazione delle materie plastiche derivate dalle piante (canapa in primis, ma non solo)
    6) Se ho ragione dobbiamo ripensare al valore del lavoro inteso nel senso calvinista/capitalista e rileggerlo come collaborazione e condivisione di competenze. Il che suona folle nella nostra cultura.

    Mi piacerebbe sviluppare queste considerazioni alla luce del movimento open source, open hardware in una ottica di decrescita felice (che preferisco chiamare uso razionale delle risosrse, spaventa di meno).

    Nella mia ottica si tratta di fare convergere i percorsi nati da diverse radici (open/decrescita/seeders/pirati/ecc..) in una costruzione di progetto comune e condiviso, magari utilizzando strumenti come liquid feedback, sia a livello teorico che a livello politico (e per politica intendo la costruzione condivisa di un modello sociale “conviviale” per rimanere in tema con l’ottimo post di Giussani)

    Chiaramente una tale battaglia non la posso condurre da solo, ed eccomi qui a spulciare il web in cerca di persone ed idee con cui, spero, collaborare e condividere.

    Non credo alla decrescita come forma di luddismo neohippy (come spesso viene presentata da certi media) ma come forma di intelligenza collettiva che sceglie percorsi diversi ed evolutivi.

    Mi fermo qui solo per non fare un pippozzo lunghissimo. :-))

    Mi piacerebbe pensare che la stampa 3d sia una di quelle techne’ che ci consentiranno di creare bellezza e civilta’ in questo pianeta saccheggiato. Cerco alleati.

  6. Caro Claudio, dissento.
    Le stampanti 3D, escluse quelle della Nasa, stampano solo plastica e nemmeno ogni tipo di plastica (basta andare su un qualunque sito che vende i filamenti da stampa).
    Inoltre, si faccia ben attenzione che si potra` pur stampare l’impugnatura della pistola, ma la canna d’acciaio va fatta come ai vecchi tempi (e senza parlar d’armi, potremmo invece citare la canna del cilindro del motorino fatta in lega d’acciaio o ghisa).
    Siccome le parti critiche di una stampante 3D non sono il telaio, che si puo` fare di plastica, ma sono i motori passo passo, che si comprano in Cina, o le viti e madreviti di trasmissione che non si fanno di stampa 3D, ecco che non c’e` differenza pratica tra una stampante 3D ed una fresa da tavolo.
    L’unica differenza e` nella modalita` d’uso, o dovrei dire nella “moda” d’uso, dato che la stampa 3D si presta meglio di una fresa a scaricare un file da internet o a generarlo automaticamente da un programma di modellazione solida, ma questo non aggiunge creativita`, anzi, la riduce offrendo scorciatoie all’uso dell’ingegno.
    Che poi l’uso di internet abbia ridotto l’uso della carta e` ben sperabile anche se e` tutto da dimostrare e comunque cio` varrebbe per ogni aspetto della vita, non solo delle stampanti 3D.
    Poi, non c’e` alcuna differenza in termini di ri-appropriazione dei mezzi di produzione rispetto a macchine utensili hobbistiche che esistono da decenni e sono a disposizione a costi analoghi di quelli delle stampanti 3D. Nessuno demonizza la stampa 3D, anzi, ma e` bene evitare la creazione di bolle ed idolatrie virali. (come invece sta puntualmente succedendo dato che nel mondo consumistico sono tutti in attesa del nuovo boom…).
    La logistica puo` venir eliminata solo da produzione locale e, come gia` detto, i motorini passo passo non vengono certo da dietro l’angolo.
    E come dici tu, bisogna stare attenti all’uso della plastica che per ora e` il 99.99% del materiale usato dalle stampanti 3D.
    Infine, la creativita` senza la manualita` (che nella stampa 3D scompare) copre, ben che vada, solo meta` delle capacita` umane.
    Insomma, i lati buoni della stampa 3D sono comuni a tutte le tecnologie artigianali che pero` ne hanno molti altri che non sono presenti nella stampa 3D.

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