Schopenhauer nella sua teoria filosofica parlò del ‘velo di Maja’, inteso come l’incapacità di cogliere la vera essenza della realtà in quanto per l’appunto ‘velata’ da preconcetti. Luca Madai ha già scoperto una parte del velo, spiegandoci come, malgrado lo spettro della disoccupazione aleggi su gran parte del pianeta, sia assurdo parlare di ‘mancanza di lavoro’.
Allora proviamo a guardare all’attuale situazione mondiale, seguiamo lo stesso procedimento e cerchiamo di toglierci questo velo dagli occhi ricorrendo agli strumenti di analisi in nostro possesso, e scopriremo una realtà se possibile ancora più paradossale:
– il reddito mondiale pro capite si aggira si aggira tra i 10.000 e i 12.000 dollari pro capite. Questo significa che non esiste alcuna crisi economica perché, con più di 25 dollari al giorno, vivendo in modo oculato, ci si può garantire un benessere materiale più che sufficiente;
– la produzione mondiale di frumento supera i 650 milioni di tonnellate, quella di ortofrutta rasenta il miliardo di tonnellate e il consumo di acqua pro capite si aggira, secondo lo studio Water Footprint of Humanity, quasi sui 4000 litri al giorno. Se ne deduce quindi che non esiste alcuna crisi alimentare o idrica;
– a fronte di tali dati ottimistici, la salute del pianeta peggiora costantemente, sotto tutti i punti di vista: crescita delle emissioni di di CO2 con conseguentemente aumento della temperatura media globale (con intensificazione dei fenomeni climatici estremi e rapido assottigliamento delle calotte polari), perdita di biodiversità e habitat naturali, accelerazione dei ritmi di estinzione;
– le materie prime, a partire dal petrolio, passando per i principali metalli utilizzati nell’industria fino ad arrivare alle cosiddette ‘terre rare’ impiegate massicciamente in campo elettronico ed elettrotecnico, stanno pericolosamente giungendo al picco di produzione.
Ovviamente, i dati ‘ottimistici’ si basano sulla famosa media dei polli (tu ne hai mangiato nessuno, io quattro = due polli a testa): pur non essendoci povertà, denutrizione e sottoproduzione, esistono tuttavia poveri, denutriti e zone colpite della scarsità. Di conseguenza, non è provocatorio affermare che la crisi non è economica o produttiva, semplicemente è di natura etica, perché basata sull’ineguaglianza del genere umano e sull’incapacità di assicurare a tutti l’accesso a un patrimonio comune. La piccola ma potente oligarchia che governa il mondo semplicemente parla di ‘crisi economica’ perché si è inceppato il meccanismo perverso che consentiva al sistema di crescere all’indefinito, in modo non dissimile a una cellula tumorale. Per i sostenitori della decrescita può sembrare un’ovvietà ma ad altri, ad esempio alla Sinistra vincolata alla sua concezione socialdemocratica-keynesiana di redistribuzione della crescita, assolutamente no.
Se poniamo la questione quindi in termini propri, che sono più etici che economici, la visione della crescita come garanzia di giustizia sociale viene immediatamente spazzata via. Quale crescita sarebbe realmente possibile, ad esempio, se l’estrazione delle materie prime nel Sud del mondo avvenisse nel rispetto dei diritti dei lavoratori, delle popolazioni e dell’ambiente, valori cardine (almeno a parole) della Sinistra? Se non esistessero le maquiladoras, le ‘industrie del sudore’ messicane o le fabbriche del suicidio come Foxconn (il lato oscuro del ‘stay angry stay foolish’ dell’impero informatico del solare Steve Jobs, per la cui morte SEL fece stampare dei manifesti celebrativi*)?
L’ideale di ridistribuzione della ricchezza è di molto precedente al socialismo, si ritrova nella cultura carnevalesca, nei movimenti religiosi millenaristi medievali, nelle battaglie dei diggers e dei levellers, ad esempio. Tutti questi movimenti avevano in comune, nella loro critica, di anteporre le considerazioni etiche a quelle economiche, principio che il socialismo marxista ha invece rovesciato, come nota acutamente Murray Bookchin in L’ecologia della libertà:
“Quasi tutte le critiche dei ‘caratteri borghesi’ della società moderna, della sua tecnica, della sua individualità, sono esse stesse impregnate proprio di ciò che vanno criticando. Enfatizzando l’economia, l’interesse di classe, il ‘substrato materiale’ della società, tali critiche sono portatrici proprio di quel ‘carattere borghese’ che pretendono di criticare. E sono pericolosamente inadempienti verso il loro impegno a trascendere le condizioni economiche della società capitalistica e a recuperare quel livello etico del discorso e quegli ideali che il capitalismo ha brutalmente depredato.
Nel linguaggio di molti pensatori radicali, ‘società razionale’ spesso significa poco più che società razionalizzata e ‘libertà’ spesso significa poco più che efficace coordinamento dell’umanità nel perseguimento di fini economici. Economicizzando la totalità della vita, il capitalismo ha economicizzato la ‘questione sociale’, le strutture della libertà e anche il progetto rivoluzionario. Il contesto comunitario del soggetto di questo progetto e quasi completamente scomparso”.
Dobbiamo contrastare la povertà, massimizzare l’efficienza energetica, promuovere la sostenibilità, ma tutto ciò rischia di tradursi in lettera morta – o peggio ancora di essere assunto per scopi distorti – se non si combattono avidità, spreco, visione meccanicistica del mondo. Ma per fare questo non dobbiamo inseguire astrazioni economiche, bensì impegnarci in una lotta per la libertà, nell’accezione in cui la intendeva Bookchin:
“La libertà dell’individuo autonomo di modellare la vita materiale in una forma che non sia né ascetica né edonista, ma una miscela del meglio di entrambe le cose, una forma ecologica, razionale e artistica”.
*Ovviamente non si vuole mettere in discussione il rispetto dei morti, che si deve a chiunque.
L’attuale crisi economico-finanziaria nasce anche dall’aver sempre più ipotecato un futuro irraggiungibile, un futuro che sulla carta è considerato più prospero (mi indebito per restituire la stessa quantitià di ricchezza presa a prestito, più la remunerazione per chi ha scommesso sulla mia capacità di ripagare il debito e più il guadagno sperato da chi ha accettato di indebitatarsi), mentre nella realtà questo non è più possibile (nonostante i continui miglioramente apportati dalla tecnologia). Negli ultimi decenni i debiti che sono stati contratti a livello planetario sono cresciuti ad un ritmo maggiore rispetto alla crescita della produzione materiale, a fronte di risorse sempre più scarse (lo prova il prezzo del petrolio, passato dai 9 dollari del 1999 ai 140 del 2008!).
Penso che la massima di Gandhi riassuma piuttosto bene l’attuale ordine delle cose: “Nel mondo ci sono abbastanze risorse per tutti, ma non ce ne sono a sufficienza per l’avidità di pochi”.
Quando i valori economici non governeranno più l’agire umano saremo forse in grado di vivere in una società più giusta.