“Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno”
Henry David Thoreau
Grazie al progresso scientifico viviamo le nostre vite con ritmi sempre più sostenuti, incuranti del fatto che i nostri corpi umani abbiano limiti ben precisi, mentre la tecnologia, con i suoi passi da gigante, questi limiti li ha da tempo oltrepassati.
Di fatto, perciò, non siamo noi a controllare e dirigere la nostra tecnologia, dettando modi e tempi, ma piuttosto è lei a imporceli. È evidente che siamo finiti per essere schiavizzati (come tra l’altro era facile prevedere in epoche non sospette), più o meno consapevolmente, dalla nostra stessa fame di progresso.
La tecnologia avanzata non ci ha donato del tempo, liberandolo dal lavoro, per il semplice motivo che nel suo normale sviluppo ha contribuito a creare tutta una serie di bisogni accessori che prima non esistevano affatto. Bisogni che col tempo si accumulano sempre di più e che sempre meno hanno a che fare con la nostra felicità e il nostro benessere, con ciò che in ultima analisi dovrebbe (sottolineando il condizionale) essere ciò che davvero conta.
Inoltre, la crescita della società materialista ha svuotato le nostre vite dagli aspetti spirituali, che in epoca preindustriale erano considerati fondamentali. Questo svuotamento, di senso e di coscienza, dell’essere umano, divenuto anch’esso macchina, lo ha indotto a riempire quei pochi spazi di vita rimasti, al netto delle ore dedicate al lavoro (ore mai diminuite, casomai aumentate), con attività consumistiche di ogni tipo (incluse relazioni e affetti).
Perciò, il nostro tempo lo dobbiamo (in realtà nessuno ci obbliga) farcire di corsi, shopping, palestre, centri di bellezza, spa, viaggi (più lontani possibile), aperitivi, feste, cene, insomma di tutto il necessario per sentirci davvero attivi, vivi, partecipi di un delirio insensato.
Uscire del tutto dalla megamacchina infuriata e divoratrice di vita è praticamente impossibile, ma qualcosa per provare almeno un po’ di sollievo lo possiamo fare.
Un’opera, azzarderei eroica, che possiamo intraprendere è quella della potatura.
Siamo degli alberi con troppi rami, lunghi e intricati, che ci impediscono di germogliare, di far mostra dei nostri fiori e di creare dei frutti. Quello che occorre è una sana e saggia potatura. Una potatura deve essere prudente, ben ponderata e selettiva. Fuor di metafora, dobbiamo iniziare a rimuovere tutto quello che nella nostra vita è solo di fastidio, di mero ingombro, di apparenza, tutto quello che è dovuto a qualcuno o qualcosa, a tutto, tranne che a noi.
Certo, non si può capitozzare, non si può cominciare a tagliare tutto insieme, il processo, come tutte le cose sagge e durevoli, come la natura stessa insegna, necessita del suo giusto tempo. Vero è che già dai primi rami potati cominceremo a percepire un discreto sollievo, che aumenterà mano a mano che progrediamo nell’abbattimento di ciò che è superfluo, fino a che non scopriremo finalmente e nuovamente ciò che davvero conta: il tempo di vita, nostro, non indotto ma scelto, non prefabbricato ma creato con le nostre mani, non scarso ma abbondante.
La potatura è oggi più che mai necessaria, la sua arte è difficile da imparare, ma conviene in ogni caso cominciare a sperimentarla cercando di migliorare, prima che sia troppo tardi, prima che la megamacchina infernale abbia inghiottito tutto e tutti.
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