La mission impossible di Syriza

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Il 25 gennaio prossimo, falliti i tentativi di elezione del nuovo presidente della repubblica, in Grecia si terranno le elezioni politiche, dove Syriza, formazione di sinistra guidata da Alexis Tsipras, è il partito favorito: malgrado i mal di pancia della UE, ha ottenuto l’endorsement di Thomas Piketty, economista oggi particolarmente di moda, oltre al sostegno imprevisto e indesiderato di Marine Le Pen. Anche io spero in un successo di Syriza ma, oramai prossimo ai trentasette anni, certe cose mi sono più chiare di quand’ero ragazzo, ragion per cui non nutro particolari illusioni. Spiego perché.

Il programma politico di Syriza dovrebbe rispecchiare quello proposto nel 2012, sintetizzato in 40 punti. Per chi, come me, proviene da una cultura di sinistra, alcuni propositi sono assolutamente condivisibili, specialmente quelli orientati alla lotta contro le discriminazioni, alla laicità, alla ridistribuzione della ricchezza, alla tutela del lavoro, al contenimento dello strapotere bancario e all’uscita dalla NATO. Quello che mi lascia perplesso, semmai, è il tentativo di trasformare la Grecia in una socialdemocrazia con cinquanta-sessanta anni di ritardo, attraverso un programma di forti investimenti pubblici in campo sanitario e la ri-statalizzazione dei servizi essenziali; ma, soprattutto, grida vendetta la quasi totale assenza di riferimenti all’ambiente, fatta eccezione per il punto 20 del programma, che recita miseramente: “Scommettere sulle energie rinnovabili e la tutela ambientale”. Persino il programma dei 100 punti della Leopolda di Renzi era più articolato al riguardo (che il rottamatore fiorentino, una volta al governo, si sia appassionato alle trivellazioni petrolifere è ovviamente un altro discorso).

Il problema di fondo è ben più grave della semplice sottovalutazione del degrado ambientale: sembra che Tsipras e soci ignorino alcune caratteristiche fondamentali dell’economia greca, misconoscendo le quali ogni buon proposito rimane inevitabilmente lettera morta.

Il primo punto del programma di Syriza si propone di “Realizzare un audit del debito pubblico. Rinegoziare gli interessi e sospendere i pagamenti fino a quando l’economia si sarà ripresa e tornino la crescita e l’occupazione”; in poche parole, tramutare in realtà l’incubo del sistema bancario e della finanza internazionale, che farebbero qualsiasi cosa per impedirlo, preoccupate di un effetto-domino che avrebbe conseguenza dirompenti sull’economia mondiale. Ma come bloccarlo? Attraverso sanzioni? Colpi di stato in stile cileno? Inviando cacciabombardieri sui cieli ellenici?

In realtà serve molto meno, basta ‘chiudere i rubinetti’. I prossimi, impietosi dati parlano da soli:

dati GreciaFonte: The Economist, Il mondo in cifre 2014

Quando si consuma più del doppio dell’energia che si produce e quando, tra import ed export, intrattieni scambi per più di quaranta miliardi di dollari (a fronte di un PIL complessivo di 290) con i paesi della UE – cioé l’organizzazione di cui detiene la leadership il tuo nemico giurato, la Germania – è molto difficile pensare di fare la voce grossa. Certo, il 15% delle importazioni attuali proviene da Russia e Cina, una quota che potrebbe aumentare, se i due colossi fossero interessati a sfruttare la Grecia come testa di ponte per rompere importanti equilibri interni all’Occidente: in quel caso, però, è difficile immaginare che USA e alleati restino inerti; anche senza operazioni militari, seguirebbero sicuramente pesanti ripercussioni. Dalle guerre persiane a oggi i tempi sono cambiati, per la Grecia è impossibile uno scontro diretto con gli imperi attuali.

Il problema greco travalica la fanta-geopolitica. Syriza non fa un minimo accenno alla struttura produttiva, che invece è il principale tallone d’Achille del paese. Persino un paragone con la nostra scalcinata Italia è impietoso:

dati_grecia_errata_corrdigeDati IEA

Malgrado in Italia il peso dell’industria sull’economia sia quasi doppio, i valori di consumo e inquinamento sono molto simili. L’incidenza del settore secondario sui consumi finali e i rapporti CO2/PIL e CO2/Energia prodotta, maggiori di quelli italiani, testimoniano di una pessima efficienza energetica, che va ad aggravare la dipendenza dall’estero. Dulcis in fundo, in una nazione dove la tecnologia solare a concentrazione si adatterebbe alla perfezione, il carbone produce il 51% dell’elettricità.

Con il massimo rispetto per una delle maggiori culle della cultura mondiale, sulla base di queste premesse oggi la Grecia è un nano dai piedi di argilla, un paese troppo dipendente dai capricci dell’economia globale per pensare di intraprendere qualsiasi colpo di coda. Se non vuole cadere vittima dei diktat dei nuovi barbari del XXI secolo – non meno avidi e sanguinari di Dario e Serse – la nazione ellenica deve crearsi le condizioni per poter dire ‘no’ senza rischiare di patire lacrime e sangue.

 Fonte immagine in evidenza: Wikipedia.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

6 Commenti

  1. Sono assolutamente d’accordo con le tue valutazioni.
    Per Syriza e per la Grecia è un’occasione persa.
    Codesto paese che, per davvero ha i piedi di argilla, poteva essere l’occasione di una ripartenza su basi nuove: a partire dalla valorizzazione degli innumerevoli tesori ambientali, storici, culturali, di cui dispone.
    In realtà il substrato politico su cui poggiano le rivendicazioni e le rimostranze nei confronti dell’Europa sono tutte improntate a una crisi da deprivazione; come a dire: ” avevamo, non abbiamo piu’, dateci modo di riavere”.
    In questo Syriza non è sola: anche i nostrani di SEL, in fondo, benchè abbiano nel nome quella “E” che evoca “ecologia” hanno , tutto sommato , una matrice vetero-marxista che impedisce loro di andare oltre le rivendicazioni perequative per una migliore redistribuzione della ricchezza.
    Non che non sia una pretesa sacrosanta ma il limite del modello capitalistico non sta solo nella ingiustizia redistributiva ma nella guerra aperta alle risorse del pianeta, nella sistematica dissipazione dovuta alla crescita a cui non si vogliono porre limiti.

    Questa impostazione la subisce sia la sinistra che il sindacato tutto: CGIL compresa.
    Confesso che , per me, Syriza è una grande delusione. Ha un’idea vecchia e tutto sommato subalterna dello sviluppo e il “taglio” rivendicativo è essenzialmente perequativo e basato sull’idea delle redistribuzione, sia sul piano interno che internazionale.
    Persino nei discorsi del Duce, sia pure in un contesto assai diverso , c’è traccia di un ribellismo contro la logica delle “nazioni ricche” che, con le loro politiche, affossano quelle “povere”. Ragionamento che poi porterà alle tendenze autarchiche e alla retorica della grandezza italiana, della floridezza dei suoi campi di grano e potenza del suo esercito da dieci milioni di baionette.

    Insomma: pure in una logica di maggiore giustizia sociale, Syriza chiede che venga aggiunto un “posto a tavola”. La sintesi la possiamo trovare nella rivendicazione, non solo sua ma un pò di tutta la sinistra, a cui possiamo anche aggiungere, turandoci il naso, anche il PD di Renzi: quella di farla finita con l’austerità per ritornare “a crescere”.

    Siamo dunque lontani dal pensiero di Enrico Berlinguer, espresso, quasi in modo profetico, nel 1977: “L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è cosi per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi sì manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata.”

    Credo che, oggi come oggi, solo i decrescenti hanno saputo tenere vivo questo messaggio.

  2. Mi stupisco come, nonostante la situazione in cui versa la Grecia e in cui si sono trovati e, in parte, si trovino ancora il Portogallo e la Spagna, ci sia una corsa di molti piccoli e medi Paesi del sud ed est dell’Europa a entrare nell’Unione Europea!
    Per Igor: ho dei dubbi su alcuni dati contenuti nelle tabelle (non vorrei che nel traferimento dell’articolo al blog alcuni valori si siano modificati).
    Ciao
    Armando

  3. L’ignorante per sua stessa definizione rappresenta un sottoinsieme, non è matematicamente possibile che nell’insieme denominato Politica Mondiale esistano sempre, e solo ignoranti. Perché non cominciare a parlare di quella cosa chiamata malafede, che persino i contadini medievali avevano ben presente? Ultimamente sembra che sia estinta, la malafede, così all’improvviso. Si impegnano tutti eh, ci provano davvero solo che… non ce la fanno. Mai. Chissà perché.
    I cambiamenti, quelli veri, da un punto di vista meramente burocratico sono illegali; già il solo fatto che qualcuno suggerisca di cambiare un sistema sottostando alle regole di quello stesso sistema (che per sua stessa natura cerca sempre e comunque di perpetuarsi) è un controsenso inaccettabile, un po’ come se ci si aspettasse di trovare un eseguibile di Windows dal nome “Cancellami e passa a Linux”. Questo significa essere pazzi, corrotti o entrambe le cose… e infatti, il sinistroide in salsa tzatziki propone di discutere l’austerità ma non discute l’europa, che è un dogma. Propone di sistemare qualche cavillo del diritto del lavoro ma non ridiscute l’attuale rapporto dell’Uomo con il Lavoro (rapporto di tipo schiavista-feudale) che è un dogma. Fa la voce grossa con qualche banca ma non discute il rapporto dell’Uomo con il Denaro, che è un dogma.
    E non mi si parli di politica dei “piccoli passi” per piacere, dal momento che i mandati non durano certo settant’anni.
    Cambiare tutto per non cambiare nulla, questo è il programma di qualunque formazione politica attuale, solamente detto in tanti modi diversi e presentato con tanti vestitini diversi da mezzo secolo a questa parte; mi domando quante “volte buone” dovremo ancora sorbirci prima che si incominci a realizzare che fare una crocetta su un pezzo di carta pieno di disegnini non è esattamente un passo avanti, ma solo un’implicita ammissione di incapacità di intendere con relativa delega a un’entità estranea di prendere le decisioni al posto nostro.
    A volte nella mia mente si materializza l’immagine di una sala da pranzo con in mezzo una gigantesca torta di sabbia, e un sacco di convitati intenti a discutere animatamente su cosa usare come condimento. La panna, la paprika, la cannella, lo zucchero a velo? Impossibile mettersi d’accordo tranne che su un’unica cosa: la sabbia. Unico ingrediente possibile per la torta, dato per scontato, sacrosanto e auspicabile per l’eternità. Sabbia per tutti.
    Che fare? dunque… la guerra è impraticabile dal momento che sono troppo forti. Fare crocette sui disegnini o dedicare le rispettive ore d’aria all’esibizione di vessilli, slogan e filastrocche? Da lì ci sono già passato, dai 3 ai 5 anni per la precisione (bei tempi quelli della scuola materna).
    Per quanto mi riguarda applico la stessa politica che uso con i troll e i pervertiti del web: quella dell’ignore. Faccio come se non esistessero, li lascio perdere, non solo ignoro del tutto i proclami dei pezzi grossi e le loro leggi, ma non apro nemmeno la porta al piccolo militante attivista locale. Per me far parte di questo apparato, da qualunque schieramento e a qualunque livello della piramide gerarchica, significa automaticamente aver perduto ai miei occhi lo status di Esseri Umani; non riconosco a costoro nemmeno il diritto a sentirsi dire un Buongiorno, non li guardo, sono paria. Campano esclusivamente grazie alla nostra attenzione e, per quanto questa mia “filosofia” se praticata da un unico individuo non possa portare a nulla, se non altro mi consente di essere discretamente fiero della mia persona, mi fa stare meglio insomma.
    Al di là di tutto questo, comunque, la dichiarata fascinazione di Sfigas per il nostro cerebroesente premier dovrebbe già bastare di per sé, voglio sperare, a far suonare un qualche campanellino d’allarme nei molti che ancora aspettano “la volta buona” da un sistema che, dal punto di vista del cosiddetto 1%, è già buonissimo così.

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