La disperazione razionalizzata dello scienziato

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Era circa la fine del 2010, quando erano già stati stabiliti i referendum del giugno 2011 di cui uno verteva sulla cancellazione del programma nucleare varato dal governo Berlusconi, che prevedeva l’acquisto di quattro reattori EPR della francese Areva; era ancora lontana la tragedia di Fukushima e il dibattito sull’argomento era molto serrato. Pallante e Bertaglio avevano da poco aperto il loro blog sul sito de Il Fatto Quotidiano, dove si affrontava spesso questa problematica.

In quel periodo ero un assiduo frequentatore di quel blog anche come commentatore, e non ero l’unico. Un’altra persona che seguiva in modo quasi ossessionato il blog era un tizio dal nickname robertoKO6 (o qualcosa del genere), il quale si presentava come un esperto di questioni nucleari e dedicava ore intere a passare al setaccio gli scritti di Pallante, Bertaglio, nonché di tutti i commentatori antinuclearisti alla ricerca di imprecisioni per deriderli e metterli alla berlina. Era di una faziosità assurda – era capace di infamarti se scrivevi MW/h invece di MWh, mentre se ne stava zitto zitto se qualcuno proponeva di riconvertire vecchie centrali a carbone dismesse in atomiche o sosteneva che un reattore produce scorie della dimensione non superiore a quelle di un libro – ma era estremamente competente e, ricostruendo alcuni suoi commenti (parlò dell’azienda dove lavorava), riuscii persino a scoprire la sua vera identità. Oggi ho il fortissimo sospetto che la stessa persona, sotto un altro nick, tempesti di critiche il blog di Ugo Bardi, diciamo che mi sembra di riconoscere lo stile.

All’epoca avevo appena letto l’ottimo libro Illusione nucleare. I rischi e i falsi miti di Sergio Zabot, quindi riuscivo abbastanza bene a smontare molte delle sue argomentazioni filonucleari, per cui venni preso subito di mira. Replicava costantemente alle mie obiezioni, spesso a notte fonda, e sempre con un tono molto arrogante e maleducato. Ho sempre odiato la vigliaccheria dell’insulto digitale celato dietro l’anonimato, per cui (sbagliando) ne feci una questione personale. Dedicai gran parte del tempo libero alla ricerca di informazioni per smontare le sue obiezioni, e a un certo punto lui, quasi riconoscendomi ‘l’onore delle armi’, mi consigliò materiale molto prezioso di fonti filonucleariste come la World Nuclear Association (WNA). Scoprii una cosa davvero interessante: la WNA e organizzazioni simili sostanzialmente dicevano il vero, ma celavano i problemi dietro uno strano gioco delle tre carte, ad esempio per quanto riguardava il picco di produzione dell’uranio. Quando cercai di dimostrarlo si infuriò ancora di più.

La dedizione a questo lavoro di stroncatura dei ‘nemici’ rasentava l’ossessione, e mi ha sempre insospettito parecchio. Una volta, in una scambio per mail, Bardi mi ha confidato di essere abbastanza sicuro che le corporation del settore pagassero esperti allo scopo influenzare l’opinione pubblica attraverso i blog. Molto probabilmente era anche il caso di Roberto, benché l’acredine e l’arroganza adoperata secondo me avrebbero trasformato perfino Edward Teller (il padre della bomba H, per intenderci) in un attivista di Greenpeace. Per la cronaca, lo stile di commenti del blog – all’epoca non moderato – degenerò presto per colpa dei sostenitori di entrambe le fazioni, e a quel punto abbastanza disgustato decisi di non seguirli più.

Qualche giorno fa, dopo aver letto Tecnica e cultura di Lewis Mumford, mi è venuta un’improvvisa illuminazione su tutta questa storia. Roberto doveva essere un fisico nucleare che aveva studiato duramente e, dopo il referendum del 1987, era praticamente stato costretto a emigrare all’estero per seguire una professione consona al proprio curriculum, infatti lavorava per un’azienda francese impegnata nella ricerca atomica (non faccio il nome ma non si trattava di Areva). Parliamo di qualcuno che ha fatto sicuramente dei sacrifici alla ricerca dell’utopia dell’energia illimitata, che forse si sentiva quasi investito di una missione filantropica e non capiva l’acredine nei confronti del suo lavoro (alla fine la sua dialettica si riduceva sempre a: “vuoi mettere un piccolo e insignificante rischio per un grande avanzamento per l’umanità ecc”). Per una persona del genere, la fine dei programmi nucleari significherebbe un ridimensionamento enorme, essere preposto allo smantellamento delle centrali e allo smaltimento delle scorie radioattive, che per fare un paragone sarebbe come impiegare un ingegnere meccanico in una discarica; non esattamente un lavoro creativo e realizzante, quello del becchino radioattivo.

Quella fanatica difesa dell’industria nucleare probabilmente celava in realtà una orgogliosa quanto disperata rivendicazione personale: mi chiedo quanti altri scienziati, in settori molto controversi come la genetica, ad esempio, vivano la stessa situazione, provando un’istintiva solidarietà corporativa (mi viene da pensare a molte prese di posizione discutibili della compianta Margherita Hack). In questo momento mi immagino Roberto alla tastiera con un diavolo per capello e con il fumo che esce dalle orecchie inorridito dai commenti della gente ‘ignorante e prevenuta’, che osa parlare di energia quando non sa neppure come funziona esattamente un reattore. Se leggesse questo articolo già mi immagino come accoglierebbe il qui presente ‘crociato’ e  ‘cretinetti’ (un paio dei vezzegiativi con cui amava definirmi); ma questa volta, invece di farmi crescere a dismisura il fegato, penso che ne sorriderei. Ad maiora Roberto: a volte anche la vita delle persone più ordinarie, nella routine quotidiana e nelle aspirazioni personali, si tinge di una lieve e impalpabile tragicità.

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