Le analisi e le riflessioni sulla crisi si sono sprecate, fiumi di parole e di inchiostro sono stati versati, eppure c’è un paradosso che finora nessuno ha fatto notare: la crisi economica ha messo in crisi tutto e tutti, tranne gli economisti! Per chiarezza e per non offendere tutti gli economisti che sono sinceramente impegnati nella ricerca di possibili soluzioni e nella costruzione di un modello economico alternativo (l’altra economia), preciso che il riferimento è ad una categoria ben precisa di economisti, a cui appartengono quelli più quotati, più pagati, con più titoli accademici, quei professori e top-manager che, dall’alto delle loro cattedre, nei consigli di amministrazione di banche, fondazioni, società finanziarie o di rating, negli uffici dei ministeri, negli apparati dei partiti politici, nelle grandi istituzioni internazionali e, soprattutto, negli studi televisivi e sui giornali, propongono ogni giorno le loro immancabili e infallibili ricette per superare la crisi: aumentare la produttività, la competitività, l’innovazione, più questo, più quello, bla-bla-bla.
Essi cercano in tutte le maniere di fare analisi, stime, previsioni, proposte con risultati spesso patetici e ti spiegheranno domani perché quello che hanno previsto ieri non si è realizzato oggi! Prevedono la ripresa, vedono la luce in fondo al tunnel, poi qualcuno spegne la luce, poi ci sarà una mezza ripresa, poi arriva uno stop, un rimbalzo, una contrazione, manco fossimo in sala-travaglio e mai una volta che c’azzecchino!
Questi super-economisti-editorialisti-professori-tuttologi dicono sempre che il Mercato è selettivo, si autoregola e premia i migliori, ma allora perché loro sono sempre lì al loro posto, inchiodati sulle loro poltrone dorate e sotto i riflettori dei talk-show? L’economia è una cosa troppo seria e importante per lasciarla in mano a questo genere di economisti. Chiusi nel loro mondo artificiale fatto di numeri, valute, tassi, margini, indicatori, parametri, spread, derivati, hanno dimenticato l’origine e il significato profondo della parola Economia. Questa parola di origine greca nasce dalla fusione di oikìa=casa e nòmos=legge. L’Economia è la “legge della casa”, ovvero la buona e sana amministrazione della casa e quindi anche della nostra casa comune, il mondo.
Una brava massaia, un buon padre di famiglia che riescono a far quadrare i conti e a mantenere dignitosamente la propria famiglia in questi tempi di difficoltà e ristrettezze economiche meriterebbero il titolo di “Professore” al pari di tanti luminari che imperversano sulle reti televisive proponendo le loro strampalate ricette che fino ad oggi non hanno fatto che aggravare la situazione delle famiglie. Questi cosiddetti economisti vivono sospesi in una bolla, in un mondo delle Idee che ha perso il contatto con il mondo reale, come la finanza speculativa ha perso il contatto con l’economia reale. Se il nostro giudizio vi appare eccessivamente impietoso o “populista” (termine oggi molto di moda), vi bastino un paio di esempi: Alain Minc, il consigliere dell’ex-presidente francese Sarkozy nel 2011 ha affermato che, per uscire dalla crisi, “bisogna schiacciare contemporaneamente sul freno e sull’acceleratore” (riferendosi a politiche di freno e di espansione della spesa pubblica).
Provate ad andare in macchina e a seguire questo brillante consiglio! Di recente il Direttore del FMI Christine Lagarde ha dichiarato che “nel 2013 o la va o la spacca!”. Ogni ulteriore commento è superfluo. Non sono stati capaci di prevedere e di prevenire la crisi e ora non sanno più dove sbattere la testa, hanno perso perfino il senso del ridicolo. Eppure, nonostante tutto, la crisi economica non è ancora riuscita a mettere in crisi le loro certezze, il loro idolo, il loro dogma, la loro ossessione, la loro bandiera: L’ideologia della CRESCITA. Nell’era della “società liquida”, in cui non ci sono più né certezze né garanzie, gli unici che non hanno ancora perso la loro granitica fede nella crescita sono gli economisti. Ben meritandosi così la battuta dell’economista anglo-americano Kenneth Boulding che addirittura nel lontano 1966 affermava: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”. Il credo neoliberista, il cosiddetto “pensiero unico” domina le loro menti ma, in un mondo normale, chi ha un “pensiero unico” sarebbe considerato come minimo un minorato mentale, perché la realtà è troppo complessa per poter essere ridotta ad un “pensiero unico”. Il PIL è la loro stella polare e la loro bussola.
Il Titanic dell’economia di mercato sta lentamente affondando ma la loro orchestrina continua a suonare sempre la solita musica. Se appena ti azzardi a parlare loro di decrescita, sorridono con ironia e ti guardano con un misto di arroganza, disprezzo e compatimento, ma talvolta ti aggrediscono in maniera isterica e scomposta. Sì, perché parlare di decrescita felice di fronte ad un economista è come urlare una bestemmia in chiesa. Quanto tempo ci vorrà ancora, quanto dovrà aggravarsi la crisi prima che gli economisti accettino la sfida di rivedere le proprie idee, parametri e paradigmi culturali? Cari economisti, accettate la nostra provocazione, fate i conti con la realtà, provate a cambiare occhiali e a guardare il mondo da un punto di vista diverso. Provate a ragionare di meno in termini quantitativi e di più in termini qualitativi.
A dare meno valore alle merci e di più ai beni. Di fronte alla chiusura della fase storica iniziata 250 anni fa con la Rivoluzione Industriale, serve un cambio di paradigma culturale e una nuova generazione di economisti-ecologisti-filosofi-umanisti capaci di soluzioni nuove, capaci di futuro e capaci di pronunciare senza paura la tanto temuta parola decrescita che non è la recessione ma, come ostinatamente continuiamo a ripetere, la possibilità di aprire una nuova fase più avanzata ed evoluta nella storia umana e l’unica possibile via di uscita dalla crisi.
Se infatti continueremo a ragionare e ad agire nel vecchio modo, non riusciremo a risolvere la crisi economica senza aggravare la crisi ecologica e non possiamo affrontare la crisi ecologica senza aggravare la crisi economica. Perché la crescita è la causa della crisi e non può esserne la soluzione, che non può che passare per la decrescita, naturalmente felice. Ieri eravamo in pochi a dirlo, oggi iniziano a capirlo in molti, domani ci arriveranno anche gli economisti?
Luca Salvi