La ‘competenza’ non ci salverà

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Chi di mestiere fa l’insegnante (come il sottoscritto), è abituato da almeno una ventina d’anni a rapportarsi con l’esaltazione della ‘competenza’, in particolare per quanto concerne la cosiddetta ‘didattica per competenze’, divenuta un vero e proprio imperativo categorico nella scuola di ogni ordine e grado. Adesso, pare che sia stata definitivamente sdoganata anche in politica come principio di riferimento.

Per la verità, nulla di nuovo sotto il sole, nel senso che concezioni simili (spesso indicate con termini dispregiativi, come ‘tecnocrazia’ e simili) sono sempre state in auge, almeno dalla rivoluzione industriale fino in poi. La novità odierna, semmai, è che tali teorie attraggono tutta una serie di persone che, per i loro ideali dichiarati, dovrebbero esserne più che mai ostili.

L’introduzione di ‘competenza’ e ‘merito’ in politica significa, di fatto, cancellare lo spirito della politica stessa, facendola coincidere con l’amministrazione. E’ il trionfo del ‘sociale’, come spiega Hannah Arendt in Vita Activa, che mortifica qualsiasi spazio per l’azione del cittadino e si presta, in determinate situazioni, a degenerare in pericolose premesse autoritarie.

In ogni caso, è innegabile che ‘competenza’ e ‘merito’ vengano definiti ed elargiti dal sistema  dominante. Per ‘meritare’ ed ‘essere competente’ bisogna non solo dimostrare determinate capacità, ma soprattutto saperle declinare all’interno degli obiettivi dettati dalla visione egemonica. Storicamente, tante figure geniali non hanno visto riconosciuta la loro grandezza proprio perché portatrici di idee non compatibili con il quadro di riferimento, a prescindere da quanto fossero fondate.

Per tornare all’attualità, le élite hanno preso coscienza con cinquant’anni di ritardo della problematica ambientale, ne abbiamo già trattato in precedenza. Il governo Draghi è una delle espressioni di questo nuovo orientamento, come testimoniato dalla presenza di un ministero dedicato espressamente alla transizione ecologica.

Il titolare del dicastero, il fisico Roberto Cingolani, è sicuramente persona competente e che merita quel posto, intendendo i termini nell’accezione che abbiamo spiegato. Per una sintesi del suo pensiero, è interessante consultare una serie di articoli basato su 6 priorità per l’ambiente che aveva in programma di pubblicare a puntate per la rubrica Green&Blue di Repubblica, immediatamente diffusi al pubblico dopo la chiamata al governo.

Come direbbe l’amico Jacopo Simonetta, trattasi in gran parte di ‘vuotame’ propagandistico, anche se bisogna riconoscergli qualche accenno diverso dalla solita retorica green: è raro, ad esempio, trovare riferimenti ai fertilizzanti chimici come a una delle principali cause del global warming. Oppure questa frase:

Negli ultimi decenni, il modello di sviluppo di Sapiens ha generato il paradosso del progresso che  genera regresso.

 

Il problema, però, è che a tali affermazioni brillanti non seguono considerazioni in stile Herman Daly (o meno cha mai alla Ivan Illich).

Tendenzialmente, i discorsi di Cingolani riecheggiano quelli di un Chicco Testa, intercorrendo però la stessa differenza che passa tra il tifo compassato di uno spettatore della tribuna VIP e quello esagitato di un ultras della curva.

Tre concetti, in particolare, suonano comuni:

  • la fede nella tecnologia, dove Cingolani riesce persino a usare toni più millenaristici dell’ex presidente di Legambiente: “Il ritmo del progresso, insomma, continuerà a crescere. La vera domanda è se sapremo stare al passo con questi sviluppi: diventa sempre più difficile, per la società, metabolizzare gli shock di un futuro che incalza, mentre la stabilità del nostro ecosistema è compromessa dalle risorse sempre più ingenti richieste dallo sviluppo. Di questo passo, tra poco più di cento anni, Sapiens potrebbe arrivare ai pianeti esterni, oltre il Sistema Solare. Speriamo solo di non aver esaurito il nostro prima”. Progresso che avanza inesorabile fino a colonizzare altri pianeti nonostante un pianeta esaurito di risorse: strano corto circuito logico da spiegare a un fisico.;
  • la povertà rappresenta la causa principale del degrado ecologico. Il neoministro si esprime in maniera più ragionevole, sensata e argomentata di Testa, ma ne mutua fondamentalmente lo spirito;
  • a parte la ristretta cerchia dei premiati dalla meritocrazia, che entreranno a far parte della nuova élite globale, il resto della popolazione sembra doversi limitare al ruolo di semplice spettatore, se non proprio della bella statuina. Certo, Cingolani non ricorre allo sfottò dello ‘ecologista collettivo’ di Testa, però è significativo che non venga mai citata alcuna battaglia ambientalista. L’ecologismo, nella narrazione del neoministro, sembra quasi nato da un atto di ravvedimento della medesima élite che ha provocato il danno e se n’è infischiata per decenni.

 

Per la verità, non c’è da stupirsi. Come nel dispotismo illuminato settecentesco la ‘competenza’ era impiegata per cooptare istanze dell’Illuminismo alla causa della monarchia assoluta, così oggi alcuni principi della sostenibilità sono chiamati a rafforzare un business as usual per la prima volta seriamente spaventato dai guasti arrecati alla biosfera.

Nella migliore della possibilità, c’è da aspettarsi l’applicazione di politiche dalle premesse interessanti ma non sfruttate al massimo del loro potenziale, nella peggiore (e temo più prevedibile) del green washing della peggior specie provocato dalla ricerca chimerica della ‘crescita verde’ e altri obiettivi egemonici tradizionali, presentati in forma riveduta e corretta. Di fatto, la ‘competenza’ solo questo ci può offrire.

Ci sarebbe semmai bisogno di ‘non competenti’ dalle grande capacità, di quelli che hanno reso grande la storia dell’ecologismo: figure in grado di emulare Rachel Carson, Eugene Odum, Nicholas Georgescu-Roegen o i coniugi Meadows, per capirci, che da nuove prospettive hanno affrontato lo studio di determinati fenomeni sfidando l’ortodossia dello specialismo accademico. Ma tale ‘avanguardia’ sarà impotente se non si assoceranno nello sforzo milioni di anonimi attivisti e militanti del tutto simili a quelli che, in passato, accusati di ignoranza retrograda e di voler fermare il Progresso, avevano intuito la gravità di alcune problematiche molto meglio dell’espertocrazia di turno.

Questo perché una vera transizione, ossia il passaggio a una società post-crescita, richiede un rivoluzionamento culturale, se non proprio antropologico; perché ciò avvenga al meglio, necessita un prepotente ritorno della Politica (notare l’uso della maiuscola). Un approccio basato sull’egemonia dell’Amministrazione può solo replicare quanto accaduto con le rivoluzioni industriali: una situazione dove, alla fine, i pur innegabili vantaggi rischiano di essere surclassati da effetti collaterali e rovesci della medaglia vari. E questa volta non possiamo permettercelo.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

2 Commenti

  1. E’ la stessa impressione che ho avuto io dopo aver visto un suo TED. Competenza da vendere (e pare che la venda) ma un legatore di asini dove indica ul padrone. Certo che noi italiani non siamo abituati ad un fisico al governo. Almeno in questo ci si conceda una piccola gioia.

    PS. Scopro che sei nato nella città in cui sono nato io, vivi nella città in cui vivo io, e insegni nella scuola che ho frequentato.
    Siamo praticamente vicini di casa!

  2. In parte e soprattutto a livello teorico ha perfettamente ragione. A livello pratico, IMHO, molto meno. Faccio due esempi. Negli ultimi anni abbiamo visto la rapida ascesa di un partito-movimento nato appunto dall’intenzione di far partecipare anche “gli incompetenti”, non solo al dibattito (e qui non ci vedrei niente di male, anzi!), ma anche alle decisioni politiche. E abbiamo visto di cosa sono stati capaci. Per non parlare delle rapide inversioni a U su molti temi: TAP; TAV; vaccini, Taranto, ecc. Al mio paese (purtroppo governato da una coalizione di fascio-leghisti) non hanno avuto molto successo, ma le volte che mi sono trovato a discutere con loro, sono rimasto colpito, non tanto dalla pochezza culturale su specifici temi, quanto dalla granitica incapacità al ragionamento e al dubbio.
    La seconda considerazione riguarda l’origine, il substrato culturale da cui originano la maggior parte dei politici italiani: la giurisprudenza. Molti di loro senza dubbio sono menti eccelse, abituate a sottili ragionamenti analitici che spaccano il capello non in quattro, ma negli atomi costituenti. Poco capaci però nella sintesi, o meglio, nel ragionamento progettuale che sa raccogliere tanti elementi disparati, li sa ordinare bene ed arriva appunto ad un progetto ben strutturato nelle sue varie parti. E capaci di progettare con il senso che quella cosa duri nel tempo. Il modo di ragionare tipico degli ingegneri. Di politica ci capisco poco e lo dimostra il fatto che ho sempre votato per chi perde le elezioni: mia moglie dice che porto sfiga ai candidati. Però mi piacerebbe vedere al governo e anche ai piani più bassi delle amministrazioni locali, più ingegneri che avvocati.

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