La Cina non ci è vicina

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Attaccare l’amministrazione Trump per le scarse o nulle preoccupazioni in materia ambientale è un po’ come sparare su di un’ambulanza della Croce Rossa scassata e guidata da un ubriaco. Al contrario, la Repubblica Popolare Cinese gode di molti estimatori avendo dimostrato alcuni passi concreti: è la nazione che investe maggiormente in relazione al PIL  per decarbonizzare il comparto energetico, sta approntando piani per la riforestazione e, soprattutto, ha tenuto duro sugli impegni assunti alla Conferenza di Parigi contro le bizzose intemperanze a stelle e strisce. In Occidente non sono pochi a ritenere la Cina, se non proprio un modello da seguire, quantomeno la nazione che dovrebbe assumere la leadership del nuovo mondo multipolare con tutte le spinose problematiche che lo attanagliano, in particolare per quanto attiene al degrado ecologico.

Tanta ammirazione è realmente giustificata? Personalmente ho più di qualche dubbio.

La IEA, in base ai programmi in cantiere del governo cinese, ha ipotizzato un mix energetico di questo genere:

Si evince l’aumento di potenza installata da nucleare e rinnovabili (generalmente molto enfatizzato); ma spicca molto di più la totale assenza di qualsiasi intervento sul versante fossile (trascurato nei dibattiti), il quale non subisce alcuna riduzione, anzi: a quote sostanzialmente inalterate per carbone e petrolio si aggiunge un maggior apporto dal gas naturale. Quindi, in barba alle belle parole, più emissioni di gas serra e non meno. Per tutto ciò esistono solo due spiegazioni plausibili:

1) La Cina sul global warming non ha poi idee troppo diverse da Trump e sta conducendo solamente un’operazione di facciata;

2) Le preoccupazioni sono genuine ma si aspetta che il lavoro sporco (sarebbe più corretto dire ‘pulito’) per contenere le emissioni lo facciano gli altri.

La prima eventualità mi sembra poco probabile. E’ vero che l’attuale presidente Xi Jinping, specialmente per quanto attiene alle pubbliche relazioni, mi sembra più vicino a uno stile mediatico occidentale rispetto ai predecessori, tuttavia fino a non molto tempo fa Pechino non si faceva troppi problemi a guidare il fronte inneggiante al motto “adesso è il nostro turno di crescere dato che voi occidentali vi siete già presi la vostra parte”, che troverebbe ancora consenso nel panorama BRICS e delle nazioni in via di sviluppo.

La seconda ipotesi mi sembra quindi più concreta ma, se la Cina non riduce le proprie emissioni, gli sforzi degli altri paesi al fine di rendere concreto il quadro generale dell’accordo di Parigi assumerebbero proporzioni draconiane. Prospettiva un tantino inquietante.

 

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